Giampaolo Pansa, giornalista e scrittore noto per le sue indagini sulle vicende dei “vinti” nelle tragiche vicende dell’Italia dell’immediato dopoguerra, è stato il protagonista dell’incontro delle 19 in sala B7. Dialogando con Alberto Savorana, portavoce di Comunione e Liberazione, Pansa ha ricordato i suoi studi universitari, conclusi con la prima tesi del tempo (siamo nel 1959) sulla resistenza, che gli valse l’apprezzamento di Luigi Einaudi. “Sono stato un bambino della guerra e le cose viste con gli occhi da bambino sono persistenti e dettagliate. Sono sempre stato anche tendenzialmente critico” ha premesso rispondendo al suo interlocutore.
Dalle vicende storiche di cui si è occupato, emergono tre comportamenti da condannare senza indugio: “Il fatto che parla solo chi vince e chi perde debba stare zitto anche decenni dopo; il mito che la resistenza fosse un fatto di adesione unitaria; l’arroganza del considerare definitivi i giudizi storici anche quando chiaramente influenzati dalla matrice ideologica”.
La determinazione di “aprire finalmente la porta blindata del 25 aprile perché qualcosa è successo anche dopo e quindi di rompere il fronte omologato della storiografia comunista” è sorta in lui per il fastidio davanti a certe celebrazioni travisanti dei fatti della resistenza, oltre all’urgenza avvertita di rendere giustizia alle numerose vittime della cieca ideologia. Pansa ha ricordato in particolare l’uccisione di Mario Acquaviva a Casale Monferrato, non perché fascista – come falsamente dichiarato dal suo sicario – ma perché non allineato all’ortodossia filomoscovita, avendo egli fondato una corrente trozkista “che disturbava il partitone”.
Il giornalista ha pure ricordato di aver ricevuto all’indomani delle prime pubblicazioni sul dopo 25 aprile circa 2200 lettere. “Unico il clichè: persone che dettagliatamente mi segnalavano fatti, simili a quelli raccontati, di morti oscure di propri familiari e di cui si rammaricavano di non aver trovato riscontro nelle pagine delle mie opere”. Persone magari solo desiderose di sapere dove fossero stati sepolti i loro cari uccisi. “Ancor oggi vige l’omertà: anziani partigiani o persone probabilmente al corrente di tante morti oscure non hanno nemmeno il coraggio di parlare La guerra civile è come un gatto arrabbiato che ti insegue sempre. Ci vorrebbe un gesto di pacificazione, ma per questo occorre anche un atto di confessione”. Che secondo il relatore dovrebbe venire dalla sinistra, che si è sempre ideologicamente richiamata in modo ideologico alla resistenza.
L’intervento di Pansa, caratterizzato da toni ironici e sferzanti verso i suoi detrattori, ha suscitato frequenti applausi di consenso nel vasto pubblico del Meeting presente in sala (“non credevo così numeroso”, è il commento, “pensavo foste tutti da Andreotti e Tremonti…”). Alberto Savorana concludendo l’incontro ha qualificato la battaglia culturale di Pansa come un tentativo di rispondere alla verità, che una volta incontrata non può essere tenuta sotto silenzio.
(M.B.)
Rimini, 27 agosto 2008