PRESENTE E FUTURO IN UN INCONTRO CHE NON HA TRALASCIATO LA TECNOLOGIA MIGLIORE: LA PERSONA
Rimini, 20 agosto – Ma quanto sono intelligenti gli algoritmi che governano l’intelligenza artificiale? Forse più dell’uomo stesso? Domande che hanno scalzato quesiti obsoleti sulla reale necessità di una mente creata in laboratorio, fatto ormai definitivamente acquisito tanta è la pervasività degli algoritmi nella nostra vita quotidiana. Domande risuonate nel corso dell’incontro “Con quale coscienza creiamo algoritmi?”, oggi in Arena Cdo for Innovatio n D3, coordinato da Gigi Gianola, direttore Cdo, con la partecipazione di personalità da tempo impegnate in una riflessione su questo mondo al centro di numerosi incontri del Meeting.
Anche se insegna teologia morale e bioetica alla Gregoriana, padre Paolo Benanti da tempo si è appassionato ad argomenti a cavallo tra presente e futuro. I suoi esempi hanno illuminato la folta platea: dall’uso di intelligenza artificiale in medicina, passando per le implicazioni nella fecondazione assistita – che delega ad un computer la selezione del dna delle persone – fino ad app che creano medici virtuali, Benanti non ha mancato di rimarcare l’aspetto negativo di questo utilizzo sempre più vasto: «Si chiama de-skilling il processo che sta di fatto impoverendo la professionalità di tanti giovani, relegandoli sempre di più a “call center” che mettono in contatto persone con sistemi informatizzati. Giunti però a questo punto, è indispensabile accettare la sfida e rendere tutta questa tecnologia alleata dello sviluppo umano, non competitor».
Anche se il futuro è sempre più presente, ad oggi siamo ancora alla prese con un’intelligenza artificiale “debole”, contrapposta ad una “forte”. «La differenza – ha spiegato Carlo Bagnoli, della Ca’ Foscari di Venezia – sta nella definizione degli obiettivi. In quella debole, l’uomo stabilisce un orizzonte e la macchina detta i passi per raggiungerlo. Nella seconda, invece, la tecnologia indica anche cosa è bene per noi. È uno scenario non ancora attuale, ma ci si potrà arrivare tra non molto».
Nell’attesa, già oggi gli algoritmi sono capaci di determinare tante nostre scelte: dal voto ai consumi alle vacanze. Questo perché, come ha spiegato Alessandro Nardone, fondatore della piattaforma Orwell, «le informazioni di cui disponiamo dipendono in buona parte da piattaforme come i social o Google che usano sofisticati algoritmi per farci visualizzare non ciò che ci interessa ma ciò che loro vogliono farci vedere». Dunque, nell’epoca in cui abbiamo un accesso sterminato alle fonti, siamo schiavi di altri che scelgono per noi, illusi come siamo invece di potere tutto: «La soluzione è pensare analogico, agire digitale, vale a dire non fermarsi mai alle impressioni ma leggere, approfondire, confrontarsi. La piattaforma che abbiamo inventato, Orwell, mira proprio a garantire un’informazione di qualità, originale, che combatta le fake news».
Se dunque, come ha ricordato Bagnoli, i modelli di business cambieranno diventando algoritmici, c’è bisogno di scelte etiche per evitare di lasciare ogni decisione alle macchine: «è importante riconoscere che anche le macchine sbagliano, perché rispecchiano una realtà imperfetta, che le regole vanno governate e che si possono creare algoritmi capaci di comprendere le esigenze etiche della persona. Il futuro, dunque, non può che essere quello dell’algoetica».
(P.G.)
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