Rimini, lunedì 20 agosto – “Esistono molti mondi o non c’è altro che un unico mondo?”. È con questa domanda di Sant’Alberto Magno che si sono confrontati gli astrofisici Antonino Lanza, ricercatore all’Istituto Nazionale di Astrofisica presso l’Osservatorio di Catania, e Aldo Bonomo, ricercatore all’Istituto Nazionale di Astrofisica presso l’Osservatorio di Torino, nel corso dell’incontro delle 19 all’Arena Exopla-nets B3.
Introdotti da Carlo Manara, Ricercatore all’ESO (Osservatorio Europeo Australe), Garching, Germania, i due relatori hanno ripercorso le tappe più significative dello studio degli esopianeti, ovvero tutti quei pia-neti che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole. Lo studio di tali corpi celesti ha richiesto lo sviluppo di strumenti e tecniche impossibili fino a un secolo fa. “Cercare di osservare un pianeta direttamente – ha esordito Lanza – è come tentare di vedere una particella di pulviscolo ad alcuni metri da un lampione stradale, stando a centinaia di chilometri di distanza”. Questo ha obbligato a sviluppare tecniche di osser-vazioni indirette, tra cui il metodo delle velocità radiali e il metodo dei transiti.
Il primo, come ha illustrato Lanza, “sfrutta l’effetto doppler, che si osserva nello spettro di emissione di una stella, dovuto al suo moto attorno al centro di massa causato dalla presenza del pianeta che orbita attorno ad essa. Analizzando la variazione delle lunghezze d’onda d’emissione siamo in grado non solo di affermare se attorno a una stella ci sia o meno un pianeta, ma anche di dare una stima della sua massa”.
Sebbene storicamente tale metodo sia stato il primo ad essere sviluppato, e abbia consentito nel 1995 la scoperta del primo esopianeta, esso non è né il più preciso né il più potente. Uno dei metodi migliori è quello dei transiti, la cui spiegazione è stata affidata a Bonomo: “Con transiti intendiamo il passaggio dei pianeti davanti alla propria stella. Naturalmente è impossibile osservare tale fenomeno direttamente, perché le stelle stesse appaiono puntiformi anche agli occhi dei più potenti telescopi. Tuttavia possiamo rivelare le diminuzioni periodiche della luce della stella”. Analizzando il periodo di tali diminuzioni si è in grado, così, di ricostruire il periodo, e quindi la velocità di rotazione, del pianeta. Ma non è tutto: “Analiz-zando lo spettro della luce che attraversa l’atmosfera del pianeta durante il transito è possibile ricostruire quali elementi compongono l’atmosfera e magari, in un futuro forse neanche troppo lontano, determinare se ci sono tracce di elementi che segnalino la presenza di esseri viventi”.
Naturalmente, siamo ancora lontani da obiettivi fantascientifici di trovare vita su altri pianeti, anche se negli ultimi decenni la ricerca ha compiuto passi da gigante. “L’esempio più eclatante – ha concluso Bo-nomo – è sicuramente il lancio, nel 2009, del telescopio Kepler, che da solo ha consentito l’osservazione di più dell’ottanta per cento degli oltre tremila esopianeti ad oggi noti. Se si pensa che fino a un secolo fa non si sapeva nemmeno che esistessero, è evidente quali progressi siano stati fatti”.
(E.P.)