A metà del Duecento, la giullaressa Faustina, figlia di Nando, parte da quartiere romano dei Parioni, alla volta di Venezia. Lì, nella città dei mercanti, sfoggerà il repertorio di “guerre, battaglie e squartamenti”, per continuare degnamente la tradizione di famiglia. Ma qualcuno, l’apostolo san Giacomo, si mette sul suo cammino e, suo malgrado, la porterà dall’altra parte dell’Europa, sulla sua tomba in Galizia, in quell’angolo nord occidentale della Spagna che si protende nell’Atlantico. E nella “buona città dell’Apostolo”, davanti al Portico della Gloria, Faustina capirà che a quel viaggio era destinata e coglierà il significato del suo pellegrinare e della sua vita.
Per più di un’ora, Marinella Montanari tiene la scena da sola, in compagnia di una panca, un asse di legno su due cavalletti, un rotolo di pergamena e una borsa sulle spalle. Un monologo che non annoia, che mette in cammino lo spettatore, lo coinvolge al punto che, quando sulla scena viene scoperto il Portico della Gloria, l’applauso nasce spontaneo, come se si fosse tutti arrivati alla fine del viaggio. Marinella balla, gesticola, danza, si dimena, sfoggia un repertorio mimico invidiabile. Ma quel che rapisce è la voce, una voce che ti fa sorgere davanti agli occhi quel che descrive o racconta. Una voce con una gamma di timbri e di toni sorprendente: ora roca e profonda, altrove acuta e squillante, stridula alla bisogna; che grida o bisbiglia come in confessione. Virtuosa senza civetteria, la voce di Marinella scivola nel grammelot senza darlo a vedere e gioca con idiomi e dialetti in un mistilinguismo che fonde napoletano e romanesco, italiano e francese, spagnolo e fiorentino. Assolutamente godibile l’affresco di parole, gesti e onomatopee con cui l’attrice raffigura la fiera annuale di Lione: nature morte di carni, verdure e formaggi insieme a quadri di vita animata di mercanti e banchieri.
Fra un incontro e l’altro – che una mano provvidenziale pone sul suo cammino, portandola dove non avrebbe voluto – Faustina racconta la vita di san Giacomo, il suo martirio a Gerusalemme e il rinvenimento del suo sepolcro in Galizia. Insieme alle persone scorrono i luoghi del pellegrinaggio giacobeo: Roncisvalle, Santo Domingo della Calzada, Fromista, Astorga, Leon, Villafranca, Cebrero, fino al Monte della gioia, alle porte di Santiago.
Faustina è un giullare, a tratti irriverente, che si fa gioco degli angioletti celesti che circondano la Madonna, o scherza sui miracoli di san Giacomo. Ma anche che si commuove per ”gli occhi boni di Gesù che chiama, che sono come le carezze di babbo e mamma”, e non si sottrae all’invito degli incontri provvidenziali. Fino ad arrivare alla statua dell’apostolo, che sorride all’ingresso della cattedrale, e al “botafumeiro”, il gigantesco turibolo di argento, che oscilla, appeso al soffitto della navata centrale. E fra le spire dell’incenso, il canto dei pellegrini che rivela a Faustina la ragione dello scopo della vita: “Ultreïa! Ultreïa! E sus eia. Deus aia nos ” (E avanti! e oltre! Dio ci aiuta).
(D. B.)
Rimini, 26 agosto 2008