Per il ciclo “Storie del mondo” è stato proiettato il documentario di Emanuele Piano, vincitore del Premio Ilaria Alpi 2005, sul genocidio in atto nel Darfur, regione situata ad Ovest del Sudan. Il documentario è stato girato con l’aiuto di organizzazioni internazionali presenti in quel paese e degli stessi guerriglieri, che si definiscono come un esercito di liberazione, che combattono contro il governo centrale ed i miliziani islamici Janjaweed, autori dei massacri, delle razzie, degli stupri e di ogni tipo di violenza perpetrata ai danni della popolazione del Darfur.
Gli attacchi contro tale popolazione da parte dei miliziani sono sostenuti anche militarmente dal governo e dal Presidente del Sudan, incriminato per crimini contro l’umanità dalle Nazioni Unite. Nel corso dell’incontro sono state indicate anche le cifre di questa assurda violenza che tende a porre in atto una vera e propria “pulizia etnica”: 400mila morti, 200mila rifugiati in Ciad, un milione di sfollati, che si aggiungono ai precedenti due milioni di morti fatti tra cristiani ed animisti in tutto il Sudan, nazione islamica fondamentalista.
Alla proiezione è seguito l’incontro con Salih Osman, avvocato sudanese del Darfur, premio Sacharov 2007, impegnato nella difesa dei diritti delle popolazioni della sua Regione. Osman, anche rispondendo a domande del pubblico, ha raccontato come in tutto il Paese sia in atto, sin dalla fine degli anni Ottanta, un processo di arabizzazione, a fronte di una popolazione di sette milioni di abitanti di cui solo il 15% è araba, mentre l’85% è africana. Tale processo è sfociato, a partire dal febbraio 2003, in una guerra civile razziale provocata dagli attacchi ai villaggi del Darfur da parte di miliziani reclutati fra le tribù islamiche nomadi dei Baggara, assistiti dall’aeronautica sudanese con i suoi bombardamenti.
I villaggi distrutti sono oltre due milioni. “Sono stati distrutti anche i segni islamici delle popolazioni aggredite – ha raccontato – perché l’islamismo del Darfur non è fanatico, a differenza di quello del governo. Grave responsabilità ha poi nell’intera vicenda la Cina, unico partner commerciale del Sudan, che, per un verso, ha sempre minacciato di far ricorso al diritto di veto, in sede di Nazioni Unite, a fronte di proposte di risoluzioni di condanna, e, per un altro, impedisce interventi risolutivi di solidarietà internazionale, proprio per la sua potenza commerciale”.
(A.M.)
Rimini, 29 agosto 2008