“Per Testori il teatro era un grido. La parola un pezzo di carne che qui diventa viva”. Ed è stata proprio un grido, dalla prima all’ultima parola, la Traduzione della prima lettera ai Corinti di san Paolo, di Giovanni Testori. «Avevo bisogno di trovare un correlativo di scrittura, una struttura che reggesse rispetto alla scultorea potenza dell’originale», spiegava Testori. Traduttore dell’Apostolo delle genti, ma anche, e soprattutto, violento indagatore di se stesso, lo scrittore lombardo ha intrapreso quest’opera con l’animo del poeta, non dell’esegeta. Contrapponendosi alle innumerevoli traduzioni che lo hanno preceduto nei secoli, rifiutando ogni forma di commento, di interpretazione e di spiegazione del testo, l’autore ha voluto e ha saputo restituire alla Lettera piena autonomia e carattere originalissimo, permeandola al contempo del suo personale dramma di cristiano.
L’eccelsa interpretazione dell’attore Andrea Soffiantini ha fatto rivivere ancora una volta il drammatico teatro di Testori urlando al cielo e al pubblico l’inno della carità. “Il corpo del teatro è il corpo di Cristo”, spiega Soffiantini dal palco, intercalando alla lettera paolina il racconto del suo rapporto con il grande maestro. “Questo per Testori è il centro del dramma”. E dal volto attento e sofferto dell’attore trapela la ferita che l’autore vedeva e viveva nella realtà. Ma ciò che commuove è l’evidenza “dell’inesorabilità di Cristo che invade le assi del palco con il suo cadevere” ma che salva, perché è “primula e viola di chi si è addormentato”.
Tutti risuscitano in Cristo, e dunque chi interpreta il regista in fondo alla sala suggerisce a Soffiantini di non fare dell’ultima frase una chiusura: “Tutto questo affinché Dio sia tutto in tutto”. Perché è da lì che tutto ha inizio. Il pubblico commosso chiama con gli applausi cinque volte sul palco l’attore.
(A.P.)
Rimini, 27 agosto 2008