“Bella giornata con la poesia”, ha esordito Emilia Guarnieri salutando il pubblico intervenuto all’incontro con la letteratura pavesiana, nel centenario della nascita dell’autore (e quasi la cultura italiana non ne parla, ha poi aggiunto nel suo intervento il poeta e saggista Davide Rondoni). “Non è molto diverso che incominciare con la preghiera”, ha aggiunto la Guarnieri. “Con quel qualcosa che fa vibrare il cuore. Credo che nella suggestione suggerita da questo titolo tratto da note righe pavesiane, ci sia dentro tutto Pavese. C’è tutto il senso di commozione, di amicizia che nasce dal confronto con la dolorosa, vibrante, ricerca di senso che sempre accompagnò la sua vita, di simpatia totale tra uomo e uomo, di qualcuno che lo guardasse con questa totalità”.
È toccato quindi al poeta e critico Gianfranco Lauretano, a cui si deve la recente pubblicazione del volume “Tracce di Pavese”, delineare le tappe della sua biografia interiore e poetica, come quelle del viaggio da lui compiuto e raccontato sui luoghi stessi dove visse lo scrittore. “Grande poeta, ho sottolineato, e non solo illustre romanziere, come si tende a porre in maggiore evidenza, specie in ambito d’insegnamento scolastico”. Il libro contiene anche una testimonianza inedita di padre Giovanni Baravalle, amico dello scrittore.
“Appare quindi in evidenza – ha detto Lauretano – come Pavese avesse intuito che la letteratura e la poesia sono un gesto che l’autore fa, qualcosa che succede, teso all’affermazione che non siamo soli. Così nel racconto ‘In carcere’, si rinviene un unico anelito a rompere l’involucro della solitudine e vivere e lavorare. Pavese lasciò scritto in inglese come esergo de ‘La luna e i falò’, dove raccontò del ritorno ultimo al suo paese: ‘il destino, il compimento della persona, è tutto’. Era, la sua, una necessità di essere, di un luogo, della gente, di piante, poesia dell’incontro, della vita che ricomincia, del dare di sé”.
“Com’è possibile – ha posto in evidenza Rondoni come punto di domanda – che uno dei maggiori intellettuali del Novecento, con la sua lucida, profetica intelligenza della realtà, sia arrivato a non sopportarsi più? Pavese reca con sé questa strana contraddizione: l’intelligenza non basta a sopportarsi, e l’esistenza rischia di cadere senza scampo nella noia e nello sgomento. Pavese ha intuito che né l’ideologia né il piacere bastano a far sì che la vita cambi di segno. Il problema è poter incontrare qualcuno, non bastano le intuizioni, come si legge sotto il velame quasi mitico dei ‘Dialoghi con Leucò’. La possibilità di cambiare la realtà avviene attraverso gli incontri umani, in cui accade questo strano miracolo, questa rivelazione. A lui è mancata questa possibilità d’incontrare”.
(M.T.)
Rimini, 25 agosto 2008