Con il comunicato stampa finale la presidente della Fondazione Meeting, Emilia Guarnieri, anticipa il titolo della prossima edizione: “La conoscenza è sempre un avvenimento”. Dopo le edizioni dedicate a ragione, verità e all’io protagonista, la Guarnieri spiega che quello della conoscenza è il primo atto che caratterizza l’impatto dell’uomo con la realtà. In merito a questa edizione, aggiunge, tutti gli incontri e spettacoli proposti, in particolar modo quelli relativi alla parola poetica, hanno messo in luce come i vari personaggi invitati “si stanno giocando la partita della vita”.
La Guarnieri mette la parola fine al confronto tutto giornalistico iniziato dall’onorovole Sposetti tra la festa dell’Unità e il Meeting. “Il Meeting è un popolo, non nasce dalla politica ma da un’esperienza vissuta, da una passione per tutte le diversità” e, citando Giussani, sottolinea “il bisogno per l’umano di abbracciare questa diversità”. Prima di cedere la parola al presidente della CdO Bernhard Scholz, la presidente fa notare come il Meeting sia nato negli anni Ottanta, lo stesso periodo in cui è stato scritto il libro “Uomini senza patria”, tema dell’incontro conclusivo dell’edizione 2008.
Il libro raccoglie i dialoghi di don Giussani con gli universitari all’interno dei quali il fondatore di Cl insisteva sull’importanza data alla persona: “La cosa che più mi ha sorpreso è che don Giussani metteva al centro la persona non in modo retorico, non voleva vederci come esecutori di progetti ideologico-sociali, ma voleva che dicessimo ‘io’ nelle cose” aggiunge Scholz e, collegandosi alle numerose opere nate proprio a partire da quegli anni, evidenzia come all’affermazione dell’io segua la scoperta di un popolo.
Il sottosegretario al Lavoro, salute e politiche sociali Eugenia Roccella precisa il tema del suo intervento e dice: “Mi sono sempre interessata alle letture di don Giussani e in particolare al modo in cui tratta il rapporto tra fede e postmodernità. Giussani ha operato un interessante spostamento semantico. Non utilizzava mai il termine ‘vita’ ma parlava di ‘umano’. Allo stesso modo io al termine ‘etica’ preferisco ‘biopolitica’ e sarà questo l’argomento del mio intervento”.
Il sottosegretario approfitta della conferenza per dare un giudizio sui due articoli apparsi sull’Unità di oggi in merito al caso Englaro firmati dal padre di Eluana e dal dottor Carlo Alberto Defanti, medico della ragazza. “È impossibile ritenere gli stati vegetativi come permanenti perché mancano le ricerche scientifiche”, afferma e ribatte alle dichiarazioni del dottor Defanti basate su una visione probabilistica delle decisioni in campo medico.
Si passa quindi alle domande dei giornalisti. La prima domanda riguarda la necessità di una legislazione relativa ai temi della biopolitica. Roccella risponde: “La biopolitica ha bisogno di garanzie certe e non sempre c’è necessità di una legge. In merito al testamento biologico, l’articolo 32 tutela sufficientemente il diritto alla salute. È difficile far rientrare la morte di una persona in una legge, meglio sarebbe affidarsi alle relazioni tra medico e famigliari. Ma tutto questo non vuol dire che non si possa fare una buona legge”.
Il sottosegretario evidenzia il rischio che emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione che costituisce un precedente pericoloso per la libertà dell’individuo. “La sentenza del 16 ottobre permette di formulare un giudizio in merito all’interruzione delle terapie sulla base di una ricostruzione degli stili di vita del malato e addirittura sulle sue precedenti dichiarazioni. Eluana non ha scelto niente, il consenso informato (testamento biologico) deve poter essere formulato dopo adeguata informazione e certificato. Ritengo incredibile che per far morire una persona possano bastare dichiarazione rese a testimoni in età adolescenziale, come nel caso di Eluana, mentre per un banale passaggio di proprietà c’è bisogno del notaio. A questo punto è meglio una legge per tamponare la sentenza”.
(M.M., A.S.)
Rimini, 30 agosto 2008