Si può dire alla persona amata “tu non morrai”? E come si può dirlo? Con queste domande Giancarlo Cesana ha riassunto il tema dell’incontro di oggi, che ha visto a confronto il sociologo Francesco Alberoni e il regista Alessandro D’Alatri.
Alberoni si è proposto nel suo intervento di svolgere un’analisi e una fenomenologia dei sentimenti, e ha preso le mosse dalla constatazione di come nell’esperienza dell’innamoramento gli individui in qualche modo si trasformino: “l’atto – ha detto Alberoni – perde il suo carattere ordinario, profano; diventa straordinario, intessuto di un brivido, di uno struggimento e di una gioia sovrana, una sorta di incantesimo davanti al quale resti meravigliato e riconoscente”. Anche la morte viene coinvolta in questa dinamica, rimanendo per così dire confinata al di fuori del “recinto incantato dove ogni cosa è immortale” che l’esperienza dell’innamoramento provoca. Così la prospettiva più drammatica è proprio quella della morte della persona amata, che farebbe ripiombare l’individuo nella separatezza, che è il contrario dell’innamoramento. “L’amore – ha detto concludendo Alberoni – è perciò sempre brivido dell’assoluto nel contingente, qualcosa di misterioso, meraviglioso e divino. E, quando è ricambiato, è dono, grazia che chiede lode e riconoscenza”.
Il regista Alessandro D’Alatri ha raccontato quella che è la sua esperienza lavorativa. Oggi, dopo il crollo delle ideologie – ha detto – siamo in una fase nella quale forse l’uomo è veramente libero, e può ricominciare da capo a camminare. Un cammino che sarà tanto più proficuo quanto più si sarà capaci di ascoltare gli altri e dare spazio a nuove voci.
Ha chiuso il dibattito Giancarlo Cesana, iniziando col ringraziare i relatori per il sentimento positivo della vita e per la percezione positiva dell’Essere che hanno testimoniato. Fin da quando apre gli occhi – ha poi affermato – il bambino percepisce nella realtà quella corrispondenza che nell’esperienza dell’amore ti viene addirittura a cercare personalmente, ti vuole. Nell’innamoramento essa viene percepita come significato, e l’amore è un rapporto dove la verità è un abbraccio, non un discorso.
In questa esperienza si capisce anche un’altra cosa: che si vive per un altro, per Altro, che la vita non ce la siamo dati noi; nell’amore possiamo percepire che chi ha fatto la realtà ci vuole bene, e nell’esperienza di un grande amore ogni cosa diventa un avvenimento. L’alternativa allora non può che porsi in questi termini: o a valere è questa esperienza di senso, di significato, oppure quello che vale è l’esperienza della morte. Questa seconda alternativa, se accettata, vuol dire che il nostro desiderio, tutto quello che di bene abbiamo, lo abbiamo solo per essere sotterrati: niente ha valore. Perché l’esperienza di positività rimanga, è necessaria anche la fedeltà a quello che si è incontrato: questo non è un principio morale, ma di conoscenza.
È qui che si inserisce il problema di Cristo: l’uomo è stato fatto per la vita, e lo capisce perché è amato e rimane fedele a questo amore. È un problema di ragione: il fatto di Cristo, che è morto e risorto, vuol dire affermare la vita, e seguire Lui vuol dire seguire questa promessa. Qualunque cosa succeda, la vita è fatta per questo. L’eterno è quello che noi aspettiamo – ha concluso Cesana: “sono certo di tutto quello che vivo anche se non so come andrà a finire: questo è quello che mi fa vivere”.
T. P.
Rimini, 25 agosto 2003