Essere cattolici in Cina è un’impresa ardua. A dircelo è Raphaela Schmid, direttrice dell’Istituto Becket di Roma e autrice del quinto documentario della rassegna Storie del mondo.
“God in China” è un filmato dell’anno scorso che racconta della intricata e complessa realtà in cui versano le religioni (non solo quella cristiana cattolica) all’interno della Repubblica popolare cinese: “È difficile capire che cosa vuol dire essere un cattolico oggi in Cina. Per tentare di scoprirlo ho ritenuto opportuno mostrare la situazione anche delle altre confessioni. Tutte le religioni qui sono vittima del controllo pervasivo operato dal governo”, afferma la giovane regista presente in sala A4. Oltre a riportare le complicate vicende dei fedeli buddisti, taoisti e musulmani, il filmato della Schmid si concentra sulla vita delle comunità cattoliche in Cina alternando testimonianze dell’ala cattolica clandestina a dichiarazioni di membri appartenenti alla parte patriottica.
Dal 1949 la Cina è stata territorio di dure persecuzioni anticattoliche operate da parte del regime comunista e inaspritesi ulteriormente durante il governo di Mao Zedong. In questo periodo la religione cattolica veniva bollata come anticostituzionale mentre i membri del clero subivano torture e incarcerazioni. La situazione cominciò a cambiare dal 1978: sotto la direzione di Deng Xiaoping il partito comunista creò un’associazione patriottica per dirigere la Chiesa dall’interno e controllarne l’operato. “Pur dedicandosi ad attività di catechesi e aiuto concreto alla popolazione”, si narra nel reportage, “la Chiesa ufficiale fin dalle sue origini non ha mai ritenuto necessario sottostare alle direttive del Vaticano, nominando pertanto i propri vescovi in totale autonomia da Roma”.
Con un’impostazione diversa si muove la parte clandestina della cattolicità cinese. “Parroci, seminaristi e contadini conducono un’esistenza sotterranea, ritenuta illegale dal governo vigente ma portata avanti con coraggio e grande fede”, racconta il filmato. Esemplari a questo proposito sono i casi presentati nel reportage di un parroco clandestino arrivato addirittura a collaborare con il segretario del partito comunista per risolvere il problema della disoccupazione nelle campagne cinesi, quello di suor Dawei, direttrice di una casa di accoglienza per bambini disabili e abbandonati dalla famiglia e la storia un gruppo di seminaristi che vivono in segretezza la loro vocazione.
A detta della stessa regista, tra le due realtà di fedeli non ci sono divisioni nette e ben delineate; tuttavia ciò che emerge con più forza dalle immagini proposte è la vivacità della fede presente tra i cattolici clandestini: “Per questa comunità la persecuzione non rappresenta un fatto determinante; il fulcro della loro fede infatti sta nel dedicare tutta la vita alla ricerca della verità”.
(M.M.)
Rimini, 28 agosto 2008