Qualità della vita, ruolo del legislatore e desiderio di vivere. Questi i temi al centro della conferenza stampa svoltasi oggi alle 14 che ha visto come protagonisti Giancarlo Cesana, professore di Igiene generale e applicata all’Università degli studi di Milano, e Sylvie Menard, consulente del Centro di oncologia sperimentale dell’istituto nazionale di tumori di Milano.
Nel riassumere il suo intervento pronunciato in mattinata durante l’incontro “Misurare il destino infinito? La qualità della vita”, Cesana ha ricordato che “si misura solo quello che dipende da noi, mentre la vita è qualcosa che sfugge, noi non ce la siamo data e non possiamo aggiungere nemmeno un giorno”. Non è un’affermazione di principio, come documenta la recentissima e tragica morte di due cattolici in India per mano di estremisti indù. A proposito della quale Cesana sottolinea: “Il Cristianesimo rompe ogni sistema di caste e il grande fascino dell’esperienza cattolica e cristiana è proprio il fatto che ogni uomo è protagonista, anche un malato. Per questo siamo perseguitati”.
“La vita – ha aggiunto Cesana – è qualcosa che sfugge. Ma oggi nella nostra società c’è un rischio, ossia che il malato disturbi e così si pensi di farlo fuori. Oggi è la medicina che regola la vita, ma misurare la salute di una persona è molto diverso dal misurarne la qualità della vita e bisogna stare attenti a non confondere i due piani”. Partendo proprio da queste premesse, Cesana ha posto una questione: “Se accettiamo che gli altri stabiliscano la qualità della nostra vita – si è chiesto il docente universitario – diventa allora un problema decidere chi debba farlo. Chi può infatti stabilire il diritto a vivere?”.
“Ho raccontato la mia testimonianza – ha esordito la dottoressa Menard -, perché una volta pensavo che la morte fosse una cosa che riguardava altri, non me. Quando tre anni fa mi sono ammalata di tumore ho dovuto rielaborare il mio pensiero ed è stata una rinascita. La mia esistenza è diventata più breve, ma più preziosa, da vivere fino all’ultimo”. Partendo quindi dalla sua personale esperienza, Menard è passata poi a parlare dei temi di bioetica oggi più scottanti. “Tanti in Italia sono a favore dell’eutanasia per gli altri – ha affermato – e non pensano alla fine della propria vita. Io vi posso dire che da sano uno non può dire come reagirà in caso di malattia, per questo il testamento biologico scritto da una persona sana non ha senso”. Anche sul tema dell’eutanasia la dottoressa parigina ha dimostrato di avere le idee ben chiare: “Sono contraria all’eutanasia, perché il diritto alla morte in quel caso rischia di diventare un dovere. Lo stato infatti non può bypassare i malati terminali senza venirgli incontro, si tratterebbe di un sistema sanitario crudele e non degno di un paese civile. E poi non ha senso discutere di eutanasia fino a quando le terapie del dolore non saranno diffuse in tutta Italia”.
Rispondendo alle domande dei giornalisti in merito alle spese che lo stato si assume per mantenere malati terminali, Menard ha affermato che “se eliminiamo le tante spese inutili oggi presenti nella sanità italiana, si possono trovare le risorse per curare i pazienti in fin di vita. Oggi in Italia – ha aggiunto – c’è un consumo di oppiacei pari a un decimo di quello che avviene in un paese vicino e simile come la Francia. C’è una sorta di inibizione da parte della classe medica per la paura di drogare il paziente e di rischiare di ammazzarlo. Ma anche facendo un trapianto di cuore ad un malato si rischia di ammazzarlo, eppure si tenta lo stesso”. Sempre in merito al tema delle cure del dolore, la dottoressa ha sottolineato l’importanza della proposta di legge avanzata dall’onorevole Paola Binetti secondo la quale il medico ha il dovere di curare il dolore del paziente.
Nel rispondere ad una domanda sul rapporto tra leggi di natura, libertà di scelta e ruolo del sistema sanitario, Cesana ha affermato che “il papà di Eluana Englaro non vuole l’eutanasia della figlia per motivi economici, ma perché la considera già morta. Lui non la sopporta, mentre le suore sì. Noi comunque in Italia non siamo alla canna del gas, al punto da non poterci permettere di destinare maggiori risorse a questo tipo di cure. Il vero problema è che si rischia di impedire la carità, il che significherebbe la fine della medicina”. “La medicina infatti – ha proseguito – è nata nel Medioevo per fare quello che non succedeva in epoca classica: curare. A Napoli c’è l’ospedale degli inguaribili, perché la medicina è nata per curare e non per guarire. Se si impedisce questo, la medicina è finita”.
“Gli ospedali di assistenza ai malati cronici – ha detto Cesana in conclusione – sono un problema perché oggi non ci sono più le famiglie e quindi i vecchi o i malati li si lasciano morire fuori casa, all’ospedale. Questo tipo di ospedale costa meno, come nel caso Eluana. Non costa molto lavarla, assisterla e mantenerla in vita col sondino. Ma siamo davanti ad un problema di affetto, perché un malato deve essere amato ed accolto”.
(G.B.)
Rimini, 26 agosto 2008