È possibile parlare di comunicazione senza essere “poco concreti e non evanescenti”? Questa è la sfida che Roberto Arditti, direttore de Il Tempo, lancia nell’incontro tenuto in Sala Tiglio A6 alle 19, che ha a tema la comunicazione e conoscenza nel mondo della comunicazione globale. “Il pericolo – incalza Arditti – è di perdere di vista il verosimile, il vero, e, nel futuro, la memoria”. Alberto Contri, presidente Pubblicità e Progresso, sulla scia di Arditti, ricorda la recente creazione di una mediateca “in cui sono state raccolte le più belle campagne pubblicitarie prodotte”, perché sia possibile “usare la memoria per imparare”. Così mostra al pubblico una carrellata di video pubblicitari utilizzati per temi come la responsabilità delle imprese “compresa quella dei media”. Così scorrono spot che mostrano spezzoni di videogiochi o film, con ogni genere di violenza, al termine dei quali si chiede ai genitori se “quello che non vorremmo che i nostri figli vedessero nella vita normale, è bene che lo vedano in tv”, o ancora “quante pecore dovrà contare il loro bambino prima di addormentarsi” dopo aver visto tante atrocità. Il problema “non è censurare – continua Contri – ma accompagnare i propri figli” perché, citando don Luigi Giussani “l’educazione è frutto di mimesi e di esperienza” e uno spot può comunicare anche questo. Un ampia riflessione su Internet viene sviluppata da Susan Pointer, Google Director of Public Policy and Governament Relations for Europe, Middle East and Africa. Con canali di ricerca quali Google, “è possibile un accesso illimitato dagli utenti a una quantità infinita di informazioni, ma anche di persone”. “Si è passati da uno stato in cui Internet era utile a uno in cui è indispensabile” dato che circa “il 43% delle persone dell’Unione europea lo usa quasi ogni giorno”, strumento che si sta diffondendo “più velocemente del vaccino anti-poliomielite”. La libertà che offre Internet – continua Susan Pointer – genera però una responsabilità. In un mondo in cui tutto è a portata di un click, “è necessario rispettare le leggi internazionali, e quelle nazionali” e per questo fa appello agli utenti “non solo fruitori, ma anche creatori di informazioni perché ci aiutino a rispettare le regole, in una responsabilità individuale e collettiva”. Ma cosa è questo “desiderio di comunicare”, si interroga Gabriella Mangiarotti, docente di Sociologia dei processi culturali e delegata del rettore per l’orientamento all’Università Iulm di Milano, se non, citando Benedetto XVI, “il desiderio di andare oltre se stessi, per entrare in rapporto con gli altri, per diventare più pienamente umani?” Pertanto, continua la docente, la conoscenza e la comunicazione sono intrinsecamente legate, non c’è una senza l’altra. Tanto che “la comunicazione senza conoscenza è vuota, mentre la conoscenza senza comunicazione è sterile e non fa storia”. Non esiste solo la conoscenza diretta ma anche quella indiretta, o per testimone fondamentale tanto più si accrescono i saperi da comunicare, e, continua Mangiarotti, “a un sapere senza sapore, l’unica alternativa è un testimone appassionato che renda affascinante la conoscenza, in un dinamismo teso alla scoperta del significato del reale”. “Ogni nostra conoscenza, anche la più piccola – conclude citando l’ultima enciclica del Papa “Caritas in veritate”- è un piccolo prodigio, perché non si spiega completamente con gli strumenti materiali che adoperiamo”. “C’è di più, sempre di più di quanto noi stessi ci saremmo aspettati”.