Nella realtà si sta bene, perché è il luogo dove Dio abita e si fa incontro a questo uomo post- moderno, che non ha tanto il problema dell’esistenza di Dio quanto di come conoscerlo ed incontrarlo. Per dire queste ed altre cose, il cardinal Scola ha fatto ricorso a quattro film, perchè, come ha spiegato, “il cinema è la lingua franca della nostra società”.
Il patriarca di Venezia, introdotto da Giancarlo Cesana, per affrontare l’argomento che gli è stato assegnato, “Desiderare Dio. Chiesa e post modernità”, più che poesie, romanzi e summe ha preferito le pellicole cinematografiche – una specie di cineforum sui generis – “che – a suo dire – spalancano la nostra esperienza in modo assai spesso più efficace di tanti discorsi e di tanti libri”. Ecco allora, attraverso il suo argomentare, scorrere le immagini del celeberrimo Matrix, di Memento, del divertente capolavoro Fratello, dove sei?, con George Clooney nei panni di un novello Ulisse ed infine de Il concerto.
Di Matrix, il cardinale sottolinea soprattutto una battuta fra i due protagonisti in lotta contro il mondo virtuale imposto dal neurosimulatore. “Benvenuto nel mondo reale”, dice Morfeo a Neo. Essere nel mondo reale, nella realtà è un bene per il singolo e per l’umanità. Quel “benvenuto”, secondo Scola, ha lo stesso significato dei primi sorrisi di una madre al proprio figlio: “È bello che tu sia venuto al mondo, è bene per te, è bene per tutti”. Ma cosa, dentro di me, mi fa volgere al mondo reale? “Il desiderio – ha risposto Scola – Quel desiderio che è il rivolgersi con affetto a qualcosa che non si possiede e che piace. Con ‘affetto’, cioè con la totalità del nostro io”.
Per il patriarca di Venezia, “la natura piena del desiderio è rivelata in noi dal cuore”, che ci fa rivolgere soprattutto alle cose grandi. “E cosa c’è di più grande di Dio? Di Dio che rende inquieto il nostro cuore finché non riposa in Lui. Desiderare Dio è la grande aspirazione dell’uomo”.
Come incontrare Dio? “Come nominarLo perché l’uomo post-moderno, cioè ciascuno di noi, lo percepisca significativo e quindi conveniente?”. Per Scola, l’uomo di oggi non è interessato ai discorsi sui massimi sistemi, dunque sarebbe difficile convincerlo con argomentazioni puramente teologiche o filosofiche. L’uomo post-moderno, a detta del cardinale, è sempre più preso dai problemi del vivere quotidiano e quindi cerca una presenza familiare, concreta, incontrabile tutti i giorni. “Ebbene – ha affermato il relatore – la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare perché si è compromesso con la storia degli uomini è nel dna della mentalità occidentale”.
Questa presenza dell’infinito nel finito evita che il desiderio si riduca ad una pura aspirazione soggettiva, ad un sogno, ma tenda al reale, “il cui orizzonte ultimo è l’infinito e propriamente parlando Dio stesso”.
Leonard, il protagonista di Memento, che da un certo momento in poi non riesce più ad accumulare nuovi ricordi, secondo Scola rappresenta l’uomo di oggi che, privo di un’ipotesi che gli permetta di spiegare unitariamente il reale, resta ossessivamente attaccato al particolare, fino a tatuarselo nel cuore.
Eppure “l’inaffondabile grammatica dell’umano” riaffiora continuamente, non può essere mai del tutto vinta, è presente in tutti gli uomini come un’esperienza comune, il cui primo contenuto
sostanziale è la ragione. “L’uomo, con la sua ragione – ha spiegato Scola – è capace di attingere il
vero che sempre fa tutt’uno con il bene ed il bello.
Ma la ragione comprende il reale restando in connessione inscindibile con la volontà. È questa la natura del cuore, nel quale si uniscono conoscenza e affettività”. È mediante il cuore che il mondo si offre come fonte di stupore e rinvia oltre le cose, aprendo la strada che porta a Dio.
Ne nascono due implicazioni. La prima è che Dio non è altrove ma dentro la realtà. La seconda è che se Dio è dentro la realtà, allora nessun uomo è lontano da Lui né si può allontanare da Lui. Come dice san Paolo: quello che si può conoscere di Dio lo possono conoscere tutti.
Certo la bestemmia è sempre possibile, ma negando Dio l’uomo rifiuterà la propria “esperienza umana integrale ed elementare”. Secondo Scola, comunque, sul terreno dell’individualismo, creato da questa negazione, può prendere forma l’invocazione del ritorno di Dio, non a partire da programmi astratti ma solo “grazie alla paziente ricostruzione di relazioni buone, nelle quali imparare a vivere e a compiere il bene attraverso pratiche virtuose”.
Il terzo film richiamato dal cardinale è Fratello dove sei?, l’odissea di tre evasi, la cui conclusione dà modo a Scola di definire un altro elemento insopprimibile della grammatica dell’umano: la natura del soggetto è relazionale, l’io è duale (anima-corpo, uomo-donna, persona-società) e il suo vero nome è io-in-relazione. Questa grammatica dell’umano ha un ultimo elemento: la domanda di salvezza e di redenzione.
La fragilità umana rompe l’unità col reale, rende la “grammatica” incomprensibile, compie il male. Quel che conta però è che il male non è l’ultima parola sull’uomo, se uno lo riconosce e chiede perdono. L’uomo non è definito dal peccato ma dalla sua domanda di salvezza. “Il luogo della salvezza – ha spiegato Scola – è il gesto di Cristo che sulla croce offre se stesso al Padre per riconciliare il mondo con Dio”.
Il quarto film è Il concerto, testimonianza del desiderio di un Dio familiare. La protagonista, una violinista famosa, desidera sentirsi addosso, ogni volta che suona, magari solo per un istante, lo sguardo dei suoi genitori che non ha mai conosciuto.
Ma quale ruolo, in tutto questo gioca la Chiesa? Essere il luogo della fede in Cristo, quel Dio fatto uomo che ha, appunto, reso familiare il divino all’umano. La Chiesa viva è sempre santa, al di là, dei peccati, perché redenta e può proporre l’avvenimento di Cristo.
La Chiesa non è un accessorio trascurabile ma “condizione indispensabile per desiderare Dio” che invita a vedere l’uomo nuovo: l’io-in-relazione, non un io ridotto al puro esperimento di se stesso. Come si impara questo? “Anzitutto attraverso l’Eucaristia e la liturgia – ha risposto il cardinale – luogo primario dell’amore familiare di Dio, esperienza di un sàpere, gusto, che diventa sapere. La Chiesa che ogni mattina, con il semplice segno di croce, mi ripete il saluto carico di speranza: benvenuto nel mondo reale!”.
Ma la grammatica di Dio chiede di essere parlata dal testimone degno di fede, “da colui che ama per primo e in ogni istante come fosse l’ultimo”. Un testimone che, però, non riconduca a se stesso ma a Gesù. “In concreto per il cristiano – ha chiarito il cardinale – la testimonianza consiste nella sequela di Gesù, carica del coraggio di riconoscerLo di fronte al mondo. Il vero testimone è colui che, condividendo di persona anche l’ultimo frammento del desiderio che permane sempre in ogni uomo, ridesta nel suo cuore la nostalgia del desiderio di Dio, cioè del compimento della propria felicità. Questa nostalgia si chiama santità”.
(D.B.)
Rimini, 25 agosto 2010