“È un incontro molto atteso quello di oggi e che sta molto a cuore alla tradizione del Meeting”. Così Lorenza Violini, docente di Diritto costituzionale all’Università degli studi di Milano, ha introdotto l’incontro: “Presenza religiosa nello spazio pubblico” (sala A1, ore 15.00).
Il primo relatore ad intervenire è stato Josef H.H. Weiler, direttore del Straus Institute for the Advanced Study of Law & Justice all’Università di New York. “La questione dei segni religiosi negli spazi pubblici – ha iniziato il professor Weiler – non è uno scherzo. Ricordo che nel novembre 2009 la Camera di Strasburgo ha condannato, sette voti a zero, l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche”. L’Italia ha presentato ricorso alla Corte europea, insieme ad altri paesi; nei prossimi mesi ci sarà la decisione in merito. Weiler, incaricato di promuovere il ricorso, ha proposto, come un “piccolo dramma”, alcuni spezzoni video della sua arringa alla Corte.
Il nocciolo del ragionamento è stato questo: “In Europa c’è una straordinaria varietà di rapporti tra Stato e Chiesa. Più della metà degli stati europei non rientrano nel modello di laicità proposto dalla Francia, per cui la religione è un affare esclusivamente privato. Non ci rientra l’Italia, né l’Inghilterra che canta nell’inno nazionale: ‘Dio salvi la regina’”. Insomma: sono errati i presupposti interpretativi che hanno portato alla condanna dell’Italia; non può una Corte europea imporre un suo modello di laicità e una sua interpretazione della Costituzione italiana: “Lasciate questo lavoro alle Corti italiane”. “La libertà dalla religione – ha commentato argutamente Weiler – comporta che un alunno britannico possa essere esonerato dal cantare ‘Dio salvi la regina’, non può però chiedere che nessuno canti l’inno”. È fuori discussione un principio: bisogna insegnare la tolleranza. “Non ho difeso il crocifisso – ha concluso Weiler – ma il diritto dell’Italia ad avere la sua identità”.
Il professor Giorgio Feliciani, docente di Diritto canonico all’Università del Sacro Cuore di Milano, ha affermato che “le religioni inevitabilmente occupano uno spazio pubblico, in quanto dettano ai singoli credenti una strada verso il destino”, che investe tutti gli aspetti della vita del singolo e genera una libera aggregazione in gruppi che dettano tradizioni e costituiscono identità di popolo. Influenze religiose si rintracciano nella vita politica degli Usa e persino in quella della laica Francia. “Se si sta a una certa interpretazione del concetto di laicità, tutti i paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa dovrebbero rinunciare al calendario (che prende come punto di riferimento fondamentale la nascita di Cristo)”.
Feliciani ha rilevato “la presenza di una mentalità laicista in espansione presso certi giudici e mass media. Alla base, un’ideologia per cui la religione è un fenomeno irrazionale che genera inevitabilmente intolleranza. Ma c’è anche un’altra radice – ha proseguito Feliciani – l’ostilità all’appartenenza”. Il secondo relatore ha concluso affermando che anche nel nostro paese la libertà religiosa non può essere considerata un fatto scontato. “Il mezzo più efficace per difenderla è esercitarla concretamente, come ha insegnato don Giussani e documenta, in maniera particolarmente significativa, l’esempio di questo Meeting”.
Il professor Giuliano Amato, presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, ha enunciato subito il suo concetto di laicità: “Noi non abbiamo bisogno di tenere le religioni fuori dalla vita pubblica; abbiamo bisogno di tenerle dentro, per sperare che cambi una vita sociale in cui è sempre più difficile che il singolo si riconosca nell’altro”.
La precisazione va diritta al cuore di una questione decisiva: il puro criterio della maggioranza è indice di democrazia? “La democrazia funziona per maggioranza, ma i diritti sono di tutti – ha spiegato Amato – è quindi implicito che bisogna attingere a qualcosa che viene prima del meccanismo della maggioranza, ai principi religiosi ed etici che ispirano le nostre coscienze”. Non bisogna confondere il principio di separazione tra stato e Chiesa con una divisione artificiosa tra pubblico e privato delle coscienze individuali. “Da cittadino dico che avete il dovere di portare ciò in cui credete in tutte le questioni di ordine pubblico”, ha insistito Amato, sottolineando che “non ci sono questioni in relazione alle quali le religioni siano irrilevanti. Nella vita pubblica si fanno i conti con le interpretazioni”. Ha concluso quindi con una raccomandazione: “Portate sempre i vostri valori, sapendo andare però al nocciolo della questione. Quando ci si accorge che portare avanti la propria convinzione porterebbe alla negazione dell’altro, bisogna porsi dei limiti. Ė questa la differenza tra gli integralisti e chi non lo è”.
(V.C., G.L.)
Rimini, 27 agosto 2010