Non ci sono incontri di secondo piano al Meeting, perché anche quelli che richiamano un pubblico meno numeroso, spesso offrono ricchezze impensabili in termini di contenuti. Uno di questi è stato certamente l’incontro “Protagonisti nell’assistenza”, che si è tenuto in sala A2 alle 11.15 che ha visto come protagoniste quattro infermiere, mentre si è notata tra il pubblico la presenza del professor Mario Melazzini, presidente di Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) e direttore scientifico del Centro clinico Nemo di Milano Niguarda, in carrozzina perché malato di Sla.
Introduce l’incontro Marina Negri, infermiera e aderente all’associazione Medicina e persona. “Com’è possibile costruire il proprio io nel lavoro e in particolare nel lavoro infermieristico, che non ha lo scopo della guarigione, ma il porsi accanto alla persona e accompagnarla fino alla morte?” Come aveva detto don Giussani partecipando a un convegno di infernieri nel 2000, il loro compito è di rimanere accanto in modo appassionato alla persona nelle modalità in cui il Mistero si manifesta. La professione di infermiera, continua Negri, non esisteva e non poteva esistere al di fuori del cristianesimo, perché questo dà valore anche al corpo, un valore non misurabile con l’efficienza, ma per la sua relazione con il Mistero: le esposizioni che sono seguite sono state per molti versi lo svolgimento di questo tema.
Emanuela D’Anna è caposala all’Istituto europeo di oncologia a Milano: “Mi sento protagonista essendo caposala in un reparto di ginecologia oncologica di un prestigioso ospedale milanese, ma mi sento protagonista anche quando quello che devo fare coincide con quello che voglio e desidero fare”. D’Anna esemplifica poi questa sua affermazione: essere protagonisti significa educare (i nuovi infermieri, per esempio), rispondere alle esigenze e assistere, stare cioè con le persone nei momenti drammatici della nascita, della malattia, della morte e, anche, della guarigione. “Certo, ci vuole la tecnica, ma assistere è sempre un porsi come persona di fronte a un’altra persona con i suoi bisogni. Nell’assistenza è possibile essere protagonisti quando si è presenti con la ragione e con il cuore, è una posizione vertiginosa e affascinante, ma occorre essere sostenuti da un giudizio e da una compagnia”.
Dal lontano Paraguay è arrivata al Meeting Esperanza De Urbieta, in sostituzione di una collega con i figli malati. Lavora a tempo pieno alla Clinica Divina Provvidenza “San Riccardo Pampuri”, fondata da padre Aldo Trento ad Asuncion per assistere i malati terminali indigenti. Ha una lunga storia di professionalità infermieristica, ma vede il suo compito attuale nell’accompagnare questi ammalati “nel cammino verso la croce come Gesù accompagna ogni giorno ognuno di noi”. E in questo compito c’è anche, paradossalmente, allegria. Racconta le storie di Cecilia, malata di Aids, che muore serena dopo aver affidato la figlia a padre Aldo, e di Milziade, che ora si chiama Aldo Antonio Trento per adozione, idrocefalo, che i parenti mandavano ai semafori a chiedere l’elemosina e che ora sorride, gioca e risponde all’affetto che gli si dà.
È un torrente in piena nella sua relazione Cecilia Sironi, infermiera, docente universitaria, consigliere della Consociazione nazionale delle associazioni di infermieri e tanto altro: “Le infermiere sono persone che non si vedono ma che permettono al sistema sanitario di funzionare”. Agli occhi del mondo non sono protagonisti, ma lo sono invece perché la loro attività in molti casi è “vitale” nel senso letterale della parola. Racconta la sua dinamica vita, sempre rivolta a migliorare la professione e chi la esercita. Si è sentita chiamata alla scelta che ha fatto, una vera vocazione: “La mia realizzazione è servire gli altri”. Ora, tra i tanti impegni trova il tempo di essere un sostegno ai colleghi le scrivono da ogni parte del mondo.
A conclusione, Marina Negri ammonisce che bisogna salvare il senso di questa professione, ma non si può farlo da soli. Fare l’infermiera è una professione “ragionevole” e “bella”, come ebbe a dire don Giussani.
(Arc. B.)
Rimini, 28 agosto 2008