Più di qualcuno ha usato per l’incontro svoltosi oggi in un auditorium gremito (11mila le presenze in sala) l’aggettivo “storico”. In effetti, come ha ricordato il coordinatore Roberto Fontolan, direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, sua eminenza Filaret, Metropolita di Minsk e Sluzk ed Esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, è la più alta autorità del mondo ortodosso mai intervenuta al Meeting.
E altrettanto significativo è l’abbraccio carico di affetto fraterno che ha inaugurato l’incontro con un’altra eminenza, il cardinale Péter Erdö, che non ricopre solo la carica di arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate d’Ungheria ma è anche presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Un abbraccio pieno di struggimento per la piena unità.
Il metropolita Filaret ha colto l’occasione del Meeting per lanciare il suo appello all’uomo colto dei nostri giorni e alla responsabilità particolare che i cristiani hanno verso il futuro “di salvezza o di rovina” del mondo, dell’Europa e della propria persona.
L’uomo civile di oggi, secondo il patriarca ortodosso, è un adolescente che nutre infantili sicurezze nella perfezione del sapere acquisito e si uniforma agli stereotipi di massa nel pensiero e nei comportamenti, opponendo la cosiddetta civiltà ai valori cristiani tradizionali. In una simile condizione, che porta alla morte dell’uomo, c’è bisogno di “una coscienza viva che non taccia e bruci la menzogna”, ma occorre soprattutto che “qualcuno di noi sia in grado di implorare Dio per la guarigione di questo fanciullo malato”.
Filaret ha individuato un legame profondo e simbolico fra i temi del Meeting e Dostoevskij, “la sua coscienza, la sua fede, la sua natura ortodossa”. Ne I fratelli Karamazov, lo scrittore parla del cuore dell’uomo come di un campo di battaglia in cui il diavolo combatte con Dio. Una battaglia che, secondo Filaret, investe tutto: dalle contraddizioni familiari ai conflitti internazionali, dai contrasti etnici fino allo sviluppo dei sistemi democratici.
Ma dove trovare, si è chiesto il metropolita di Minsk, “il criterio autentico di valutazione” di tutto quello che capita, “della bellezza e della deformità della vita umana?” Filaret ha ricordato che nel 1854, subito dopo alcuni mesi di lavori forzati, Dostoevskij affermava che Cristo è talmente “bello, profondo, simpatico, ragionevole, solido e perfetto” che se qualcuno gli avesse dimostrato che la verità era da una parte e Cristo dall’altra egli avrebbe preferito “restare con Cristo piuttosto che con la verità”. Da questo amore totale per Cristo, il patriarca ortodosso è partito per un giudizio sull’“atteggiamento diplomatico che cattolici ed ortodossi assumono tra loro, che non di rado serve a sottacere contraddizioni che gridano al Cielo chiedendo una soluzione, ma non trovano, a causa di questo, soluzione sulla terra”. Secondo Filaret, possiamo salvarci dalle nostre falsità interiori, di cui si preferisce parlare sottovoce, e si può superare ogni separazione fra cristiani, facendo come Dostoevskij, e cioè guardando a Cristo “criterio perfetto e bellezza incorruttibile, in cui non c’è divisione interiore”.
Il cardinale Péter Erdö ha dapprima rilevato il quadro contraddittorio con cui si presenta, per “gli intellettuali europei nostri contemporanei”, la questione dell’esistenza di Dio: se, da una parte, non sembrano più attraenti “un atteggiamento ateo piatto”, o “il famoso materialismo storico e dialettico del marxismo tradizionale”, dall’altra, sembrano di moda “forme di atteggiamento più o meno panteistico”. Dopo aver ricordato le apertura verso la trascendenza della tradizione filosofica occidentale, il presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa ha concentrato la sua attenzione sulla rivelazione cristiana: “Dio può e vuole parlare all’uomo.
Ma la possibilità più grande e più completa di arrivare a un tale contatto con i nostri sensi e con la nostra ragione, è di parlare a noi in modo umano, presentarsi a noi come vero uomo e vero Dio”. Se l’uomo di oggi pone seriamente la questione dell’esistenza di Dio, assoluto, trascendente e personale, “deve indagare anche sulla possibilità della comunicazione fra Dio e l’uomo” avvenuta in Gesù Cristo.
Citando i lavori di Benedetto XVI e Alois Grillmeier, il relatore ha sottolineato che “il Cristo della fede e il Gesù storico sono la stessa persona e che il motivo della fede in Cristo come Figlio di Dio, come vero uomo e vero Dio proviene, in fin dei conti, dall’autocomprensione di Gesù stesso”.
In conclusione, “l’intellettuale europeo di oggi – ha affermato il cardinale Erdö – è una persona interessata per le grandi questioni della vita del mondo, una persona che cerca senso e valori per i singoli e per la società, uno che conosce contenuti notevoli dell’eredità cristiana e greco-romana, e che tiene presente tutto ciò almeno come elementi possibili della risposta alla sue questioni fondamentali”. Non è necessariamente un credente, “ma non lo è necessariamente nessuno!” La fede in Cristo è una grazia, che però diventa proposta e testimonianza rivolta a tutti. “In questa convinzione – ha concluso il relatore – dobbiamo essere uniti con i nostri altri fratelli cristiani, perché l’unità possa rinforzare la nostra testimonianza”.
(V.C., D.B)
Rimini, 23 agosto 2010