LA METODOLOGIA “APPROCCIOCAPACITANTE” AL CENTRO DI UN PARTECIPATO DIBATTITO ALL’ARENA SALUTE DEL MEETING
Rimini, 21 agosto – «Questa storia nasce quando a mio padre hanno diagnosticato un Alzheimer severo. La nostra vita è crollata, ho cercato aiuto e ho trovato il dottor Vigorelli che mi ha proposto un metodo per tenere aperta la comunicazione con mio padre e questo ha migliorato tutto. Daniela Tedioli, giornalista e promotrice del corso di ApproccioCapacitante per familiari e caregiver, ha introdotto con queste parole l’incontro “L’altro volto dell’Alzheimer”, in Arena Meeting Salute C3. «Dallo sguardo di mio padre ho capito poi», ha aggiunto Tedioli «che le cose stavano cambiando in meglio e da qui è nata l’idea di parlarne al Meeting in quanto in sintonia col titolo».
Con Tedioli, sono intervenuti Francesca Arosio, psicologa della Federazione Alzheimer Italia, Nicola Draoli, del comitato centrale di Fnopi, Giorgio Facci, presidente della associazione A.B.C. Onlus Demenza e Alzheimer senza paura di Verona, Pietro Vigorelli, medico psicoterapeuta formatore e promotore dell’ApproccioCapacitante. È quest’ultimo ad aver spiegato i principi alla base del metodo: «Mi occupo da venti anni di questa malattia. L’Alzheimer non ha un volto ma tanti volti, uno per persona che ne è affetta. E questo per almeno due motivi: ogni malattia è diversa e ogni persona è diversa. Quando arriva la diagnosi ci si accorge che in realtà la persona è malata già da molto tempo, da anni o addirittura da decenni. L’ex presidente Usa Reagan è morto di Alzheimer e, andando a rivedere i filmati, ci si è accorti dei segni premonitori presenti anni prima e anche quando era presidente. C’è però un problema: quando il medico comunica la diagnosi spesso non solo cambia la vita dei famigliari ma anche la percezione del malato come persona. Nasce lo stigma, la vergogna, un nuovo modo di vedere il malato che fino a un momento prima era solo uno smemorato: in sostanza non è più una persona per chi lo guarda». Come si esce da questa situazione? C’è un modo? Ha ripreso Tedioli. «Tutto diventa pesante, un inferno, e come si può fare?» ha continuato Vigorelli aggiungendo che «bisogna cominciare a riconoscere che accanto ad un “io malato” c’è presente un “io sano” ma riconoscerlo è innanzitutto un moto dei famigliari. Dove è ad esempio l’io sano in un malato che mette le scarpe nel frigorifero? Nel suo voler fare ordine in casa. E nel malato che vuole tornare a casa quando a casa, nella sua casa, è già presente? Nella ricerca di sicurezza che è anche una motivazione dei sani. Di più: nella ricerca degli affetti famigliari che sono il suo ricordo più vecchio e che dice che non tutto è andato perso nella sua mente. Riconoscere questo e agire di conseguenza fa modificare l’approccio e anche le parole. Cambia la vita. Questo è il metodo ApproccioCapacitante che ho creato e che sostengo coi gruppi di auto mutuo aiuto».
Tedioli ha chiesto quindi a Facci in cosa consista praticamente questo metodo. «Abbiamo creato i gruppi Abc di famigliari di malati nella città di Verona con la guida di Vigorelli, abbiamo lavorato sulla conoscenza reciproca, sulle storie personali, sull’educazione della parola nell’approccio al malato, sull’attenzione alla qualità della vita, col metodo ApproccioCapacitante abbiamo visto in ogni storia un cambiamento e un miglioramento della vita di ogni famigliare e di ogni malato. Un malato che si sente fare esattamente le domande che lo mandano in crisi è un malato che rinuncia a parlare, abbiamo capito che la parola è tutto. Il metodo consiste in dodici passi di educazione del famigliare e di misura dei risultati».
Il vero danno della malattia, chiosa Tedioli, è il danno di consistenza del senso alla vita. Arosio a questo punto ha mostrato una video intervista a un missionario del Pime, padre Politi affetto da Alzheimer che così ha raccontato: «Sono consapevole di essere malato, non riesco più a dire messa, la malattia è un’intrusa in un posto in cui non doveva esserci, ma lei non tocca la mia umanità e per questo il mio invito è non smettere mai di scoprire la bellezza della vita, una bellezza da comunicare». Ha continuato poi Arosio: «Abbiamo creato dei gruppi Alzheimer Dementia Friendly in venticinque città italiane con lo scopo di coinvolgere le comunità dei residenti e sensibilizzarle sulle necessità dei malati di Alzheimer. Abbiamo coinvolto anche i comuni e nella città di Abbiategrasso c’è stato un progetto pilota che ha visto la partecipazione della polizia locale che ha creato una segnaletica dedicata nei luoghi chiave di passaggio e stazionamento. Un supermercato di Bari ha previsto di abbassare il volume della musica in alcuni orari, ha reso disponibile dei deambulatori, ha messo cartelli facilitatori, ha posizionato alcuni prodotti in aree apposite, ha messo a disposizione persone di aiuto ai malati. Ecco questo è l’effetto di un progetto che è educativo».
Infine Tedioli ha chiesto a Draoli che tipo di assistenza infermieristica necessiti questa malattia: «La nostra professione – ha detto – oggi non ha specializzazioni come stiamo chiedendo da tempo perché i ruoli sono assegnati sulla base di una legge medico-centrica. Occorre inoltre pensare a équipe medico infermieristiche di quartiere in cui siano presenti competenze specifiche e non generaliste per ogni problema. Questo è il modello di assistenza territoriale che proponiamo considerando che nel codice deontologico delle professioni infermieristiche ci sono tutti i paradigmi descritti per un nuovo e corretto approccio al malato così come efficacemente illustrato questa sera».
«Stasera – ha concluso Tedioli – abbiamo visto un rilancio della speranza per le famiglie coinvolte da questa malattia e per i malati stessi. La solitudine non è più l’ultima parola».
(A.L.)
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