Don Julián Carrón parla al Meeting e lo fa davanti a oltre 20mila spettatori che occupano ogni angolo dell’area che ospita l’evento. Numerose le persone assiepate anche fuori dall’auditorium B7 per seguire il successore di don Giussani davanti ai megaschermi sparsi per tutta la fiera. Il tema introdotto da Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia dei popoli, è “Avvenimento e conoscenza in San Paolo”. Guarnieri ricorda che l’incontro s’inserisce in una serie di eventi, a conclusione dell’anno dedicato all’Apostolo delle genti e a pochi giorni dalla scoperta – che avvalora una plurisecolare tradizione – dei resti umani di Paolo di Tarso. La presidente della Fondazione ringrazia don Carrón “per essere qui a parlare, da professore, di san Paolo”. Ma il grazie nasce anche “dal segno di amicizia e paternità dimostrato dall’essere oggi con noi”. Don Carrón esordisce spiegando come “in un Meeting per l’amicizia fra i popoli che mette a tema la conoscenza, difficilmente avremmo potuto trovare un testimone migliore di Paolo per documentare la verità del titolo scelto: La conoscenza è sempre un avvenimento”. Il sacerdote spagnolo ricorda “il ribaltamento, secondo la testimonianza dello stesso Paolo, nel passaggio da persecutore ad apostolo di Colui che in precedenza aveva accanitamente perseguitato”. Questo ribaltamento ha origine nell’avvenimento di Damasco: “L’essenza della conversione di Paolo fu la rivelazione di Gesù Cristo. È questa presenza di Cristo risorto a sostenere l’apertura della ragione, affinché Paolo possa percepire adeguatamente il significato di quell’incontro, provocando in lui l’attrazione che permette alla libertà l’adesione amorosa alla Presenza”. “Paolo – ha proseguito Carrón – si è dimostrato ragionevole, accettando di sottomettere la sua ragione alla conoscenza della realtà di Cristo, così come si era resa trasparente in quell’esperienza”. Il relatore ha spiegato poi che quello che è successo sulla via di Damasco è “una nuova conoscenza”, che ha “obbligato Paolo a rivedere tutte le categorie fondamentali del suo pensiero alla luce della conoscenza di Cristo”. Questo non vuol dire – prosegue – che l’Apostolo delle genti capì tutto dall’inizio, ma la visione che Dio gli concesse gli fornì il criterio che avrebbe illuminato tutto quello che doveva imparare su Gesù”. Illuminante il caso della lettera ai Galati. Paolo la scrive per dimostrare che non c’è un altro vangelo diverso da quello che ha predicato e per farlo sceglie di accontare la sua vicenda personale. Il suo vangelo è quello degli apostoli (Pietro, Giovanni e Giacomo), che dopo averlo ascoltato non solo non gli imposero nulla di nuovo, ma gli tesero le mani in segno di comunione. “Ma Paolo – racconta don Carrón – fornisce anche ai Galati gli argomenti con cui potersi difendere dagli attacchi: egli si convince della verità di Cristo a partire dalla propria esperienza e ugualmente si appella alla loro. ‘Cristo ci ha liberati’, afferma, e ricorda loro i prodigi che lo stesso Spirito ricevuto ha operato fra loro”. Tiene molto, il presidente di Cl, a sottolineare, citando il biblista Vanhoye, che “nel contesto si tratta necessariamente di un fatto osservabile, altrimenti non potrebbe servire come argomentazione”. “Proprio perché è un fatto verificabile – insiste il relatore – i Gàlati hanno potuto fare l’esperienza dello Spirito, e ciò permette a Paolo di appellarsi a questa esperienza come criterio decisivo per chiarire il dilemma che ora devono affrontare”, e questo per il fatto che “Paolo crede nello Spirito divino perché l’ha sperimentato”, come afferma il biblista tedesco Hermann Gunkel. L’unica condizione quindi di fronte all’irrompere dell’avvenimento di Cristo è l’onestà e la lealtà rispetto all’esperienza vissuta. Ed ecco la sfida decisiva alla ragione: “Le grandi cose accadute non sono dovute all’osservanza della legge, ma solo alla fede in Cristo”, tant’è vero che “il Vangelo predicato da Paolo non includeva la legge come fattore determinante, ma soltanto l’ascolto della fede. Soltanto la fede è l’origine dei frutti che vedono con i loro occhi!”, ed è questa “la ragione per cui conviene abbracciare il vangelo che opera fra loro tanti frutti preziosi”. Carrón incalza parafrasando Paolo: “Non sono niente tutte queste esperienze positive davanti a voi? Volete tornare indietro? È come se Gesù in persona fosse lì a ripetere: volete abbandonarmi anche voi dopo tutto quello che avete visto?” La scelta è chiara: o l’interpretazione o l’esperienza. “Come l’esperienza sulla via di Damasco ha permesso a Paolo di riconoscere la verità su Cristo (e quindi di scegliere ragionevolmente tra le due interpretazioni della persona di Gesù, quella degli ebrei seguaci del sinedrio e quella cristiana), così l’esperienza dei Gàlati è ciò che permette loro di decidere in modo ragionevole tra le due interpretazioni del Vangelo”. “Stolti Galati!” tuona Paolo. Ma perché stolti? Perché non sottomettono la ragione all’esperienza, all’evidenza di straordinaria positività da loro vissuta. “Se l’esperienza non ha insegnato loro nulla – e qui Carrón cita J. Bligh – allora è stata inutile”. “È assurdo – è la conclusione – Non sono coerenti con la loro propria esperienza. Dio, invece, è coerente, non inizia in un modo per continuare in un altro”. Si arriva così a un’inevitabile domanda: “Ma è possibile raggiungere una ragionevole certezza sulla verità di Cristo?” L’esperienza di Paolo e dei Galati mostra la condizione per conoscere Cristo: la partecipazione all’avvenimento in cui lui si rende presente. Il frutto principale di questa esperienza è che avvenimento cristiano e ragione non si contrappongono nella conoscenza. Al contrario: “L’avvenimento cristiano libera la ragione dai limiti cui normalmente si conforma seguendo le usanze della propria cultura e tradizione, la restituisce al suo dinamismo più specifico, ossia all’aprirsi liberamente alla comprensione della totalità della realtà, e nella sua novità radicale, come presenza di Dio tra gli uomini, la porta gratuitamente più in là di dove arriverebbe con le sue proprie forze”. Basta non sottrarsi all’attrattiva della Sua presenza, non in modo acritico, con una resa incondizionata al vangelo, posizione indegna della natura razionale degli uomini, ma un adesione ragionevole e libera. “Questo – conclude Carrón – è il metodo non soltanto dell’inizio, ma anche della continuazione della conoscenza”. È Emilia Guarnieri a trarne un’immediata conclusione. “Il valore del testimone è indicare che la strada c’è e che è possibile percorrerla, senza paura dell’attrattiva che colpisce il cuore”. Come in questi giorni di Meeting.
(M.P., G.P.M.)