Rimini, 25 agosto 2015 – Il 30 per cento degli omicidi del mondo, 29 ammazzati ogni 300 mila abitanti, 40 delle 50 città più pericolose del globo, 85 per cento dei rapimenti mondiali, un sequestro express ogni 14 ore, 60 per cento dei rapimenti non denunciati, produzione del 90 per cento della cocaina che circola nei cinque continenti. Ecco il profilo di cronaca giudiziaria dell’America latina. Più che ragionevole, dunque, la domanda che questa mattina, in B1, ha posto il giornalista madrileno Fernando De Haro, avviando il suo colloquio proprio con due delle vittime di questo oceano di violenza. Germán García Velutini, presidente del Banco venezolano de credito, è stato per undici mesi in mano ai suoi rapitori. A Oliverio Gonzáles, imprenditore messicano, i sequestratori hanno assassinato il padre. Due storie drammatiche, che hanno testimoniato la misericordia e l’esperienza del perdono, dimostrando come, anche partendo dal male dal dolore vissuto sulla propria pelle, si possa ricostruire un mondo nuovo.
Germán Garcia Velutini, attivo nel sociale come presidente delle scuole gesuitiche “Fede e allegria”, fu rapito, probabilmente dai guerriglieri dell’Eta, il 25 febbraio del 2009, appena uscito dalla sua banca di Caracas. Restò nelle mani dei sequestratori per undici mesi, fino a quando la famiglia non pagò il riscatto. Undici mesi in una cella larga tre passi senza finestre, con un materassino e una Bibbia (poi gli tolsero anche la comodità del primo e la compagnia della seconda, per inasprirgli la prigionia), un bidone e un secchio per le necessità igieniche, telecamere ai quattro angoli, un motivo musicale ripetuto all’infinito da alcuni altoparlanti. “Per undici mesi non parlai con nessuno – ha ricordato – né vidi mai la luce del sole. Quando mi tolsero la Bibbia, mi restò soltanto la compagnia di Dio e della Vergine. Ero in prigione ma mi sentivo libero, non potevano togliermi la mia dignità e non potevano cambiare il mio atteggiamento nei confronti della realtà”. Alla fine di dicembre lo liberarono in un parco vicino casa, impaurito dall’idea che qualche delinquente, riconoscendolo, potesse sequestrarlo di nuovo e rivenderlo a criminali organizzati. Raggiunse casa con i soldi che gli avevano lasciato per il taxi.
Oliverio González nel 1998 aveva 22 anni, studiava all’università e si faceva di droga e di alcol. Un giorno di quell’anno, l’autista di fiducia della famiglia, insieme a dei complici, rapì il padre, solido imprenditore venuto su dal nulla. Gli estorsero dei soldi, minacciando la vita dei suoi famigliari, poi lo portarono fuori città, lo pugnalarono e lo lasciarono per strada, convinti che fosse morto. L’uomo sopravvisse una settimana e denunciò i suoi assassini.
Quando si è colpiti in questo modo, il cuore umano chiede giustizia, riparazione, soddisfazione, e spesso “queste giuste richieste – ha detto De Haro – sono all’origine di una catena di violenze, di vendette, fra i singoli e fra i popoli”. Ma cosa hanno trovato, come risposta al loro desiderio di giustizia, Germán ed Oliverio? “Alla messa per l’ottavario di mio padre – ha raccontato Oliverio – mia madre mi fece conoscere i suoi amici di Comunione e liberazione. Gente diversa dagli altri. Non mi fecero prediche e più cercavo di evitarli più erano lì, pazienti e contenti di volermi bene e basta”. “L’esperienza del perdono? Fu il volto di mia madre quando scoperse che mi drogavo – ha risposto – Mi disse che le stavo spezzando il cuore. L’angoscia che provai mi riportò agli amici di Cl”. Quegli amici gli fecero capire che la sua felicità non poteva dipendere dalla droga ma dall’amore di Dio. “Mi resi conto che l’assassino di mio padre era nelle mie stesse condizioni di qualche tempo prima, ma senza i miei amici – ricorda – Cominciai così a chiedere che anche lui potesse trovare quello che avevo trovato io”.
Il volto del perdono per Germán “è stato quello della Vergine Maria che non mi ha mai lasciato”. Dopo la prigionia, García si era chiesto perché fosse successa a lui e alla sua famiglia quella disgrazia. Poi cambiò prospettiva. “Mi domandai per quale finalità mi era capitato tutto. E mi ricordai che, nel Vangelo, Gesù dice, del cieco nato, che la malattia sarebbe servita perché si manifestassero in lui le opere di Dio”. “Io fui di esempio ai miei carcerieri – ha detto – Tornai con nuovo vigore in banca e nelle scuole di cui ero presidente. Uno dei miei rapitori, quando mi rilasciarono, mi abbracciò dopo avermi sentito leggere i versi di Luca in cui Gesù dice di non rendere male per male”. Qualche giorno fa, Garcia è stato nel carcere di Padova e ha incontrato Domenico, una lunga pena da scontare per sequestro di persona e omicidio. “Non avevo mai avuto davanti a viso aperto un sequestratore – ha raccontato Garcia – e quando mi ha chiesto cosa avrei voluto per perdonare uno come lui, gli ho risposto che il perdono bisogna chiederlo partendo dal cuore. E lì ho capito che avevo perdonato i miei sequestratori”.
“Ma queste esperienze sono solo questioni personali – ha chiesto De Haro – oppure il perdono può essere una categoria di costruzione sociale?”. Garcia ha risposto che quel che conta è cambiare il cuore anche di una sola persona e che lo choc vissuto lo ha rilanciato nel suo lavoro nelle scuole di “Fede e allegria”. “L’educazione, l’istruzione – ha affermato – sono le modalità migliori per ridurre povertà e ingiustizia, per lavorare, amare e servire gli altri. Un’istruzione di qualità anche per i più poveri, come facciamo in Italia dove ci occupiamo di profughi”. Oliverio ha raccontato come è diventato imprenditore, passando dalla professione di architetto a quella di “cake designer”, pasticcere. “Dopo la morte di mio padre, mia mamma fu tirata fuori dalla depressione dagli amici della fraternità di Cl, che le proposero di lavorare, insieme ad un’amica, nella panetteria dei nonni. Nel giro di pochi anni, hanno creato sei succursali che danno lavoro a duecento persone”. Una volta la madre gli diede una cospicua somma da consegnare in beneficenza alla parrocchia. “Non è giusto, sono troppi soldi”, rispose. Ma la madre gli spiegò che tutto quello che avevano lo dovevano alla Chiesa. “La nostra attività c’è – aggiunse la donna – perché la misericordia di Dio sia visibile per tutti”. Oliverio si fece pasticcere insieme alla sorella. Dopo cinque anni le cose procedono bene: si è sposato, un quarto figlio è in arrivo, gli affari vanno a gonfie vele, l’impresa si allarga ad altra gente. “Sono grato a don Giussani – ha concluso – grazie al quale ho capito che la costruzione sociale comincia a partire da ogni singola persona e che ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio”.
García, infine, ha chiesto agli italiani e agli europei non dimenticare l’America latina e dedicare a questa terra, molto legata a noi, le stesse attenzioni usate verso altre martoriate regioni del mondo. “È la storia di Abramo che riaccade – ha commentato De Haro – C’è un “Tu” che ti restituisce il tuo volto e ti permette di costruire la realtà in modo diverso”.
(D.B.)