70. AIDS, un problema culturale

Press Meeting

La prevenzione e il tentativo di cura dell’Aids costituiscono ormai da alcuni decenni una tematica fondamentale, cui molti luminari delle scienze mediche ed infermieristiche hanno cercato di dare risposta. Il punto della questione è stato fatto durante l’incontro “Aids, un problema culturale”, alle 15.00 in Sala A2.
L’introduzione è stata condotta da Marco Gregni, presidente dell’associazione Medicina e Persona: “Trattare la difficile tematica della prevenzione dell’Aids – ha detto – costituisce un aspetto molto delicato per il nostro movimento. Significa, infatti, trattare l’importante tematica della sessualità, intesa come incontro nella coppia, all’interno della nostra cultura. Papa Ratzinger ha spesso espresso chiaramente la posizione della Chiesa nei confronti di questa tematica ed ha ricevuto talvolta attacchi; noi però dobbiamo basare il nostro giudizio sui dati di fatto. I fatti dicono che in Africa il numero dei malati ha avuto un elevato incremento nel corso degli anni”.
L’ampio contributo di Edward Green, direttore dell’Aids Prevention Research Project della Harvard School of Pubblic Health and Center for Population and Developement Studies ha sottolineato l’importanza di un adeguato intervento di prevenzione. “Il nostro programma di prevenzione è stato aperto all’inizio degli anni Ottanta; ci siamo confrontati con il governo dell’Uganda con cui abbiamo seguito un vasto piano di prevenzione”. Secondo Green la chiara posizione della Chiesa nei confronti della contraccezione e dell’utilizzo del profilattico ha dovuto confrontarsi con la cultura africana, dove sussiste una cultura spesso improntata alla promiscuità sessuale e la trasmissione della malattia inizialmente era sconosciuta, proprio per motivazioni di cultura e di formazione. “Abbiamo chiamato il piano di intervento della prima metà degli anni ottanta ‘Risk Education’: ha richiesto inizialmente una sensibilizzazione alla modifica, in generale, del comportamento sessuale della popolazione”.
L’equipe coordinata da Green ha promosso il piano intervento ABC, che si è proposto di evitare in primo luogo l’esposizione ai fattori a rischio. “Sensibilizzare la popolazione all’utilizzo del profilattico è stato abbastanza problematico. – ha raccontato il docente – All’inizio degli anni Ottanta non ne era ancora dimostrata l’efficacia contro la prevenzione della malattia. In un secondo momento abbiamo cercato di sensibilizzare la popolazione al valore della sessualità e al suo legame nei confronti della procreazione. Abbiamo ricevuto appoggi anche dagli Stati Uniti, dal governo Clinton e da Bill Gates”. Il dilagare e l’espandersi dell’Hiv ha avuto, infatti, il primo campanello di allarme all’inizio degli anni Ottanta proprio a San Francisco. “La difficoltà maggiore nella conduzione dei nostri piani di intervento è consistita nel fatto che spesso il nostro operato è stato inteso come un invito all’astinenza, ed ha trovato grandi resistenze, specie nella cultura omosessuale”.
Molto articolato è stato anche il contributo del medico Filippo Ciantia, che ha sottolineato come i programmi di sensibilizzazione culturale debbano necessariamente andare di pari passo al progresso scientifico e medico: “Le scoperte che via via si sono susseguite sull’Hiv sono state molto numerose – ha esordito Ciantia – i vasti programmi di prevenzione sono stati molto importanti; sottolineo anche il sacrificio di molti infermieri ed operatori sanitari, che hanno contratto la malattia a causa dell’iniziale scarsa conoscenza della profilassi nella cura dei pazienti; abbiamo fatto grandi progressi nel combattere la malattia soprattutto grazie al loro sacrificio”.
Rose Busingye, responsabile del Meeting point di Kampala, è stata applaudita dal folto pubblico: “Non necessariamente la persona che ha l’Aids è un persona infelice”, questo il suo esordio. “Lo strumento fondamentale dev’essere anzitutto la relazione; le modalità di intervento devono infatti essere valide ed efficaci, però la paura fa spesso sparire il senso della vita e dell’incontro con l’altro. Personalmente sono molto contenta di avere contribuito a finalizzare l’affettività di molte persone al formare una famiglia, all’avere dei figli e alla procreazione. Ho vissuto il mio lavoro di ricerca e prevenzione come una missione e, contemporaneamente, come una grande grazia; questo ha fatto sì che io potessi trasmettere ad altri l’amore per la vita”.

(F.P.)
Rimini, 25 agosto 2009