Nello spazio “Caffè letterario” e per il ciclo “Invito alla lettura” è stato presentato il libro “L’Europa del diritto” di Paolo Grossi, docente di Storia del diritto ed oggi giudice della Corte costituzionale. Protagonista dell’incontro l’autore stesso, introdotto da Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano e da Luca Antonini, docente di Diritto costituzionale.
Secondo Fornasieri il volume di Grossi, esemplificativo della sua brillante carriera di studioso, sintetizza 1.500 anni di storia giuridica, evidenziando il legame tra esperienza e diritto, tra leggi e vita quotidiana, tra Stato ed individuo, soffermandosi sul nesso tra libertà dell’uomo e libertà degli uomini consociati tra loro.
Antonini ha evidenziato come il volume si inserisca a pieno titolo nella collana “Fare l’Europa” e sia caratterizzato da un linguaggio chiaro ed accattivante, paragonabile a quello di un romanzo. “Grossi passa in rassegna il diritto dal Medio Evo ai nostri giorni, sottolineando la caratteristica del diritto come dimensione della vita quotidiana. La sua origine è essere voce delle comunità intermedie, cui lo Stato ha poi dato forma”. Nel libro vengono toccati poi i punti di crisi del diritto, consistenti nel soggettivismo, nel formalismo e nello statalismo. “Il volume – ha concluso Antonini – è un utile strumento di giudizio sul momento presente”.
Grossi, presente già al Meeting 2008 come relatore, ha ringraziato per essere stato invitato a presentare una sua opera e ha rivelato un particolare significativo: proprio la lettura di tale opera da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, europeista convinto, è stata all’origine della sua nomina a Giudice costituzionale. “Ho accettato la richiesta del curatore della collana “Fare l’Europa” a scrivere il volume relativo al diritto – ha poi aggiunto – proprio per dare il mio contributo al tentativo di recuperare il suo vero senso”.
Il docente ha poi evidenziato che dal Cinquecento al Novecento il diritto è stato calpestato, soffocato, mentre esso ha una funzione ordinante della società, “appartiene non alla patologia, ma alla fisiologia della società”. “Nel Medio Evo – ha proseguito – non c’era ancora lo Stato come potere totalizzante e il diritto, come è nella sua origine, proveniva dal basso della società civile; esso era fatto di consuetudini, che le comunità riconoscevano come valore ed osservavano; il diritto era perciò consuetudinario”.
Nel mondo moderno, invece, ciascuno Stato intende avere una sua struttura giuridica, a differenza di quanto accadeva nel Medio Evo nel quale c’era un diritto autenticamente comune. Nell’età moderna il soggetto politico forte, il “grande burattinaio”, lo Stato, pretende di produrre il diritto: questo a partire dalla Francia trecentesca. “Si tende ad assimilare il diritto alla legge, nella voce cioè dei detentori del potere politico. Il diritto così si riduce, viene snaturato, ridotto ad un complesso di comandi che scendono dall’alto; esso è fatto di norme che devono essere ubbidite e perde così il carattere di ordinamento della società”.
Nel Novecento, secolo della post-modernità, in un orizzonte pluriclasse, la società però scoppia, avanza delle pretese, le formazioni sociali riprendono vigore e mettono in crisi lo Stato, pretendendo cittadinanza: sempre più società e meno Stato. In crisi è lo Stato, non il diritto, perché questo segue le mutazioni della società; in crisi sono i modi attraverso cui lo Stato lo ha sacrificato. “Stiamo costruendo il nostro futuro – ha concluso Grossi – e guai se l’ordinamento giuridico non segue il mutamento della società: il diritto è esperienza, è vita, è storia vivente, deve tornare ad essere ordinamento, altrimenti è violenza legale. Tutto il diritto è nato per l’uomo. Si tratta di fare in modo perciò che esso sia ordinato al rispetto della persona umana. In chiave europea, poi, occorre guardare all’ordinamento anglosassone, nel quale la consuetudine è la base del diritto”.