“Il dolore nella sua misteriosità è uno straordinario portale di comunicazione con Dio. Può sprigionare un’energia utile che fa impiegare le doti che il Signore ha dato: doni che a Lui devono quindi tornare, tramite il lavoro che tutti possiamo fare a servizio gli uni degli altri”. È il profondo giudizio espresso da Mauro Ferrari, Professor e Chairman al dipartimento di nanomedicina e Ingegneria biomedica dell’Università del Texas, sulle ragioni e il senso della sua vita di docente in importanti università americane, ai massimi livelli nello studio delle nanotecnologie per la diagnosi e la terapia dei tumori.
La drammatica morte della moglie, scomparsa in breve tempo a causa di un cancro incurabile, con tre bambini ancora piccoli, lo ha portato ad abbandonare promettenti carriere universitarie negli Usa – prima di matematica poi di ingegneria – per approdare alla docenza di Medicina interna, passando attraverso esperienze di ricerca a stretto contatto con vari scienziati anche vincitori di Premio Nobel. Ferrari è stato spinto in questa scelta dal desiderio di tramutare un’esperienza di dolore nel contributo attivo alla conoscenza e alla lotta contro le malattie tumorali, in particolare dedicandosi alle nanotecnologie.
“Attraverso lo studio delle ‘cose molto piccole’ si è giunti a conoscere bene lo stato di salute delle molecole e individuare per tempo la curabilità del tumore. Oggi la nanotecnologia di terza generazione si interessa al rapporto tra le terapie tumorali e le resistenze naturali del nostro corpo: il problema è cioè di far arrivare il farmaco giusto al posto giusto”.
Ferrari ha così illustrato i risultati delle ricerche ultimamente da lui dirette per arrivare a stabilire le caratteristiche dei farmaci necessarie perché possano penetrare fisicamente nell’organismo fino a raggiungere efficacemente l’obiettivo dove liberare i loro componenti curativi. Ha accennato anche ai riflessi generali dello studio della nanomedicina derivanti da programmi di ricerca spaziale condotti da enti federali statunitensi, ai quali partecipa. “Gli astronauti rimangono per mesi lontani dalla terra isolati, senza ovviamente la vicinanza di una comune farmacia”, ha spiegato a proposito della ricerca sulle nanoghiandole, e alla possibilità di rilascio di farmaci impiantando chips sottocutanei: “una sorta di farmacia sotto la pelle”.
In precedenza, Marco Pierotti aveva illustrato ampiamente lo sviluppo che la nanotecnologia ha avuto per lo studio dei tumori, in particolare attraverso il progredire della medicina molecolare che dev’essere preventiva, oltre che predittiva dell’evoluzione del tumore una volta identificato, personalizzata in relazione alla singolarità dei casi clinici e partecipata nei confronti del paziente. Una serie di diapositive illustrate dai relatori ha costantemente attirato l’interesse del numeroso pubblico presente.
(M.B)
Rimini, 27 agosto 2010