Flannery O’Connor, Raymond Carver e Cormac McCarthy. Tre autori americani che “mettono a fuoco l’esistenza”, secondo Davide Rondoni, perché “l’arte è un invito a non essere tiepidi e spenti”, ma a “prenderci sul serio, con tutte le nostre domande”. Per questo il raccontare fa parte da sempre dell’umano, perché “non è appena un passaggio di fatti, ma un omaggio al fatto che la vita ci è stata donata”.
Ed è la vita che i tre grandi scrittori raccontano, senza paura di mostrarne tutto il male, spesso come un pugno allo stomaco. È vero che “noi conosciamo il Padre delle anime”, dice Flannery O’Connor, “ma è necessario passare per il drago del male”.
I protagonisti della scrittrice georgiana vivono “sempre storie pericolose e difficili”, spesso violente, come sottolinea Alison Milbank, professoressa di Letteratura e teologia al dipartimento di Teologia e Studi religiosi all’Università di Nottingham.
“Come Chesterton, lei usa il mostruoso e il bizzarro per mostrare l’energia della creatività umana, ma anche i suoi limiti”. A seguire è stato letto un brano da uno dei racconti più belli e celebri della O’Connor: “La schiena di Parker”. Ad alternare le letture dell’attore Luca Violini, alcuni brani musicali di Tom Waits, Jonny Cash e Bob Dylan, eseguiti da Benedetto Chieffo e Martino Boni.
Le sue storie più belle Raymond Carver le ha scritte nell’ultima parte della sua vita, dove descrive “vite di tranquilla disperazione”, dice sempre la Milbank.
Eppure, tra emozioni di morte e desolazione, “ci sono momenti in cui ogni personaggio si apre agli altri e alla bellezza della vita”. Influenzato da Flannery O’Connor, di cui non condivideva il realismo cattolico, Carver è d’accordo sul fatto che “uno scrittore ha bisogno di stare fermo, in certi momenti, e affrontare questa o quella cosa, come un tramonto, in atteggiamento di meraviglia assoluta”. Di Carver sono state lette alcune delle poesie più celebri, come “Il dono” e “Almeno”.
Le parole di Cormac McCarthy sono “intagliate come pietre vive”, secondo Davide Rondoni, “usa poca punteggiatura, fa entrare in una sorta di presente eterno”.
L’autore de “La Strada” e “Non è un paese per vecchi”, parla di violenza e brutalità, ma con un linguaggio straordinario. Il suo sembra un universo manicheo, dove il male e il bene lottano senza vie d’uscita. In realtà con “La Strada”, McCarthy suggerisce che la speranza può esistere: ha la faccia di un bambino, il coprotagonsita del romanzo.
“È la sua presenza a condurre il padre” in un mondo di morte e angoscia.
“Questi autori ci parlano del male”, conclude Rondoni, “ma non dimentichiamo che anche Manzoni e Dostoevskij lo fanno: narrano la realtà com’è, senza escludere nessuno dei suoi fattori”.
(Al.C.)
Rimini, 26 agosto 2010