“Dalla tenda alla casa – La mia vita rinata in un incontro” e “La vita in gioco. Eluana e noi”: due libri che raccontano di due persone che non ci sono più e di quello che è accaduto grazie a loro ed intorno a loro. Due libri che muovono tutti noi ad una responsabilità verso la vita e verso le persone che incontriamo quotidianamente: questa la coscienza che si leggeva, visibilmente, sui volti delle persone che uscivano dalla saletta del “Caffè letterario”, troppo piccola per contenere quanti erano accorsi, alle 19, per partecipare ad un avvenimento che si annunciava come straordinario. E le attese non sono andate deluse.
Il primo libro, curato da Eugenio Dal Pane, racconta l’esperienza della casa di accoglienza San Giuseppe e Santa Rita, nata dall’incontro dello stesso Dal Pane e della moglie con Novella Scardovi ed il marito. Incontro – apparentemente casuale, avvenuto nel luglio 1977 in un campeggio dell’appennino tosco-romagnolo – nel quale l’angoscia e la solitudine di Novella erano state vinte di schianto dall’aver percepito un’accoglienza gratuita. Erano bastati l’invito a dire insieme le lodi e poi la familiarità che ne era nata, il mangiare insieme, per far capire a Novella “che la vita non era una fregatura e che Dio non era nemico”, se mostrava il suo volto buono attraverso quegli amici. Da questa esperienza nasce in Novella l’intuizione della “casa”, che maturerà con il tempo. L’incontro fatto aveva salvato la sua vita nell’esperienza del quotidiano ed era stata l’occasione per una ripresa del significato del vivere all’interno di una appartenenza. Proprio dall’aver sperimentato che senza un popolo l’io si perde e che il vero dramma dell’uomo è la solitudine, maturava in Novella il desiderio di ricostruire il popolo offrendo compagnia a chi ne aveva bisogno: nasceva così la casa di accoglienza.
Al racconto di queste origini fatto da Dal Pane, è seguito l’intervento di Adele Tellarini, che, dopo la morte di Novella, ha assunto la responsabilità della casa. La Tellarini ha detto del suo rapporto con l’amica, ravvivato dalla lettura del libro, che è ”la possibilità di stare con Novella e di riprendere la bellezza di un’amicizia che aveva rilanciato la vita al vero. Nella nostra storia è Dio che opera: questo è ciò che Novella ha testimoniato; il bene di Dio è stato incontrato attraverso volti precisi e Novella era una donna commossa dal bene di Dio”.
“L’incontro tra noi – ha proseguito – è nato dalla domanda comune a capire cosa c’entrasse Cristo con il nostro lavoro nel sociale. È stata, insieme, una compagnia ad andare a Cristo, una costruzione delle nostre persone e della realtà che incontravamo. E questo tipo di amicizia può accadere a tutti e sostiene nello stare con verità di fronte alle cose ed alle persone che si incontrano. La stessa capacità di amicizia è stata sostenuta da una compagnia: è un’appartenenza che ti genera. Novella aveva poi la coscienza che la casa, che aveva fatto lei, non era sua, ma era di Gesù; essa parlava di un noi. La consapevolezza di questo era sempre presente”.
“Un’altra caratteristica di Novella – ha concluso la Tellarini – era la sua apertura alla realtà, la curiosità, la voglia di imparare dall’altro, di paragonarsi; senza gli altri – diceva – non si fa nulla e si tratta di costruire insieme per il mondo. Per questo stanno nascendo anche nuove case di accoglienza. Si tratta di credere nel cuore dell’uomo e che il bene cambia”.
Massimo Pandolfi è, invece, l’autore dell’altro libro presentato: “La vita in gioco. Eluana e noi”. A presentarlo sono stati Davide Rondoni, l’autore – giornalista, e Clementina Isimbaldi, presidente dell’Associazione Medicina e Persona.
Davide Rondoni ha evidenziato l’importanza del libro che aiuta a fare chiarezza su tutte le falsità dette in occasione della “vicenda Englaro”. “La violenza sulla realtà – ha sottolineato lo scrittore – inizia dalla violenza sulle parole, per poi giustificare la violenza sulle cose, sulle persone e, appunto, sulla realtà. Con il libro ci si può finalmente avvicinare a ciò che è realmente accaduto”.
L’Autore ha detto che il suo libro vuole essere “un messaggio di amore, di speranza, di certezza per il futuro. Vuole lanciare un messaggio contro l’ideologia. Quell’ideologia che ha stravolto la realtà delle cose. La verità è che nessuno è stato in grado di aiutare il padre di Eluana che, ad un certo punto – è comprensibile – non ce la faceva più. Come ha detto Jannacci, ci sarebbe stato bisogno di una carezza del Nazzareno. Senza la sua presenza crolliamo noi per primi. Il libro è la continuazione di un cammino intrapreso con altri libri, scritti con l’aiuto determinante di persone malate, rese gravemente invalide, che però testimoniano il loro attaccamento alla vita, come Mario Melazzini – presente in sala -. Queste persone testimoniano che si può vivere così, ma anche che questo è possibile per una compagnia che non viene mai meno”.
Ha chiuso l’incontro Clementina Isimbaldi, medico, che ha detto che quello che è accaduto a Eluana interpella noi, di fronte ad una società che spinge a rimanere estranei ed indifferenti a fatti di questo genere. “La scienza – ha detto il medico – non sa dare risposte precise sullo stato delle persone in coma, può solo attestare che sono vive. E l’osservazione ha fatto vedere che Eluana, di fronte a persone che dimostravano di amarla, come una delle suore che l’assistevano, sorrideva, mentre, sospesa l’alimentazione, stravolgendo tutte le attese ed i “protocolli”, è morta prima che gli altri se lo aspettassero. Questo a noi medici dice che solo se mettiamo in gioco la nostra umanità con la persona che abbiamo di fronte possiamo conoscerla realmente: si conosce solo ciò che si ama e solo così la ragione non si chiude.”
(A.M.)
Rimini, 25 agosto 2009