Continua la rassegna di reportages internazionali “Storie dal mondo”. Sotto i riflettori è la telecamera del regista bolognese Emmanuel Exitu, introdottasi nelle case di numerose famiglie affidatarie per documentare la loro esperienza.
Exitu si era già cimentato nell’impresa di osservare con l’occhio acuto della sua cinepresa storie di bellezza in un mondo “pieno di schifo”, dominato dallo scetticismo e dall’individualismo con il documentario “Greater – Schiacciare l’Aids” sul Meeting Point International fondato dall’infermiera Rose Busingye a Kampala in Uganda. Il 25 agosto in sala A2 alle ore 19 è la volta del suo viaggio nel mondo dell’accoglienza.
“La mia casa è la tua” è il titolo del reportage, prodotto dall’associazione Famiglie per l’accoglienza e da Wide eyes project. Un lungometraggio di un’ora che ha tenuto la platea con gli occhi incollati al grande schermo.
L’incipit è fiabesco: un’atmosfera naïf, un sorridente sole giallo e due bambini che giocano. Il tutto in versione cartoon. Uno dei due è incuriosito e spaventato dalla strana condizione del suo compagno: come è possibile che abbia due padri e due madri? Dove sono quelli veri? Perché non può stare con loro?
La risposta offerta, al bambino e al pubblico, non è una teoria né un discorso.
È la vita reale. Insieme alla telecamera, tenuta sempre a misura d’uomo, gli spettatori sono condotti all’interno dell’esperienza concreta delle famiglie che hanno aperto le porte a bambini in affido. Non è un reality, ma la realtà. Con tanto di battibecchi famigliari, litigi scoppiati a tavola, la reazioni dei fratellastri e, naturalmente, il dramma di questi ragazzi.
Suona strano vivere con quattro genitori, “due che ti fanno nascere e due che ti fanno crescere”- spiega un ragazzo in affido. Eppure non solo è possibile ma può essere anche un’occasione di conoscenza maggiore di sé. “La speranza non è il lieto fine, ma bruciare anche nella contraddizione”, dice Exitu. Basta poi guardare in faccia Maddy, ragazza in affido dalla storia travagliata: “Ciò che è stato male, è stato il tramite per l’accadere del positivo”. Basta guardare i fatti. E la gioia commossa dei volti dei genitori.
Sorprendono la cura, l’attenzione, la sensibilità nel trattare il dolore dei giovani e delle famiglie costrette ad abbandonare i figli. Un realismo privo di ornamenti sentimentali e carico di uno sguardo profondo, in grado di leggere la ricchezza di queste esperienze. Inquadrature intime e lunghi primi piani sui volti (occhi e sorriso, soprattutto) mostrano come i protagonisti di queste storie siano innanzitutto uomini. Con tutti i loro limiti ma sostenuti da un desiderio grande e dalla ricchezza che la questa esperienza ha introdotto nelle loro vite, anche nei momenti di fatica.
Il presidente delle Famiglie per l’accoglienza, Marco Mazzi, afferma: “Tramite il film siamo diventati più consapevoli di chi siamo”. Ma chi siamo? Per cosa siamo fatti? Per amare ed essere amati. Per ascoltare e per poter confessare quella preghiera che una mamma si è sentita fare dalla figlia che aveva accolto: “Dimmi che è per sempre”.
(E.M.)
Rimini, 25 agosto 2010