“Siamo tutti definiti da una sguardo che ci genera”- risuona la voce della scrittrice Vittoria Maioli Sanese nello spazio Eni caffé letterario del padiglione D5 della fiera di Rimini.
La sala è gremita di gente per la presentazione del quarto libro edito da Marietti 1820 della riminese psicologa della coppia e della famiglia “Chi sei tu che mi guardi così. Padre, madre e figli”. Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, è l’interlocutrice di questo tête-à-tête letterario. L’evento generativo non si ferma a un mero fatto biologico ma si gioca nel modo in cui i genitori guardano i figli.
“La coscienza dell’‘Io sono’ passa da un tu che ti ha guardato e generato in quel momento” – spiega la scrittrice. Se la consistenza di noi risiede nello sguardo di chi ci guarda, “come è possibile il rapporto con la libertà dell’altro?”, chiede la presidente. La libertà altrui è intoccabile perché l’“altro è l’altro me stesso”.
Nel rapporto con un altro ri-troviamo noi stessi e questo consente di superare l’estraneità profonda che spesso avvertiamo nei rapporti. La domanda “chi sei tu?” è il preludio per addentrarsi nella conoscenza di sé, avventura essenziale della vita: “Il criterio con cui vivere – chiude la scrittrice- è l’esigenza di conoscere di che cosa sono fatto, qual è l’oltre che mi definisce”.
È poi la volta del libro di Salvatore Abbruzzese, docente di Sociologia della religione all’Università degli Studi di Trento. “Un moderno desiderio di Dio. Ragioni del credere in Italia”, pubblicato da Rubattino, vuole essere un “termometro della religiosità del nostro tempo”- afferma Camillo Fornasieri, direttore del Centro culturale di Milano. Sul palco vi è anche Carmine Di Martino, docente di Gnoseologia all’Università degli Studi di Milano.
“La comune idea che l’uomo moderno non abbia bisogno di Dio è falsa e smentita dai fatti”. Abruzzese per documentare la sua affermazione ricorda l’appello di Giovanni Paolo del 1982 a Santiago di Compostela, le “sentinelle del mattino” di Tor Vergata durante la GMG del 2000, infine cita la Fallaci che, pur essendo atea, si sentiva “accarezzata dalle campane e invidiosa di chi vive nei monasteri”.
Contro la mentalità secolarizzata che reputa “illuso chi crede nel senso religioso”, Abruzzese sostiene che il paradigma dell’uomo è piuttosto il desiderio di Dio. Di Martino sottolinea che se la fede ha ancora una possibilità di fascino, essa risiede nel fatto che il cristianesimo corrisponde alla natura umana. “Il rapporto con l’Altro non è solo bisogno, ma essenza della vita”.
Il fatto religioso spalanca la dinamica del desiderio del cuore, in tutta la sua ampiezza e riporta l’uomo alla sua originale posizione di dipendenza. Questo rende interessante la fede oggi. “L’indebolimento delle illusioni della teletecnoscienza – spiega il professore milanese – è solo una delle concause della rinascita del fenomeno religioso” (nel 1980 il 20 per cento della popolazione si dichiarava non credente e non praticante, nel 2005 la percentuale è scesa al 12 per cento). La ragione profonda per cui Dio tocca il cuore dell’uomo è che “sotto la secolarizzazione resta un’apertura che attende un incontro”.
(E.M.)
Rimini, 25 agosto 2010