Introdotti da Giovanna Parravicini della Fondazione Russa Cristiana, Ljudimila Ivanovna Saraskina, storica della letteratura, docente universitaria e collaboratrice di Aleksandr Solzenicyn, e Adriano Dell’Asta, docente di lingua e letteratura russa dell’Università Cattolica, hanno presentato la mostra, da loro stessi curata, esposta nel padiglione B5, dedicata a Solzenicyn stesso.
“La via per arrivare alla riscoperta dell’io è quel ‘vivere senza menzogna’ che il grande scrittore russo riscopre per sé nel lager e che lancia come un sfida alla sua gente. Non un proclama etico, ma il riconoscimento che l’uomo non crea da sé la verità, ma la serve”. Questo il percorso che i relatori hanno suggerito da due punti di vista complementari. La Saraskina ha raccontato la storia del suo incontro con l’autore russo e la collaborazione con lui fino alla sua morte, avvenuta pochi giorni orsono, il 4 agosto. Dell’Asta ha tratteggiato la radice dell’irriducibilità di Solzenicyn di fronte a qualsiasi circostanza esterna: “Tu non sei mai solo, perché con te c’è sempre Cristo” (Berdjaev).
La mostra non è un fatto commemorativo, perché la sua idea nacque subito dopo l’annuncio – alla chiusura della scorsa edizione del Meeting – del titolo di quello attuale: “O protagonisti o nessuno”. E chi più protagonista della storia del XX secolo di Solzenicyn? ci si disse subito. “La sua biografia continua”, è stato ripetuto più volte dalla Saraskina, e con questo spirito si è cominciato a preparare la mostra mentre l’autore russo era ancora vivo.
La docente russa ha così raccontato il suo primo incontro con Solzenicyn. “Avvenne – indirettamente – il 18 febbraio 1974, quando, nel mio primo giorno di lavoro all’agenzia dei telegrafi dell’Unione Sovietica, ricevetti, come primo telegramma, quello che annunciava l’espulsione dello scrittore dall’Urss. Da allora sentii la responsabilità di leggere e studiare tutto quello che egli aveva pubblicato e di scrivere per farne conoscere il pensiero”. Finché, il 3 gennaio 1995, al suo ritorno in patria, Solzenicyn le telefonò, dicendole che aveva letto tutto ciò che aveva scritto su di lui e che desiderava incontrarla.
Iniziò così una collaborazione che durò fino alla morte dell’autore, lavorando fino a sedici ore al giorno (solo negli ultimi tempi l’orario era passato “soltanto” ad otto ore). “Avevo capito che bisognava raccontare la verità su Solzenicyn, dopo tutte le menzogne che erano state scritte su di lui, non solo nel suo paese, ma anche in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti”, ha detto la storica. “Bisognava scrivere su di lui come una persona viva, non come una persona del passato. Ho approfondito la sua vita, volendo capire tutto di lui, e mi sono documentata, cercando documenti a Rostov, dove aveva studiato, negli archivi militari e del Kgb, per ripercorrere le tappe della guerra da lui combattuta e tutto quello che aveva vissuto”.
Una ricerca documentatissima, che trova una primo esito nel 2005, “quando una casa editrice russa, che pubblicava biografie anche di personaggi ancora viventi, non mi contattò per scrivere una biografia su Solzenicyn. Con il consenso di questi iniziò il mio lavoro, anche se Aleksandr Isaevic si disse molto scettico sulla possibilità di vederne i risultati. Gli dissi: vedo come alla luce del sole che scriverò questo libro, uscirà, ve lo regalerò e vivrete ancora. Mantenni la promessa: il 5 marzo 2008, anniversario della morte di Stalin, il libro uscì e glielo regalai. Ed abbiamo continuato a lavorare perché ‘la sua biografia continua’, come dice lo stesso titolo del libro”. Fino al giorno della sua morte, il 3 agosto scorso, quando Solzenicyn è morto per una crisi cardiaca. “Temeva di morire d’inverno, con il grigiore del brutto tempo, ed invece è morto d’estate. Ma la sua biografia continua e questa mostra lo dimostra! Così come lo dimostreranno altre mostre e incontri a Mosca, a Francoforte, a Parigi e ci sarà una nuova edizione del libro, in cui metteremo anche il materiale raccolto per questa mostra. La gente, in tutto il mondo, ama Solzenicyn, lo dice il grande interesse che c’è per lui”.
“L’uomo c’era ancora anche se il regime aveva cercato di distruggerlo”, è stato l’esordio di Dell’Asta, “lo dimostrano tutti i personaggi di Solzenicyn: Matriona, di cui ci si accorge che, alla sua morte, senza di lei, il villaggio non sa più vivere; Ivan Denisovic, IU 81, di cui non si conosce il nome, segno dell’ultimo tentativo di annullamento del regime, ma che, mentre tutti, all’arrivo del rancio, si buttano sulla scodella, lui no, guarda più in alto di tutte le teste. La grandezza di Aleksandr Isaevic non è stata aver mostrato i gulag, ma averci rivelato che nei campi era possibile resistere ai campi. Quando l’uomo non ha più niente, quando il regime ti ha strappato tutto quello che il potere ti può dare, ti scopri libero, scopri di avere ‘un punto di vista proprio’ ” – ha detto il docente di storia e letteratura russa, citando ancora Berdjaev. “L’irriducibilità, la solidità è di chi ha dentro di sé l’infinito”. “Solzenicyn non è un ideologo, come falsamente è stato detto – ha continuato Dell’Asta – ; per lui il nemico non è una ideologia cattiva o una buona applicata male; il nemico è l’ideologia in quanto tale, una idea cioè che pretende di valere di più di questo uomo reale, la rappresentazione che mi faccio dell’uomo, riducendolo a insetto nocivo, che devo schiacciare”.
Solzenicyn ha rivelato il cuore dell’ideologia totalitaria: essa nasce dalla menzogna, mentre lui desiderava vivere senza menzogna. “Lo scrisse anche nel documento che aveva già preparato in vista di un suo possibile arresto. Il regime totalitario vive di menzogna: è al di qua del vero e del falso, tende alla distruzione della realtà, togliendoti i tuoi punti di riferimento, i tuoi punti di vista, su cui poggiare la tua vita”.
È la pretesa di fare una cosa buona, uccidendo milioni di uomini. Solzenicyn ha mostrato come si può resistere alla menzogna: ‘Chiuda pure il libro chi si aspetta da me una qualche valutazione politica’, ha scritto. “Ha vinto il regime perché – aggiunge lo studioso – è uscito dalla logica del regime: il punto è la realtà infinita dell’uomo contro l’idea. E l’arte è la realtà che entra nell’eterno: una realtà che non creiamo, ma che ci è donata. Aleksandr non è un moralista, che fa discorsi morali, come ci hanno voluto far credere, né un nazionalista arrabbiato. Per lui l’orgoglio, nazionale e personale, non è un peccato sociale, è un mio peccato. La verità non viene sbandierata come un moralismo: alla verità non si può mai rinunciare, non è fatta da mano d’uomo. È un’esperienza misteriosa che non finisce mai; è misteriosa e credibile, affascinante, da ascoltare, verificabile. È l’esperienza di un popolo verificata dalla tradizione”. “Un’ultima annotazione – conclude il prof. Dell’Asta -: nella mostra sono riportati 227 nomi. Sono le persone che hanno aiutato Solzenicyn, fornendogli dati e notizie per le sue opere e che lo scrittore ha voluto che si rendessero pubblici. Solzenicyn ci ha lasciato la volontà di far capire che ciò che aveva fatto l’aveva fatto perché aveva dietro un popolo: anche per questo è stato protagonista”.
(A.M.)
Rimini, 26 agosto 2008