52. Libertà va cercando, ch’è sì cara. Vigilando redimere

Press Meeting

“Da qualche tempo ci succede di ricevere lettere da un mondo che ci era sconosciuto” ha esordito Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, introducendo l’incontro di presentazione della mostra “Libertà va cercando ch’è si cara. Vigilando redimere” nell’auditorium D7 che ha visto anche una parte particolare di pubblico composta da detenuti in permesso e guardie carcerarie. “Queste lettere – ha proseguito Vittadini – ci hanno fatto incontrare storie ma soprattutto persone che si riconoscono peccatori e hanno desiderio di ricominciare”. Storie testimoniate anche dal video che parte subito dopo il suo intervento, che è visibile durante tutta la settimana del Meeting all’interno della mostra e dalla testimonianza diretta di due detenuti. Due storie toccanti che hanno commsso i presenti e che sono riportate integralmente sul sito del meeting (www.meetingrimini.org).
La parola passa poi a Giovanni Maria Pavarin, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Padova, nel cui carcere sta operando il consorzio di cooperative del quale si parla nella mostra. “Stiamo vivendo in un contesto che pare dominato dal problema sicurezza – esordisce – e questo crea forma di pensiero dettata dalla paura. La mostra è in questo contesto una sfida. Si tende a fare credere che la nostra società non abbia e non necessiti più di valori. Si parla di società liquida. Ma questo credo non possa essere vero”. Per Pavarin è più che mai attuale e necessaria la massima attenzione all’articolo 27 della Costituzione che afferma che la pena deve avere scopo di rieducazione e recupero del condannato. “All’origine vi è una scelta dei legislatori. È il riconoscere che l’uomo è fatto ad immagine di Dio”. Tutto il sistema della pena, ha poi spiegato il giudice, si basa sulla condanna e distruzione del reato, non sulla distruzione di chi compie il reato, per il quale occorre ricercare la rieducazione. Sul problema dell’utilità della certezza della pena, fino all’ultimo giorno comminato, Pavarin esprime qualche perplessità che possa fungere da deterrente. “L’articolo 27 prevede che vada data al condannato la possibilità di riflettere. Ma occorre che a chi sta in carcere vengano proposti dei modelli e questo spetta a noi”, ha detto. Un altro punto individuato dal giudice di sorveglianza ha riguardato le logiche interne al carcere. “A volte logiche omertose prevalgono sulla logica dello Stato. È poi indispensabile, perché un percorso di rieducazione possa avere successo, che siano rispettati i diritti dei detenuti, perché una persona vi segue e accetta ciò che viene proposto solo se percepisce di essere accettata”.
Franco Ionta, capo dipartimento Amministrazione Giudiziaria, ha in primo luogo elogiato la professionalità con la quale il Corpo della Polizia penitenziaria lavora in situazioni non sempre facili. “Dare una risposta alla vita – prosegue poi – era la domanda formulata da un detenuto nel filmato che abbiamo visto”. Ma può essere la struttura carceraria a fare questo? “Quello della detenzione non è il mondo, è solo uno dei mondi. Al quale occorre dare indirizzi e contenuti”, ha risposto. Una battaglia di contenuti che si può vincere, individuando nell’impegno della amministrazione carceraria il compito di seguire il condannato in modo che possa seguire un percorso che lo renda migliorato alla società. “Una persona che abbia recuperato il senso della giustizia”.
Molto atteso l’intervento del ministro della Giustizia Angelino Alfano che ha esordito raccontando la sua prima visita da ministro ad un carcere, Regina coeli. “Ho visitato le celle, ho parlato con i detenuti. Ci siamo guardati negli occhi. Ho chiesto a qualcuno: perché sei qui? E ho scoperto il desiderio, la determinazione di espiare il male fatto”. Il ministro prosegue ponendosi delle domande. Esiste un diritto alla speranza per il detenuto, oppure no? Cos’è la vita del detenuto dopo il castigo? Cosa vogliamo dire quando diciamo che dentro una cella vi è un uomo e come pensiamo al percorso di redenzione? In uno stato realmente laico quale deve essere il rapporto fra giustizia e misericordia? “Qui deve porsi il ruolo dello Stato: chi sbaglia deve pagare ma dentro il castigo deve avere diritto a redimersi – ha detto – L’uomo però non si salva da solo e l’istituzione deve favorire l’incontro con una compagnia che lo aiuti a riscoprire il meglio di sé”.
Non servono buonismi che concedano il perdono senza condizioni. “Abbiamo da poco assistito ad un fallimento terribile dell’indulto. Il fenomeno della recidività è più che evidente”. Concludendo, il ministro Alfano ha voluto esprimere alcuni dei problemi che intende affrontare a breve. In particolare l’istituzione del braccialetto elettronico per i detenuti con pene ormai brevi da scontare, in modo da poterli scarcerare. Poi la creazione di agenzie di collocamento al lavoro per detenuti in modo da poter creare contatti fra domanda e offerta. E ancora il problema delle mamme con figli piccoli. Un problema molto grave e serio sul quale occorre lavorare. Un ultimo accenno ha riguardato la riforma della giustizia “che dobbiamo e vogliamo fare dialogando e decidendo – ha detto – dialogando perché è un problema troppo importante ma alla fine decidendo”.
“La tentazione è dividere il mondo in buoni e cattivi”, conclude Vittadini. “Ma questo non è la verità! Occorre aiutare l’uomo a prendere coscienza del bisogno che ha del bene. E quindi occorre metterci assieme alla ricerca di Colui che ci può salvare e che ci salva”.

(L.B.)
Rimini, 26 agosto 2008