“Noi abbiamo imparato che per fare grandi opere bisogna piegare le ginocchia”. Conclude così, Alberto Piatti, segretario generale della Fondazione AVSI, l’incontro dal titolo “Una speranza per l’Africa: Burundi, Uganda…”, che ha visto la partecipazione di Jérémie Ngendakumana, presidente del partito CNDD-FDD, al governo in Burundi da quasi due anni, Mario Mauro, vice presidente del Parlamento Europeo e Rose Busingye, infermiera professionale in Uganda, accolta da un’ovazione dal pubblico del Meeting al suo ingresso nel salone A1.
“Parlare di speranza significa parlare di esperienze”, ha subito precisato Piatti introducendo gli ospiti. E dell’esperienza del suo popolo, giunto alla pace e a un governo democratico dopo 25 anni di lotte tra le diverse etnie, ha parlato Jérémie Ngendakumana, che ha portato anche il saluto del presidente del Burundi Pierre Nkurunziza. Una storia drammatica, quella del Burundi, con continui assassini degli uomini di governo e interminabili periodi di crisi. Oggi, grazie anche alla nascita del movimento di resistenza CNDD, i burundesi hanno raggiunto una pace storica, che ha portato alle libere elezioni del 2005 e al governo in carica da quasi due anni: un record per un esecutivo africano. “La conoscenza della verità è alla base di una pace duratura,” – ha detto Ngendakumana – “noi abbiamo un sogno: fare del Burundi un esempio per l’Africa, un gioiello le cui qualità possano essere trasferite. Lunga vita all’amicizia fra i popoli!”.
Da Mario Mauro è giunto poi un impegno deciso a farsi portatore in sede europea di un modo intelligente di aiuto nei confronti dei paesi africani: “il metodo della società civile”. La scommessa non è appena sulle istituzioni, spesso deboli e incapaci di usare i fondi ottenuti, ma sulle persone. “Le istituzioni devono essere al servizio della società”. E su questo c’è ancora molto da lavorare, come dimostra la situazione dell’Uganda, dove le congregazioni religiose vengono trattate come associazioni o ONG, in qualche modo dipendenti dallo stato.
L’intervento di Rose Busingye è stato anticipato dalla proiezione del bellissimo video realizzato per AVSI da Elisabetta Ponzoni, che ha permesso di toccare con mano, o quantomeno sfiorare, la realtà di AVSI in paesi come Uganda, Kenya e Rwanda e di far emergere il metodo usato dai volontari della ONG italiana: mettere al centro le persona.
Il problema più grande dell’Africa, secondo Rose Busingye, infermiera che lavora prevalentemente tra malati di Aids a Kampala, in Uganda, non è la povertà o la mancanza di infrastrutture, ma “la mancanza di punti di riferimento: non si appartiene a nessuno e manca un ideale e un senso della vita”. Questo ha causato un’insicurezza generale nei rapporti tra le persone. “La speranza dell’Africa è la speranza di cui hanno bisogno gli uomini di tutto il mondo: sapere ‘di chi sono’”. Da quando Rose ha scoperto questo per la sua vita, grazie soprattutto all’amicizia con don Luigi Giussani, è nato un vero e proprio popolo. Succede che i malati di Aids, come William, possano dire “Zia Rose quando dovrò morire, tienimi la mano così non avrò paura”. E che donne costrette a spaccare pietre tutta la vita per vivere abbiano la possibilità di fare lavori più gratificanti, come costruire collane, e possano mettere da parte qualche soldo, grazie al microcredito, magari praticando anche loro l’adozione a distanza per bambini abbandonati. “La novità dell’uomo” – dice ancora Rose – “accade se uno appartiene: da questo nasce una civiltà nuova”. In un paese dove la donna è tradizionalmente sottomessa e costretta ad essere passiva, ci sono donne che si divertono giocando a calcio, facendo gite e riscoprendo la bellezza delle danze tradizionali. Donne e uomini che “riscoprono il proprio volto”.
A. Cap.
Rimini, 20 agosto 2007