John Waters è un uomo in viaggio verso il proprio destino. Forse è proprio questo che affascina più di lui. “Esito sempre a presentarmi come uno che è arrivato a destinazione. E sono contento che sia così. Non sono disposto a cancellare il mio passato. Penso che se Cristo in persona fosse qui in fondo alla sala non correrei subito ad abbracciarlo, ma esiterei”. Se il primo dei due libri tradotti in italiano, “Lapsed Agnostic” era un percorso personale, “Soggetti smarriti” è un “viaggio laterale sulla cultura”. Sono due gli aspetti del libro che Waters individua: il primo parte da un’intervista a una collega in fin di vita che si rende conto che “tutte le sicurezze che credeva di avere” erano crollate. “Anch’io avrei potuto dire le stesse cose se non avessi incontrato i miei nuovi amici di Comunione e Liberazione”. Il secondo aspetto riguarda il messaggio cristiano della Chiesa irlandese, ridotto a moralismo: “È come se dicesse: non c’è speranza, ma Cristo è una persona buona”. L’incontro con le persone di Cl e con don Giussani in particolare danno un senso a ciò che sembrava non averlo: “Nessuno mi aveva mai detto che Cristo è presente, ora”.
Lo definisce “un libro schizofrenico”, perché cerca di mettere insieme i due aspetti che ci costituiscono: il cinismo della cultura contemporanea e l’umanità della compagnia di Cristo. “È come se avessimo da una parte un orecchio cinico che fa scivolare via le cose, dall’altra un orecchio umano che deve stare con degli amici per svilupparsi”.
“Il protagonista di questo libro è il cuore” così ha esordito Gianfranco Sabbatici, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e amico di lunga data di Silvio Cattarina. “Silvio con questo libro dimostra di essere un buono scrittore per la fluidità che dimostra. Nel volume c’è la storia di Silvio con i ragazzi e c’è la storia personale di lui e dei suoi genitori, senza che le due storie si distinguano una dall’altra”. “L’imprevisto è quello che attendiamo tutti – ha continuato il presidente – qualcosa che rompa la routine e faccia respirare il cuore. Noi (detto anche in riferimento a se stesso, ndr) siamo i ragazzi dell’Imprevisto”.
Cattarina ha chiamato poi i ragazzi a raccontare la loro esperienza della comunità e ne è risultata una descrizione di umanità rinate e affascinanti che ora sanno vivere la vita con la schiena diritta. Catia: “Ho avuto tutto il superfluo, ma mi mancava l’indispensabile, qualcuno che rompesse la mia solitudine”. Enrico: “Da piccolo sono stato abbandonato da mia madre e da mio padre in un istituto, allora cerchi di riempire questo vuoto con le sostanze; in comunità ho avuto la possibilità di avere una casa e delle persone che mi volevano bene. Ora pensando alla mia storia mi sembra impossibile avere, come mi è capitato, una bella famiglia e amici così splendidi”. Giulia: “Quando sono arrivata in comunità sono rimasta colpita dal luogo: il mare davanti e dietro la collina, l’infinito davanti e la roccia su cui appoggiarsi dietro”.
Silvio ha preso la parola per dire che nella vita “non bisogna saper fare tante cose; una sola è necessaria, occorre essere uomini fino in fondo”. La vita non va costruita ma invocata, ha ricordato, altrimenti si cade nello stessa trappola dei ragazzi che vogliono fare tutto da soli, perché “il diverso più diverso è Cristo” e quindi “non bisogna aver paura dei giovani perché i loro bisogni sono i nostri”: educando noi, educhiamo loro. La paura va via solo quando la promessa della vita è mantenuta. “Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo”: “Questa promessa del salmo biblico – ha terminato Cattarina – noi l’abbiamo sperimentata”.
Al termine della presentazione è intervenuto il comico Paolo Cevoli, amico di vecchia data della comunità, che dopo alcune gag ha affermato che l’amicizia con i ragazzi di Silvio è importante anche per lui, perché la situazione di questi ragazzi è quella un po’ pericolante in cui in fondo si trovano tutti, anche lui come comico.
(Al.C., A.S.)
Rimini, 26 agosto 2010