Prosegue il grande cinema al Meeting 2009. Dopo Gran Torino di Clint Eastwood è l’ora del grande regista polacco Andrzej Wajda con il suo ultimo capolavoro Katyn. Wajda in quest’opera dà prova di come si possa coniugare arte e ricostruzione storica in maniera esemplare. Il film non perde niente dal punto di vista dell’impatto estetico e la ricostruzione storica ne guadagna in realismo.
La pellicola rinnova il dolore di un intero popolo narrando un avvenimento che ha segnato il suo Paese per decenni: la strage che i servizi segreti russi (voluta da Stalin) compirono nei confronti dei 15mila prigionieri di guerra polacchi, catturati nel settembre 1939 durante la guerra nazi-sovietica contro la Polonia e trucidati nel 1940. I tedeschi, durante la loro invasione dell’Urss, nella primavera del 1943 scoprirono e resero noto che a Katyn erano state sepolte le vittime del campo di Kozelsk. Altri 7.300 polacchi furono uccisi nello stesso periodo nelle prigioni ucraine e bielorusse portando il totale delle vittime a circa 22mila.
L’autore, che nella strage perse il padre, guarda la storia attraverso il particolare di una vicenda famigliare, tramite la quale passa il dramma di tutto un popolo, si rievoca la dignità ed il coraggio delle donne che aspettano a casa i propri cari, la tenacia nel cercare la verità. Katyn è la testimonianza di un popolo orgoglioso delle proprie radici e saldo nella propria fede: i militari polacchi vanno incontro alla morte a testa alta, recitando il Padre Nostro, mentre uomini stravolti da odio e ideologia li ammazzano come bestie.
Il film mostra, nell’esatta ricostruzione storica, che fra i due totalitarismi esiste lo stesso disprezzo per la persona umana e come la pulizia di classe e la pulizia etnica in fondo siano le due facce della stessa medaglia.
(A.S.)
Rimini, 26 agosto 2009