“Il titolo del libro di don Giussani dà anche la cifra di questo Meeting: un’occasione dove l’io di ciascuno di noi è potuto rinascere”. Le parole di Emilia Guarnieri introducono la presentazione del quinto testo sulle ‘equipe’, gli incontri degli universitari di Comunione e Liberazione. Il libro riprende le assemblee degli anni ‘86/’87. “In questi giorni infatti non abbiamo detto delle parole”, ha sottolineato Guarnieri, “ma sono accaduti degli eventi”. E cita un brano di don Giussani: “Esprimere il desiderio è l’inizio della lotta contro il potere”. Insieme al presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, sono intervenuti Fabrice Hadjadj, filosofo e scrittore e Michele Faldi, direttore Alta Formazione e Alte Scuole all’Università Sacro Cuore di Milano.
“Come possiamo rinascere ora? Quello che attendiamo è questa resurrezione”. Il filosofo francese ha iniziato la sua densa e piacevole relazione con queste parole e ci ha ricordato che ogni rinascita presuppone una morte. Noi siamo “morti spiritualmente”, questo lo dimentichiamo spesso, ma “solo da un buon morto si può fare un buon risuscitato. Io sono morto laddove non entro nell’incontro, non mi apro all’altro, ignoro l’esistenza del mio cuore”. Hadjadj ha spiegato che il cuore, l’ombelico e la stessa parola umana sono segni di dipendenza: noi dipendiamo da altri, cioè siamo originati da una comunione.
Giussani – ricorda il filosofo – veniva seguito dalle persone “perché era più povero in spirito di molti altri, e perciò non conduceva gli uomini a sé, ma attraverso di sé alla sorgente, all’origine, alla luce, richiamando gli uomini a loro stessi, alla propria originalità.” Egli afferma che oggi viviamo “una debolezza non etica, ma di energia di coscienza”: quello che manca all’uomo moderno non sono le soluzioni ma il senso di quello che fa: “uno scopo per il quale donarsi”. La persona è ridotta nei suoi desideri e il potere censura le sue esigenze, abolisce l’umanità. Invece il nostro cuore vuole ‘trasumanare’, come diceva Dante, ma non possiamo arrivarci “attraverso le nostre parole e il nostro potere. Ci vuole l’Onnipotenza di una grazia, l’incontro con un Altro. Questo è l’esempio che ci dà il poeta.”
Riprendendo Giussani, Hadjadj sostiene che “il potere non può impedire il destarsi dell’incontro, ma cerca di impedire che diventi storia”, in altri termini si “vuole impedire all’uomo di raggiungere la propria ferita, cioè di raggiungere se stesso”. “La resurrezione inizia quando noi preferiamo essere assassinati piuttosto che perdere il nostro cuore, il desiderio più profondo: quando il lavoro è per la resurrezione. Questo ci dà una più grande energia di coscienza: che vuol dire vivere amorosamente ciò che ti è dato”.
Trovare Dio significa trovare la propria origine e la propria originalità, e dunque il proprio nome e il proprio volto, perché Dio è comunione di persone, per cui nel volto dell’altro cominciamo a credere, come dice Dante: “Dio parea nel suo volto gioire” (Paradiso XXVII,105).
“Sono qui come testimone di quegli incontri con don Giussani”, sottolinea Michele Faldi, che ricorda la prima ora di lezione del corso di Introduzione alla Teologia all’Univestità Cattolica. “Non sono qui per convincervi di quello che dirò”, esordì il ‘Gius’, “ma perché la vostra esperienza possa giudicare le parole che vi dirò”. Da qui nasce un impeto di “universale paragone”, in anni apparentemente tranquilli, tanto che Giussani coniò il termine “sindrome di Chernobyl” – il disastro alla centrale nucleare in Unione Sovietica – per indicare che “uomini apparentemente integri, come noi, dentro erano deflagrati”, assopiti. In un momento storico ‘soft’, senza particolari scontri sociali e politici, Giussani si concentra su un pericolo invisibile: divenire vittime di un potere “che vuole spegnere il desiderio” dell’uomo. “Il torto che avevamo era di riaprire di continuo il problema umano”. Con chiunque era disposto a starci. “Ciò che più ci colpiva era la sua totale libertà: questi dialoghi infatti non sono le lezioni di un ‘guru’ verso i suoi ‘quadri’, ma un avvenimento dove lui per primo si lasciava provocare da quanto avveniva”. Oggi, 24 anni dopo, “la sfida è esattamente la stessa”: l’unica possibilità perché quell’avvenimento eccezionale non scada in “devoto ricordo” è che possa continuare anche oggi. “Siamo chiamati ad essere figli, non discepoli”.
La presenza nell’ambiente, in ogni ambiente in cui siamo chiamati a vivere era ciò che più interessava don Giussani. Lo ricorda Emilia Guarnieri concludendo l’incontro. “Ed è proprio per questo che continuiamo a fare il Meeting. La prossima edizione avrà questo titolo: “E l’esistenza diventa una immensa certezza”.
(A.S./Al.C.)
Rimini, 28 agosto 2010