Nell’Auditorium B7, alle ore 11.15 un immenso applauso accoglie l’entrata dei grandi amici del Meeting, i coniugi brasiliani Cleuza Ramos, responsabile dell’Associazione Trabalhadores Sem Terra di San Paolo, e Marcos Zerbini, deputato al Parlamento dello Stato di San Paolo, Brasile, che partecipano insieme con Giuseppe Folloni, docente di Economia all’Università degli Studi di Trento e direttore scientifico del Dipartimento sviluppo e cooperazione internazionale della Fondazione per la sussidiarietà, all’incontro dal titolo “Lo sviluppo nasce dall’io”.
Alberto Piatti, segretario generale della Fondazione Avsi, introduce l’incontro: “Lo sviluppo ha un volto”, ricordando come il ministro degli Esteri Franco Frattini ha affermato che negli aiuti allo svi-luppo si deve considerare la centralità della persona. Dà l’avvio all’incontro il saluto di Elisabetta Belloni, direttore generale di Cooperazione e Sviluppo del ministero degli Affari Esteri, che ripren-de lo stesso concetto, che la persona e non la burocrazia è al centro dello sviluppo. Lo Stato farà la sua parte nella cooperazione internazionale, assicura Belloni, ma non da solo perché sono molteplici i soggetti, società civile, ma anche singoli individui, che si incontrano per conseguire i risultati spe-rati. “Personalmente sono disposta ad ascoltare i vari soggetti per trovare il punto di convergenza per non disperdere i contributi, dando una nuova impostazione all’azione della cooperazione del ministero degli Esteri”.
A ruota seguono le due testimonianze di Cleuza Ramos e di Marcos Zerbini. È passato soltanto un anno da quel 24 febbraio 2008 quando hanno consegnato il loro movimento nelle mani di don Ju-lian Carron in un giorno di pioggia (“Questa pioggia sono le lacrime di vent’anni di lotte”, disse Cleuza), ma tante cose sono cambiate. Le testimonianze ripercorrono la storia della loro lotta per dare case e strutture agli abitanti delle favelas, ma non c’era cambiamento, non c’era sviluppo per-ché, come ha detto Cleuza, “avevano ancora la favela nel cuore”. Solo l’incontro con persone che li guardavano con uno sguardo nuovo ha cambiato loro stessi, ha cambiato le donne delle favelas e tutto diventava più bello: “Perfino come raccoglievano la spazzatura”. Marcos ringrazia perché, pur abitando al di là dell’oceano, appartiene allo stesso popolo generato dallo stesso padre, don Luigi Giussani.
L’intervento di Folloni cambia il registro, ma non l’intensità e il cuore. “Se non sradichi la favela dal cuore non può esserci lo sviluppo”. Quindi si chiede: “Le testimonianze che abbiamo sentito so-no eccezionali, ma sono riproducili pubblicando un opuscolo con le indicazioni, come vuole la Banca mondiale?”. Lo sviluppo avviene con un metodo perché aumentare gli aiuti, pur necessari in un momento di emergenza, non crea sviluppo: l’abitudine di ricevere aiuti è un’abitudine difficile da smontare. Peggio se poi sono ridistribuiti dalla burocrazia. “Sviluppo è il mettersi in moto di per-sone e società per cambiare il rapporto con la realtà”. Il cambiamento della vita dei barbari che ave-vano invaso l’Impero romano avvenne quando incontrarono un modello di vita che nel lavoro e nell’armonia trovava la pace. Folloni porta il dettagliato esempio di un progetto del Ghana degli an-ni 50, allora Costa d’Oro (con diga, elettricità, alluminio, ferrovie, pesca, irrigazione), finito in nulla perché era solo un’idea, sia pure molto grandiosa. Occorre cambiare mentalità: il punto di partenza è un incontro (non la lista dei bisogni), che cambia anche chi è lì ad aiutare con un’educazione. Questa necessità di cambiare mentalità nella cooperazione è stata illustrata anche ai presidenti e ai primi ministri dell’ultimo G8 dell’Aquila. Quindi non va dimenticata l’opera educativa della Chie-sa: gli Zerbini hanno avuto anche il coraggio di dare un nome e un cognome alle persone che hanno incontrato e che li hanno cambiati, dando il via a un’azione di sviluppo nella loro società.