Accogliere accompagnare educare. Esperienze di vita di famiglia

Redazione Web

Accogliere accompagnare educare. Esperienze di vita di famiglia

Rimini, 24 agosto 2022 – Al XLIII Meeting di Rimini testimoni raccontano l’esperienza di “Famiglie per l’Accoglienza”: Giampaolo Pambianco, Letizia e Leonardo Speccher. Partecipa inoltre Mariangela Tarì, autrice de Il precipizio dell’Amore e presidente dell’associazione di promozione sociale La Casa di Sofia. Introduce Davide De Santis, presidente Associazione La Mongolfiera odv, e presenta Luca Sommacal, presidente Associazione Famiglie per l’Accoglienza.
Sommacal spiega che l’associazione da lui presieduta è una rete di famiglie che si accompa-gnano nell’esperienza dell’accoglienza: «Celebriamo quest’anno i quarant’anni dell’associazione che, nelle parole del Papa, è riconosciuta come un importante servizio so-ciale. È una storia che tocca migliaia di famiglie in diverse forme di accoglienza. Anziani, bambini, giovani, disabili e ora anche profughi di guerra. Siamo famiglie assolutamente nor-mali che accolgono per una sovrabbondanza di bene sperimentato, e si aiutano in questa esperienza, perché da soli è impossibile reggere l’urto. Accompagnando le fragilità dei nostri figli, impariamo ad accogliere le nostre fragilità. Vivendo questa esperienza sperimentiamo un bene, una maturità umana nel percorso spesso tortuoso. Eppure questo è un bene che nasce dal desiderio di abbracciare la vita, è un avvenimento che ha toccato il cuore di perso-ne dal temperamento molto diverso, ciascuno con la propria storia».
Attraverso le esperienze e le varie testimonianze, emerge un gusto e una utilità del vivere che insinua una prospettiva nuova.
Anche Mariangela Tarì si racconta: disabilità, affido, accoglienza sono gli elementi della sua storia. E dice: «Ho una bambina con disabilità grave, Sofia. Più tardi, al fratello è stata fatta una diagnosi di tumore. Inizia un percorso anche per me, perché la disabilità è diversa dal tumore. In casa non ci siamo mai seduti a tavolino per dirci “adesso cerchiamo di esser felici!”. Abbiamo fatto un patto silenzioso in famiglia, è stato un atto di fede, come prendere quello che non vedi, ma c’è. La difficoltà ad abbracciare quella realtà così complessa era co-munque forte. Poi un giorno mi sono resa conto che in quella macchina c’era una bambina che voleva sua madre, e per essere sua madre dovevo tornare a essere donna, riappro-priarmi del mio lavoro e della mia vita. Così ho scoperto il Dono vero. Ero circondata d’amore ma mi chiedevo qual era il senso di quello che mi stava accadendo. Ho iniziato a uscire con la bimba sulla sedia a rotelle e con un bimbo incubato per chemio; abbiamo iniziato ad accettarci e abbiamo scoperto che la vita è fatta di attimi infiniti. Quando sono cambia-ta io, ho iniziato a dire quello che è indicibile per una madre, accettare l’inaccettabile. La disabilità allontana e io invece ho iniziato a segnarmi tutte le persone che restavano. Ho incon-trato persone capaci di donarsi agli altri, e così è cambiato il mondo. Il dolore fa come l’amore: rinomina il mondo».
Giampaolo Pambianco è un ragazzo nordafricano che racconta, commosso, di come perma-ne l’esperienza dell’accoglienza nella sua vita, anche ora che ha 27 anni: «Venivo da una famiglia emarginata anche socialmente, dove vivevo situazioni di litigio brutte e sognavo una cosa del genere (una famiglia normale). Poi, a undici anni è arrivato l’affido. Sono stato por-tato via dalla mia famiglia, ero voluto bene e però avevo sempre paura di quello che sarebbe successo. Approdo così in una famiglia diversa, benestante, perfetta, ma tornavo a casa una volta a settimana. A scuola mi sono appoggiato a gente che aveva più o meno le mie pro-blematiche, e così a 16 anni finisco bocciato due volte. Non mi fidavo e così a 18 anni ho de-ciso di tornare a casa mia. Era morto mio padre, mia madre era invalida, e lì sono entrato in un circuito inverso. Dopo tre anni che non mi son fatto più sentire, e che la mia vita non mi portava da nessuna parte, li richiamo e mi dicono che erano preoccupati. Ecco, lì sono stato malissimo, ho pianto tutta la notte e poi ho pensato: io non ho dato niente a loro. E così è scattato il desiderio di riallacciare quel rapporto. Mi son sentito abbracciare e da lì è rico-minciato qualcosa che non era mai finito».
Letizia e Leonardo sono moglie e marito e condividono la loro storia: «Abbiamo accolto in af-fido un ragazzo di 13 anni», inizia Leonardo, «che però aveva messo un muro nei nostri con-fronti. I primi mesi l’ho guardato e ho percepito che quel rapporto era occasione per me di andare a fondo di ciò che mi interessava». «A me», dice Letizia, «ha dato la consapevolezza che c’è un altro che opera nella vita. Dopo qualche mese che aveva chiesto di andarsene, ci ha richiamato e chiesto se potevamo riaccoglierlo. Questo forse perché non volevamo cam-biarlo. Era proprio un inginocchiarsi davanti a lui e fare un pezzo di strada insieme. Da parte nostra c’era un desiderio di apertura totale, mi sono ritrovata docile e disponibile».
«Poi è arrivata la richiesta di fare compagnia a una bambina che era ricoverata da sola in ospedale Abbiamo iniziato a farle compagnia per un mese e mezzo, fino a che ci è stato chie-sto di prenderla in affido.» Letizia prosegue: «Quando l’ho vista la prima volta in ospedale faceva impressione. Era evidente che dovevamo dire quel sì a Caterina. Gli anni passati con lei sono stati pieni di gioia, eppure siamo passati per decine di ospedali. Lei piano piano ha cominciato a lanciarsi nella vita, poi siccome i genitori non c’erano più l’abbiamo adottata. Ci sono state circostanze in cui sentivo la mia impotenza, ma gli amici non ci hanno mai abban-donato. L’anno scorso abbiamo fatto un ultimo viaggio breve in elicottero verso l’ospedale. Ho percepito che lei non era nostra, che ci era stata donata e chi ce l’aveva donata poteva anche riprendersela indietro. Il giorno in cui la situazione è precipitata, eravamo totalmente impotenti, eppure in certe situazioni ci sono persone che rinascono. Tanti sono stati i volti incontrati, e tutto ci faceva percepire la pienezza e la presenza del Mistero buono».
(M.B.)

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