Il pubblico che ha partecipato alla presentazione dell’ultima fatica di Franco Palmieri, attore e regista teatrale, e di Benedetta Neri, giornalista e traduttrice editoriale, tenutasi questo pomeriggio presso il Caffè letterario (pad. B5) ha assistito ad un incontro tra amici che si ritrovano per ripercorrere il cammino di condivisione fatto. “Tra gli amici cui essere grato – ha esordito Palmieri – per la condivisione del lavoro di tanti anni, c’è sicuramente Giorgio Vittadini, che ha voluto essere presente a questo momento nonostante i numerosi impegni del Meeting”.
Vittadini dal canto suo ha dichiarato che l’ammirazione verso quest’arte è venuta fuori grazie al “ciclone Testori”, che ha rappresentato l’iniziazione al teatro di tanti amici e la nascita del Teatro dell’Arca. Proprio l’“Arca”, ha poi continuato, ha compiuto un cammino impressionante: una piccola compagnia sperimentale che ha avuto il coraggio di riportare in scena il teatro popolare. “Rivedendo questo libro – ha aggiunto – rivedo una storia che ha compiuto un percorso impressionante”. Nel volume la storia stessa è raccontata in maniera teatrale. “Uno stile in prosa che sembra una sceneggiatura cinematografica o una poesia di Péguy”. Si tratta non di una finzione, ma della storia di “chi ha vissuto l’esperienza del protagonismo così come lo ha sempre inteso don Giussani: una risposta alle esigenze del cuore, uomini che vibrano di umano”.
Vittadini ha poi raccontato di quando il Teatro dell’Arca mise in scena “Nostra Signora della Valle” di Calderon de La Barca, l’occasione in cui capì per la prima volta la figura dell’Immacolata Concezione. Questo libro, ha poi concluso Vittadini, chiede a chi lo legge “l’intelligenza dell’implicito”, vale a dire “uno sforzo di immaginazione e di immedesimazione per comprendere un cammino umano e cristiano che passa anche attraverso il teatro”. L’augurio “di ritrovarsi tra qualche anno in 108”, potrebbe essere il segno evidente che la storia continua.
All’intervento di Vittadini è seguito un momento di dibattito. In particolare la Neri, sulla richiesta di comprendere di più l’aspetto della comunionalità presente nel libro, ha descritto il legame che esiste tra lo scrivere e l’atto artistico. “L’arte – ha dichiarato – non è l’espressione egocentrica di chi la crea, ma è inevitabilmente un rapporto, appunto, come nel caso del libro, una comunionalità”. Ed ecco descritto il filo doppio che lega le cinquantaquattro storie di questo lavoro: “Ogni parola serve per creare un ponte per far appartenere un io ed un tu, quindi l’arte nasce da un rapporto comunionale”.
Anche Palmieri, rispondendo ad una successiva domanda, ha sottolineato il fatto che non avrebbe fatto teatro se in quell’avventura non ci fosse stato qualcuno che ne avesse condiviso la passione. “La cosa che in tutti questi anni – ha concluso – mi ha riempito di positività è questo amore senza il quale non riuscirei neanche a muovere le mani. Mi rendo sempre più conto che l’umano viene prima dell’arte”. Con queste premesse non sorprende il fatto che il libro uscito appena tre mesi fa sia già alla terza edizione.
(G.F.I.)
Rimini, 28 agosto 2008