Francesco Liuzzi, docente della Scuola di impresa della Fondazione per la Sussidiarietà, introduce l’ultimo appuntamento della serie di incontri promossi dalla Fondazione: “Un caffé con…”.
L’ospite è Giuseppe Ranalli, presidente del gruppo Tecnomatic Spa. D’origine abruzzese, laureatosi alla facoltà di Economia di Pescara, Ranalli parte dall’inizio della sua storia imprenditoriale raccontando l’incontro con Comunione e liberazione in università attraverso Enzo Piccinini, chirurgo modenese scomparso nel 1999. In un dialogo con lui decide di approfondire un argomento di cui non era mai stato tanto appassionato: l’automazione industriale. Passano alcuni anni e viene a sapere che un suo amico sta lasciando la sua impresa gravemente indebitata; un’altra azienda nelle vicinanze stava fallendo. Così il neolaureato Ranalli intuisce di dover cercare un accordo con le banche creditrici delle due aziende e chiede loro di finanziare il suo piano aziendale che prevede la fusione delle due società. A dispetto di ogni previsione le banche investono sulla sua idea.
È il dicembre del 1997. “Ma un’analisi non basta per decidere di rischiare e nemmeno il desiderio di fare soldi; ed il desiderio che io avevo era proprio quello. Non cercavo qualcuno che mi dicesse cosa fare”. Ranalli incontra nuovamente Piccinini e Giorgio Vittadini, ora presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. “Sei cosciente che potrebbe avere esisto negativo questa operazione? Sappi che tu, Ranalli, vali qualunque sia il risultato”. Commenta l’imprenditore: “Allora è stato evidente che ero oggetto di un amore senza condizioni”. Ha rischiato nella fusione delle due società e l’ipotesi di lavoro si è rivelata realizzabile.
Oramai però anche fare soldi non gli bastava più. “Per dieci anni in modo testardo ho avuto la presunzione di rispondere alle mie esigenze di soddisfazione. La realtà mi chiedeva: perché fai tutto questo lavoro? Pur di non stare di fronte a questa domanda, mi preoccupavo di rispondere alle esigenze di tutti”. Ascoltando Carrón, presidente di Comunione e liberazione, che diceva che in un momento della sua storia non si “sopportava più”, Ranalli ha deciso di ripartire ogni mattina dalla proposta educativa che aveva incontrato col Movimento: essere profondamente umano.
“Ho iniziato ad accorgermi del reale fino al punto di stupirmi che le cose esistono. All’inizio pensavo che l’opera di Dio è fare l’impresa, invece l’opera di Dio sono io. Il lavoro è la scoperta del nesso che c’è tra me e il reale; questo nesso è il mistero che fa tutto in questo istante”, conclude. “Questo è l’unico lavoro, altrimenti si è costretti ad appiccicare sempre il santino sul lavoro e l’unità di misura sono i soldi, mentre l’io non c’entra nulla”.
(L.A.)
Rimini, 29 agosto 2008