49. La bottega dell’orefice, spettacolo teatrale

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“Il peso di queste fedi non è quello del metallo in sé, ma dell’insieme dell’essere umano, di ciascuno di noi e di voi due”. Karol Wojtyla descrive così, nella sua opera interpretata questa sera dalla compagnia Cantiere Centrale, il valore degli anelli che uniscono i giovani Teresa ed Andrea in matrimonio. Uno spettacolo che rappresenta le nozze come unione indissolubile attraverso le storie intrecciate di amori che rimangono eterni, come quello di Teresa ed Andrea nonostante la morte di quest’ultimo, e rapporti rovinati dall’indifferenza, tanto da rendere scettica la sposa proprio sull’eternità dell’amore.
In tutto ciò si gioca l’importanza della libertà dell’uomo davanti alla propria vita e alle proprie scelte. Ed è proprio questo dramma della libertà, la bellezza e la fatica dell’amore cui il cuore dell’uomo comunque tende, che si percepisce guardando gli attori che si muovono all’interno di una scenografia spoglia ma sufficiente a ricreare l’ambiente dell’opera. Due panche appena, sulle quali le coppie ricordano le loro vicende e fanno rivivere a tutti la drammaticità del percorso che apparentemente per caso li riporta sempre su quel fondo del palco, alla bottega dell’orefice.
È come se la vita, nel fiore della giovinezza che vive un amore pieno o nella maturità di una donna che rabbiosa strappa la foto del marito assente, portasse comunque inesorabilmente a qualcosa che ricorda che “l’uomo non riesce a durare nell’altro, l’uomo non basta”. Ed è proprio per questo che c’è un Amore che salva. Che rende eterne quelle fedi.
Apprezzata la prova della compagnia, in particolare l’interpretazione di Andra Soffiantini nelle vesti di Abramo, così come la regia di Andrea Chiodi, che ha saputo essere fedele allo spirito dell’opera. Applausi calorosi dunque, da parte delle centinaia di persone presenti nel teatro Sma D2.

Rimini, 25 agosto 2008
(A.P.)