Grande momento di confronto reale, e per ciò stesso utile, svolto con termini pacati, pur nella passionalità espressa in qualche passaggio dal ministro, quello che si è avuto nel corso dell’incontro tenutosi alle 11.15 in Sala 1 e che ha avuto come protagonisti Angiolino Alfano, ministro della Giustizia, e Luciano Violante, presidente del Forum Riforma dello Stato del Partito democratico, incontro introdotto da Paolo Tosoni, presidente della Libera associazione forense.
Violante ha esordito ricordando che un sistema di giustizia non può che inserirsi in un ben definito modello di democrazia. “La repubblica nata dalla rivoluzione francese – ha esemplificato – ha portato ad accentuare la prevalenza del potere parlamentare, mentre dalla rivoluzione americana è nata una costituzione che affida alla magistratura in particolare il ruolo di proteggere il cittadino dall’azione dei poteri legislativo ed esecutivo”. Entrambi sono precedenti significativi per comprendere il dibattito attuale nel nostro paese sull’equilibrio dei poteri dello stato.
Prima conclusione: “È essenziale, per un esito positivo dei propositi di riforma, che via sia rispetto reciproco tra gli stessi pezzi del sistema istituzionale: non si faranno passi in avanti se non cambia il clima dei rapporti tra la politica e la magistratura (e viceversa)”. Un esempio in questo senso è la riforma delle intercettazioni che, dopo tanto tempo dedicato a elaborazioni e proposte, si è praticamente arenata.
Sul “processo breve” Violante ha espresso le sue obiezioni “verso disposizioni transitorie che abbiano estesi effetti estintivi anche di processi in corso, cambiandone le regole”. Si è poi dichiarato “perplesso sulla modalità di abbreviare la durata dei processi agendo solo sulla tempistica, poiché l’adeguamento delle strutture è fondamentale per una giustizia più rapida”.
Invitato a riprendere le provocazioni lanciate dall’ex presidente della Camera, Alfano ha esordito ricordando il compito impegnativo di un ministro chiamato a misurarsi, spesso con mezzi inadeguati, con le istanze di giustizia dei cittadini. “A tali istanze si può cercare di rispondere solo se si mette al centro l’uomo”, ha affermato. E non è una frase generica, se solo si considera ad essere coinvolti nei processi sono ben diciotto milioni di cittadini, con un’attesa di giustizia che dura da anni e che desiderano risposte efficaci. “Il processo breve intende rispondere a tali istanze, prevedendo un processo più veloce e di ragionevole durata” ha sottolineato il ministro.
Affrontando il tema della Magistratura, Alfano ha ricordato che il compito di amministrare la giustizia va svolto non solo con “l’essere”, ma anche con “l’apparire” imparziale, evitando comportamenti politicizzati che poi screditano l’operato della stessa: ha ricordato in proposito il caso del pm barese Lorenzo Nicastro, candidatosi tra le polemiche politiche e anche interne alla magistratura contro Raffaele Fitto del Pdl, dopo averlo indagato.
Il ministro ha quindi ascritto al Governo il merito di avere approvato leggi di contrasto alla mafia ed alla criminalità organizzata, che hanno dato significativi risultati, anche grazie all’opera di magistrati e forze di polizia, lamentando, però, che “la sinistra ha negato i meriti del governo, ascrivendo i risultati solo agli organi inquirenti e di repressione”.
Passando ad esaminare i tipi di intervento normativi, ma soprattutto comportamentali, necessari per rispondere al bisogno di giustizia, Alfano ha indicato l’attuazione del principio della responsabilità dei magistrati, la progressione di carriera esclusivamente per merito, il trasferimento d’autorità di magistrati ad opera del Csm in “sedi di frontiera”, non certo appetibili e richieste.
In tema di rapporto tra i poteri dello Stato, il ministro ha auspicato una dialettica corretta tra gli stessi, “che però richiede – ha specificato – una grande riforma della seconda parte della Costituzione, nella parte inerente la Magistratura”, ma ciò solo in vista di una maggiore efficienza e credibilità di questa e senza alcuna finalità ritorsiva verso la stessa.
“Se da una parte sono auspicabili riforme più generali della Carta costituzionale che vadano a toccare anche le forme di stato e di governo, non è però possibile che, in attesa di trovare il consenso su tali riforme, non si intervenga nel campo della giustizia e non si risponda alle istanze pressanti di giustizia dei cittadini”, ha detto Alfano, concludendo la prima parte del suo intervento.
Riprendendo la parola, Luciano Violante ha replicato al ministro con alcune precisazioni a proposito, tra l’altro, dei sequestri dei beni di boss della criminalità, che purtroppo solo in modesta misura – il 15 per cento – vengono confermati con la definitiva confisca. Pur apprezzando espressamente i risultati del governo sul fronte giudiziario nella lotta alla mafia e alla camorra, ha tuttavia aggiunto “la necessità di intervenire anche sull’assetto socio economico del territorio, ove i fenomeni criminali sono altrimenti destinati a ripetersi”.
Violante ha poi ribadito la sua visione della riforma della giustizia, da inquadrare nella riforma costituzionale anche degli altri poteri, poiché solo così si può passare “dall’attuale democrazia conflittuale a una democrazia comunicativa, fondata sul confronto e sulla costruttiva collaborazione tra le forze politiche”.
Il relatore ha accennato anche al federalismo, sottolineando la necessità di meccanismi da inserire nel rapporto tra stato e regioni “per superare i rischi di sfaldamento emersi nelle recenti contrapposizioni”, con chiaro riferimento alle polemiche connesse alla recente manovra finanziaria. In conclusione per l’esponente del Pd occorre una riforma del Parlamento in senso federale, con la riduzione del numero dei parlamentari e l’attribuzione a quest’organo del compito dell’approvazione delle leggi entro tempi certi, oltre che di controllo del sistema istituzionale.
Nel suo secondo intervento Alfano ha elencato le linee di riforma del processo, in parte già attuate ed in parte da attuare, “finalizzate a velocizzare i giudizi e quindi dare una più sollecita risposta al bisogno di giustizia della gente”: processo telematico, riduzione dei casi di ricorso in Cassazione, ampliamento delle ipotesi di estinzione del processo per inattività delle parti, istituto della mediazione, riduzione dei riti processuali, stringatezza delle motivazioni delle sentenze. Ha poi preannunciato un piano di smaltimento dell’arretrato civile, oggi pari a 5,4 milioni di processi.
Il ministro ha concluso dicendo di sapere che non riuscirà a cogliere i frutti delle riforme, ma che non per questo può sottrarsi al dovere di seminare: “Ho sempre pensato – ha detto – che il mio impegno debba essere di lasciare la politica, quando questo accadrà, migliore di come io l’abbia trovata: è una responsabilità che ho verso i miei figli.”
(M.B. A.M.)
Rimini, 26 agosto 2010