122. Assistenza domicialiare e sul territorio: percorsi ed esigenze di formazione specifica

Press Meeting

La domanda che più frequentemente si sente rivolgere un medico in ospedale è: “Quando tornerò a casa?”, domanda tanto più drammatica quando a farla è un malato cronico o inguaribile. A tema nella Sala Orchidea alle ore 13:00 c’è oggi l’assistenza domiciliare e le esigenze formative ad essa legate. Un tema importante per un Meeting che si occupa della conoscenza, perché “l’esperienza sul territorio – afferma Luciano Riboldi, presidente della fondazione Maddalena Grassi – ci ha fatto scoprire che è diverso operare in ospedale che sul territorio. L’assistenza domiciliare richiede una formazione e un’educazione differenti e per questo la nostra fondazione che già si occupava di assistenza sul territorio si è rivolta all’Università”. Così nel 2003 è nato un corso trasformatosi poi nel 2008 in un master che ha superato le aspettative di tutti.
“Molte esigenze dei pazienti non sono ancora del tutto conosciute. L’assistenza domiciliare è un campo ancora sperimentale per la medicina e per questo – afferma Giancarlo Roviaro, professore di chirurgia all’Università di Milano – bisogna sempre ricominciare da principio a guardare la realtà”. “Il problema è decisivo nella sanità italiana – continua il chirurgo – se si pensa che uno dei punti di valutazione per gli ospedali pubblici è la durata delle degenze, che deve essere la minore possibile. La conclusione è che in alcune strutture non si ricoverano pazienti cronici o con cure a lungo termine”. Grazie all’esperienza della fondazione, questi malati possono vivere a casa e lì essere curati perché “una pianta giovane la si sradica e ripianta facilmente – afferma con acutezza il relatore – ma una vecchia, se la si sradica, il più delle volte appassisce e muore”.
Con 80mila ore di assistenza domiciliare e ottocento pazienti curati al mese, la fondazione cerca di abbracciare il senso di solitudine e di abbandono che spesso accompagna questi malati. “Anche gli infermieri partecipano al master – interviene la dottoressa Maura Lusignani, ricercatrice all’Università di Milano – che ormai ha un valore internazionale e forma infermieri di alta specializzazione”. È quello di cui c’è bisogno, perché “quando si entra in casa delle persone, non si può non tener conto di tutto quello che si ha davanti – continua Lusignani – e prima di entrare, a differenza che nelle camere degli ospedali, bisogna bussare! Bisogna partire sempre dal proprio bisogno per comprendere quello delle persone che si curano, e questo avviene sempre in un rapporto”.
Tutti sono molto stupiti dall’impegno e della creatività degli studenti che partecipano al master, alcuni dei quali hanno creato di loro iniziativa un opuscolo per le famiglie che assistono pazienti malati di Alzheimer: “Il master è una delle esperienze più riuscite per la facoltà – esclama il professor Gianluca Vago, presidente del corso di laurea di Medicina all’Università di Milano – un master che parte dall’esperienza, in cui si impara facendo. Troppo spesso in campo formativo fermiamo anziché stimolare la curiosità dei nostri studenti, e così riusciamo a fare dei grandi danni! La straordinaria curiosità delle matricole sparisce così negli anni: in questo senso questo master è un controcorrente, un modello di gioia nel conoscere e nel fare formazione per tutta l’Università”.
“La medicina tende ad autolimitarsi – non ha dubbi Marco Botturi, vicepresidente della fondazione – perché pretende non solo di guarire tutte le malattie ma anche di produrre un esistenza integra. Ma quando il malato è inguaribile o affetto da malattie croniche?” L’ assistenza domiciliare certo non risolve il problema, ma aiuta ad affrontarlo. Non un alternativa ma una risorsa per il sistema sanitario nazionale, che vede nella voce “assistenza” la maggior spesa economica. “L’ideale, oggigiorno, sembra arrivare ad apprendere e applicare una serie di passaggi tecnici medici, ma così la medicina non è più umana, sembra che il soggetto che eroga e la persona che riceve il trattamento siano indifferenti” continua Botturi. Che conclude citando san Benedetto: “La guarigione, il progetto del guarire non può nascere da un’elaborazione astratta, da un insieme di fattori esterni, ma da una vita presente”, cioè da un avvenimento.

(G.P.M..)
Rimini, 27 agosto 2009