Rimini, giovedì 23 agosto 2018 – Incontro alle ore 12.30, nell’Arena della Storia A5, con Pier Alberto Bertazzi, medico e docente all’Università degli Studi di Milano, che nel ’68 viveva l’esperienza di Gs-Gioventà studentesca (gli studenti delle superiore del movimento di Comunione e Liberazione). Ad intervistarlo c’è Margherita Bertani, studentessa all’Università Cattolica di Milano. A tema: desiderio e idolo.
Perché la tua generazione inizia a sentirsi inappagata? E di che cosa si sente inappagata?
“Non posso rispondere senza partire dal titolo di questo Meeting che mette al centro il problema della felicità mia e del mondo. È il problema che si pone ad ogni generazione, quindi anche a quella del ’68. Com’è stato risolto allora? Purtroppo con l’idolo, che non è mai appagante. Molti giovani avvertivano fortemente avverse le contraddizioni della società: negli Stati Uniti si sentivano le ingiustizie come la discriminazione razziale, nell’Unione Sovietica il tentativo di creare una società perfetta a scapito della libertà e dell’iniziativa personale. In Europa la contestazione partiva da fatti concreti: il maggio ’68 in Francia e il tentativo di riforma universitaria del maggio ’67 in Italia. Io a quell’epoca, avevo già sperimentato la pienezza che viene dalla potenza del desiderio di felicità e non ero inappagato. L’avevo vissuta nell’incontro con l’esperienza di Gioventù studentesca. Accorgersene era fondamentale per tutti, ma molti non l’hanno visto”.
Il ’68 è stato un fenomeno globale. Come guardavate a ciò che accadeva nel mondo?
Di certo hanno avuto il loro fascino molte teorie, dalla rivoluzione permanente di Mao in Cina a quanto accadeva a Est, dove già i fatti di Budapest del ’56 erano stati significativi. Il fatto più clamo-roso fu però quanto successe a Praga, nell’agosto del ’68: il sacrificio del giovane Jan Palach, che si diede fuoco in Piazza San Venceslao come gesto estremo di protesta contro l’occupazione del suo Paese da parte delle truppe sovietiche. Molto dopo, attivisti francesi e tedeschi quali Daniel Cohn-Bendit e Rudy Dutschke ammisero che quello era davvero un grido profondo, che non erano stati capaci di ascoltare. Qualcuno però era già in grado di cogliere quel grido: nel 1959, Gioventù studentesca promosse un convegno con questo titolo: “Vivere la dimensione del mondo: le dimensioni universali della Chiesa sono le dimensioni morali del cristiano”.
Tu non hai voluto condividere quello che altri hanno seguito. Che cosa hai trovato in GS?
Era chiaro che tanti partivano per una strada di distruzione di sé: molti sono finiti nella droga, molti schiacciati dalla disillusione e dalla generosità tradita. Per molti degli amici che avevo in quel periodo avrei dato tutto, sarei andato ovunque. Quando qualcuno mi pose davanti al problema di chi seguire, mi fu chiaro: io non me ne andai da Gs per la risposta che avevo riconosciuto, non risolutiva, ma aperta a un cammino che dà speranza e che dura per tutta la vita.