Un antichissimo idioma dalle misteriose origini dà voce al desiderio di pace e di bellezza di un intero popolo. Questo il segreto del gruppo vocale Oldarra, esibitosi questa sera all’arena D3, formazione corale che, a differenza degli etarras, vuole affermare la positività della vita senza ricorrere alla violenza. Fondato a Biarritz nel 1936, il coro euskero è nato con l’intento di valorizzare e preservare la tradizione orale della cultura basca, soprattutto di terra francese. Apprezzati e commentati persino da don Giussani, gli “alpini dei Pirenei” propongono un concerto volto a trasmettere l’amore e l’orgoglio per la propria storia, per troppi anni segnata da violente guerriglie e atti di terrorismo.
La performance canora è suddivisa in due parti. La prima è dedicata alla religione e all’amore, elementi fondamentali del repertorio sonoro basco, mentre la seconda si focalizza sul recupero delle radici popolari come l’attaccamento alla terra, alla famiglia, alla danza e al lavoro. Dopo una breve introduzione del docente di musicologia e curatore della collana “Spirito gentil” Pier Paolo Bellini, a dare il via alla serata sono i brani “Iru Errege” e “Egon Atzarririk” relativi al rapporto dell’uomo con il divino. Mentre il primo ha un attacco decisamente greve e cupo, il secondo traduce in linguaggio musicale l’atmosfera rarefatta e distesa dell’accorata invocazione rivolta al Cielo.
Anche nelle seguenti canzoni religiose, “Agur Maria” e “Aita Gurea”, il tessuto sonoro creato dalle modulazioni vocali del gruppo conferisce un’aura di pace e tenerezza all’Ave Maria e Padre Nostro baschi. Le successive sei canzoni che completano la prima parte sono invece riferite al tema dell’amore. Tra tutte spicca “Maitia Nun Zira?”, un racconto-dialogo di una giovane sposatasi contro il volere della famiglia. Partendo da un attacco sereno e leggero, nel corso del brano le linee morbide e modulate vengono spezzate da secche battute dialogiche recitate in lingue euskera. Degne di nota sono anche la nostalgica “Illunabarra” e la festosa “Nafarroako Irudiak” entrambe caratterizzate da un crescendo potente ed energico culminante in un altrettanto esplosivo finale.
La seconda parte dello spettacolo inizia con il malinconico requiem “Kitolis”, il canto portafortuna “Boga Boga” e l’energica “Beti Eskama Kentzen”, tutte e tre dedicate al tema del lavoro svolto sia in mare sia in terra. Tra i canti che narrano dell’affetto per la patria e la danza, si distinguono la splendida canzone allegorica “Txoria Txori”, dalla dolce e avvolgente costruzione armonica, il concitato ritmo zortziko di “Beti Maite”e il brano interamente musicale “Dantzak”, omaggio ai balli tradizionali baschi che fornisce un esempio della grande estensione vocale e capacità tecnica del coro.
Al termine della performance il direttore Inaki Uritzberea ringrazia il numeroso pubblico presente in sala (molti anche gli ospiti d’onore tra cui il vescovo spagnolo Jesus Sanz) e lascia spazio all’esecuzione di altri tre brani fuori programma, tra cui un canto alpino in italiano e un’allegra ballata in castigliano.
(M.M.)
Rimini, 26 agosto 2008