Le colonne di iprite che si innalzano dai villaggi sulle montagne, ad una manciata di chilometri dall’Iran. I morti abbandonati per le strade e le scene di violenza sui deportati. Il racconto dei testimoni, donne soprattutto, che dicono di sopportare il dolore del ricordo perché il mondo non dimentichi. Questo pomeriggio, al Meeting di Rimini, nello spazio “Storie dal mondo” ha fatto la sua comparsa il genocidio dei curdi iracheni, perpetrato da Saddam Hussein fino a quando non venne destituito dagli americani nel 2003.
Il merito di aver riportato alla coscienza di noi occidentali una delle grandi tragedie del Medio Oriente va a quattro giovani senesi, che hanno realizzato un lungo documentario (“Our sky our land”) nella regione del Kurdistan iracheno, che fu teatro di stermini e deportazioni di massa. Pietro Gualandi, Edoardo e Francesco Picciolo e Antonio Spanò un paio di anni fa sono andati in Iraq a loro spese. Hanno incontrato esponenti politici, uomini di cultura e gente comune. Soprattutto sono entrati in possesso di filmati originali che hanno saputo utilizzare con buona professionalità. Ne è venuto fuori un documentario asciutto, documentato ed essenziale, nel quale non c’è una voce narrante: parlano soltanto le immagini e i protagonisti.
I cinque milioni di curdi iracheni fanno parte di una più grande entità etnico-politica che conta quaranta milioni di persone, distribuite, oltre che in Iraq, in Iran, Turchia e Siria. Di religione musulmana, il popolo curdo vede anche una piccola presenza cristiana. Secondo gli autori del documentario e anche del giornalista Gian Micalessin, che ha guidato l’incontro, all’origine della persecuzione irachena ci sono state soprattutto ragioni di carattere economico: il sottosuolo di Kirkuk, antica capitale curda, conserva intatti tutti i suoi giacimenti petroliferi.
Il lavoro dei videoreporter toscani ha raccontato quattro grandi operazioni di genocidio che risalgono agli anni 1979, 1983, 1987 e 1988. Lo ha fatto ricostruendo le campagne militari di Saddam Hussein, a base di cianuro lanciato di notte sui centri abitati e attacchi di carri armati. Ma anche attraverso il racconto della donna che si è vista torturare marito e figli davanti agli occhi; della madre che dissetava il suo bambino con le schegge dei blocchi di ghiaccio che gli aguzzini buttavano nel fango; del neonato che raccoglieva con la lingua le lacrime di disperazione che un deportato faceva cadere sul suo viso, scambiandole per il latte materno. L’elenco delle violenze irachene ha fatto rabbrividire: eliminati tutti i maschi dai dodici anni in su, colate di cemento gettate sulle sorgenti naturali, interi villaggi deportati, prigionieri ancora vivi sepolti nelle fosse comuni.
Sulla pacificazione e la stabilità dell’area curdo-irachena nessuno si fa illusioni. Micalessin ha anche paventato che le vittine di Saddam vogliano, adesso, saldare vecchi conti e diventare a loro volta carnefici. Come a Kirkuk, dove gli arabi e i turcomanni, che il dittatore inviò a soppiantare i curdi, adesso vengono cacciati dai padroni di casa di una volta.
(D.B.)
Rimini, 22 agosto 2010