Rimini, mercoledì 22 agosto – Un fiume in piena: questo è Aldo Brandirali, uomo politico e promotore del gruppo Servire il Popolo, che per un’ora buona si è raccontato al pubblico nell’incontro, delle 12.30, dal titolo “’68 e oltre. Si può ancora servire il popolo?” (Arena della Storia A5), intervistato dal giornalista Andrea Avve-duto.
Di quel periodo, Brandirali non butta via niente. “Se non avessi fatto il ’68 pieno di domande, di contraddizioni, di fallimenti, non corrispondente con i bisogni e il reale – dice – non avrei incontrato don Giussani che trentasei anni fa mi ha fatto il dono di Gesù, che restituisce me a me stesso”.
Da piccolo frequenta l’oratorio, il papà lo manda in chiesa, fa il chierichetto ma qualcosa non lo convince; non lo convince soprattutto il moralismo dominante e bacchettone del periodo. “Non potevo giocare al pallone perché non avevo le scarpe, il prete invece di capirmi mi dava ceffoni ad ogni sbaglio”. Poi il periodo della militanza in Azione Cattolica.
Durante la rivoluzione studentesca ha 27 anni. Fa prima l’operaio, poi il sindacalista, il militante del partito co-munista, poi è curatore del giornale “Servire il popolo”. È in questo periodo che scoppia la voglia di rompere col passato ed incominciano a germinare le domande sulla vita, sul significato dell’esistenza, sul senso comune degli uomini e della storia. Aggiunge: “Anche la partecipazione nella ‘comune’, dove mettevamo insieme i soldi per gli ideali, era il tentativo per dare risposte utili alla gente, era il nostro modo di servire il popolo; dopo un po’, però, mi sono accorto che non avevo riferimenti culturali”.
Il ‘68 ha rappresentato uno spartiacque nei rapporti fra figli e genitori. “Ci chiedevamo – prosegue – quali fos-sero i punti in comune con i nostri padri, contestavamo il loro modo di pensare e agire, era il periodo della lotta fra la classe operaia e quella borghese”. È il periodo delle teorie marxiste, del popolo sfruttato contrapposto agli sfruttatori, del popolo come massa contro la classe borghese, proletariato contro capitalismo.
Anche in questi anni Brandirali non si ferma, si interroga, è alla ricerca di risposte, è critico contro le sue stesse idee. Le risposte arrivano agli inizi degli anni Ottanta, quando incontra don Giussani. “Di lui – dice – mi ha colpito profondamente il suo approccio con la realtà. Quando l’ho visto per la prima volta mi ha detto ‘Aldo, che en-tusiasmo, che passione!’ “.
La conversione è un cammino lento e ci vuole tempo per capire. Gli anni della politica lo affascinano e lo delu-dono allo stesso tempo (“la politica vera è servizio gratuito e responsabile”, sottolinea). Fino al 2011 occupa vari incarichi nelle amministrazioni comunali di Milano, poi decide di lasciare definitivamente la politica. Oggi si definisce un educatore. Determinante è l’aiuto della moglie, una figura importante, presente in sala. Di lei dice: “Mi ha aiutato a liberarmi dall’ideologia, a capire che la vita è un movimento aperto. Da quell’incontro col don Gius sono passati 36 anni. “Oggi posso dire che, come allora, si può servire il popolo ma in un modo diverso. Oggi servire il popolo, per me, è servire Cristo, il vero Amore. Il pensiero moderno ti dice che c’è contraddizione fra l’io e il tu. Invece ho imparato che non c’è contraddizione, è la stessa cosa. Cristo è rivoluzionario, la battaglia per l’affermazione dell’amore è faticosa ma lascia una bellezza ed un gusto di vivere unici”.