Rimini, Lunedì 20 agosto 2018 – Nello spazio del Padiglione A5 denominato Arena della storia, si è svolto alle 12.30 il secondo incontro del ciclo dedicato al ’68. Protagonista del confronto, Franco Bo-nisoli, ex terrorista delle BR, che ha partecipato al sequestro di Aldo Moro e all’omicidio della sua scorta. A intrevistarlo, Annalisa Costanzo, una delle curatrici della mostra “Vogliamo tutto” e Marta Busani, coordinatrice del ciclo. Così quest’ultima ha introdotto il dialogo: “Il motivo per cui è stato invitato Bonisoli è dato dal fatto che la sua vita è stata mossa dal desiderio di costruire un mondo nuovo, determinata da un’ideologia che l’ha portato ad una disumanizzazione. L’ideologia tende a dare una spiegazione semplificata della realtà, come accade spesso anche ai nostri giorni”.
Bonisoli ha accettato l’invito non sottraendosi a nessuna delle domande, davanti a un pubblico attento, curioso e molto numeroso. Ha raccontato di sé, della sua storia personale, di come ha vissuto – all’epoca ancora tredicenne – la stagione del Sessantotto. “C’era l’esigenza di sentirsi protagonisti. Di essere riconosciuti dagli adulti. La contestazione era un vento che soffiava, coinvolgente. Esprimeva l’esigenza di costruire una società più giusta”. Come è arrivato alla lotta armata?, chiede Costanzo: “Nato da una famiglia operaia, che aveva attraversato la seconda guerra mondiale e la lotta partigiana, come altri giovani sentivo l’esigenza di portare a compimento quello che la Resistenza non aveva realizzato”.
Lasciata prematuramente la scuola “abbracciai l’ideologia marxista-leninista”. E per abbattere lo sta-to, occorreva l’uso delle armi: “Questo presuppone l’omicidio politico”, scandisce lentamente, trat-tenendo quasi le parole, con gli occhi visibilmente lucidi. “Chi ha fatto la scelta della lotta armata non l’ha fatto per motivi di potere. Era la scelta di dare la vita per una causa. Si pensava che valesse la pena”. Bonisoli racconta e si commuove profondamente: “Quando metti in pratica queste teorie con l’uccisione di quelle che adesso chiamo persone, si finisce per negare i valori che ti hanno portato all’inizio a fare quelle scelte. Sì, perché prima devi reificarle, ridurle a funzione, ruolo, cose”.
Cosa ha permesso a Bonisoli di uscire dalla spirale della violenza? “Non è stato facile. Dopo essere stato arrestato e condannato con quattro ergastoli, per un totale di 105 anni, mi sentivo sempre più confermato nelle mie teorie. Si andava al processo come se ci ritrovasse per il congresso di partito, dove si stabiliva la linea”. Al carcere Le Vallette di Torino, dopo lunghe peregrinazioni nelle prigioni di massima sicurezza, comincia ad accadere qualcosa: “Cominciano ad affiorare i dubbi. All’epoca mi davo delle risposte richiamando alla mente Marx, Il Capitale, ma non mi bastavano. Cominciai a non crederci più”. In carcere cominciano le defezioni, il fenomeno del pentitismo. “Iniziò una fase implo-siva. Chi cedeva era considerato una mela marcia. Le mele marce diventarono molte. Iniziammo ad ammazzarci fra di noi”. Insieme ad altri brigatisti, fra cui Alberto Franceschini, fondatore delle BR, Bonisoli inizia uno sciopero della fame: “Coincise con l’idea di deporre le armi”.
Nell’opinione pubblica ha grande risonanza la lettera di un cappellano militare che parla apertamen-te di “un terrorismo di stato all’interno della carceri”. Il fatto clamoroso rende i politici attenti a quel-lo che avviene nelle carceri. “Mi ritrovai un giorno seduto sulla mia branda Marco Pannella. Pensavo fosse l’effetto dello sciopero della fame”, afferma Bonisoli scherzosamente. Il dialogo con il cappellano, “innanzitutto un uomo”, e poi con il direttore del carcere gli hanno permesso la risalita “dalla natural burella, come direbbe Dante, fino al purgatorio dell’espiazione”. In questi ultimi anni, è poi maturato un percorso di dialogo con i parenti delle vittime. Inizialmente svoltosi in forma discreta, con la mediazione del padre gesuita Guido Bertagna, il criminologo Adolfo Ceretti e la giurista Claudia Mazzuccato, i contenuti sono stati resi pubblici ne “Il libro dell’incontro” (edizioni “Il Saggiatore”).