105. “Diari di guerra”

Press Meeting

Grande occasione offerta al popolo del Meeting, nell’ambito della rubrica “Storie dal mondo”, di conoscere quel che sta accadendo oggi in Afghanistan e le prospettive di sviluppo della situazione, attraverso la proiezione di un “diario di guerra” realizzato da Gian Micalessin sulla missione dei soldati italiani ed il successivo incontro con l’autore, nel corso del quale lo stesso ha risposto a molte domande di un pubblico interessato e attento.
Introducendo la proiezione, Roberto Fontolan, giornalista, ha messo in risalto il fatto che solo da due anni è caduto quel velo di riservatezza che copriva la presenza dei nostri soldati in Afghanistan e dunque è stato possibile a Micalessin, come inviato di guerra, seguire per alcuni giorni le operazioni militari dei nostri soldati, realizzando anche delle interviste.
Abbiamo potuto così vedere, nel documentario, i militari italiani impegnati in missioni di difesa e salvataggio di due plotoni, uno afghano e l’altro spagnolo, accerchiati dai talebani; di assistenza e soccorso della popolazione colpita da azioni terroristiche; di sminamento del territorio. Ed abbiamo poi appreso della presenza della Task force 45, costituita da incursori delle forze speciali, impegnata nell’area sud ovest del paese in azioni proprie dei servizi segreti. Infine abbiamo assistito alla difesa di basi Nato dagli attacchi dei talebani e ad azioni militari di contrasto dei talebani stessi.
“Non sono venuto qui per uccidere, ma se mi attaccano mi difendo”, sono state le parole di un giovane ufficiale, comandante di uomini impegnati in un avamposto avanzato, uomini che, dopo l’addestramento ricevuto in patria, hanno avuto lì il battesimo del fuoco. La morte è sempre un’eventualità messa nel conto e, se deve venire, “vorrei che venisse come alla fine di un concerto di Vasco Rossi, con la luce dei cellulari e degli accendini accesi”, dice l’ufficiale, mentre scorrono le immagini di una festa al campo con tutti i soldati che cantano a squarciagola “Albachiara”. Meno romanticamente, la voce del giornalista annuncia che durante le operazioni in Afghanistan sono morti cinque nostri soldati e quindici sono rimasti feriti, saltando spesso per aria sulle trappole esplosive, le funeste Jed.
Nel filmato appare anche un’intervista ad un capo talebano, che riafferma la volontà di sconfiggere “gli invasori”, così come erano stati sconfitti gli inglesi e poi i russi, ed anche la documentazione di un attacco suicida alla base americana, ottenuti attraverso la mediazione della guida afghana di Micalessin.
Nel dibattito successivo alla proiezione, il giornalista ha avuto modo di descrivere il contesto da cui è nato il movimento talebano, sorto per iniziativa dei servizi segreti pakistani per contrastare il potere dei mujaidin, i signori della guerra, soprattutto dopo la ritirata dei sovietici. Micalessin ha anche sottolineato che i talebani finanziano le loro azioni di guerra attraverso la droga: i contadini afghani coltivano immense piantagioni di oppio e dunque l’economia del paese si regge su quelle coltivazioni. Carichi di droga sono poi scortati fino ai paesi confinanti, da cui prendono la strada fino all’occidente e fino a Trieste. Molta droga finisce in Iran, paese con due milioni di tossicodipendenti, nel quale i talebani spesso si rifugiano.
Interrogato sulle prospettive che, a suo avviso, si aprono nell’ambito dei rapporti tra occidente e Afghanistan, Micalessin ha detto che gli americani soprattutto – impegnati con 60mila uomini – ma anche gli altri paesi della Nato – impegnati con 30mila soldati – non possono non vincere la “sfida afghana”, se non a costo di “perdere la faccia” e dimostrare di non aver saputo mantenere le promesse di aiutare il cambiamento del paese. Condizioni per vincere tale sfida, ha detto il giornalista, sono: aiutare l’Afghanistan a creare un nuovo modello di sviluppo, offrendo prospettive diverse ai contadini che coltivano la droga e traggono da questo il loro reddito; attuare una strategia con i paesi confinanti che tagli il sostegno ai talebani; approfittare delle divisioni interne a costoro, intavolando trattative con i moderati; fare accordi con il Pakistan ed i suoi servizi segreti non deviati per neutralizzare l’attività di supporto ai talebani da parte dei servizi segreti deviati.
Rispondendo ad un’altra domanda, Micalessin ha detto di ritenere importante l’apporto degli italiani nella difesa della popolazione, nell’addestramento del nuovo esercito afghano, nel permettere che gli aiuti internazionale giungano a destinazione, ed anche nella possibile impostazione di una nuova strategia di intervento secondo le linee innanzi tracciate. Rilevante è altresì l’apporto odierno, essendo affidata agli italiani la cura di quattro province dell’ovest del paese.
In ogni caso, è stata la conclusione del giornalista, la “sfida afghana” sarà vinta quando l’esercito afghano – addestrato anche da esperti militari italiani – sarà in grado di assicurare direttamente la sicurezza del paese. Ma proprio per questo l’attività dei talebani è oggi rivolta soprattutto contro tale esercito.

(A.M.)
Rimini, 27 agosto 2009