Quattro minuti d’orologio di applausi calorosi, nel più grande spazio della Fiera, l’auditorium D7, hanno detto al cardinal Bagnasco che il titolo della sua conferenza “La Chiesa, un popolo che si fa storia”, qui a Rimini, trovava già una sua espressione. E che il suo invito conclusivo, “la sfida decisiva per noi cristiani oggi è la radicalità della nostra fede”, era stato raccolto da gente che, per dirla ancora con le sue parole, accetta “di mettersi in gioco su questo piano”.
La vera e propria lectio magistralis del presidente della Cei ha toccato gli aspetti fondamentali della natura della Chiesa, dell’identità del cristiano e del suo compito nel mondo, non senza dedicare alla platea un “cari amici di Cl, grazie perché ci siete”. Il cardinale parte sgombrando il campo da diversi equivoci. Intanto la Chiesa non è un luogo intimistico, ma “ambiente familiare dove rigeneriamo le forze e la speranza si alimenta e ‘mondo’ dove l’intelligenza è chiamata ad aprire gli orizzonti, superando meandri e ottusità, particolarismi e divisioni. Nella Chiesa facciamo esperienza dell’universalità, che ci porta fino ai confini della terra”. “La Chiesa, prolungamento di Cristo nel tempo – ha avvertito il cardinale, richiamando la Gaudium et spes – in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico ma è il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana”.
L’intervento del presente della Cei è proseguito ricercando il soggetto della storia umana, individuando tre livelli. Il primo è quello delle persone, “primo affluente della storia universale”. Ma la storia della persona non è mai solamente individuale, perché nessuno vive solo. Anzi, “la vita quotidiana fa storia perché la persona in sé è relazione”. Negare questo significa scadere nell’“individualismo che azzera la persona stessa”. “Nessuno è invisibile – ha detto Bagnasco – Ciascuno partecipa al fluire del grande fiume umano, è protagonista: ed essere protagonista non è voglia di protagonismo, ma amore di identità”.
Dunque, dalle persone ai popoli: secondo livello. “Ma dov’è la grandezza di un popolo?”, si è chiesto il cardinale. “Più che nelle imprese politiche è nella cultura – ha risposto – È su questo piano, fatto di valori e di idee, che genti come i Greci e i Romani hanno inciso sulla storia. I valori sono la carta di identità di un popolo”, ne definiscono il fine, in assenza del quale non ci sarebbe più una ragione per sacrificarsi fino al dono della vita per la comunità.
Infine gli Stati, “che appaiono i più importanti protagonisti della storia umana”. Ma lo Stato non ha un valore assoluto, dev’essere espressione di un popolo e non tradirne l’anima “in nome di qualche ideologia o disegno politico”. Bagnasco ha individuato altri pericoli che aggrediscono “la base valoriale di un popolo”: l’esaltazione dell’avere, la propaganda dell’apparenza, il facile successo. L’insidia maggiore, secondo il cardinale, oggi viene dall’individualismo, “che disgrega in senso di appartenenza ad una identità che crea comunione tra gli uomini e permette la comunità di vita”.
Ma come districarsi fra le diverse visioni della vita, come giudicare i miti e le convinzioni? “Il criterio di giudizio – ha affermato il porporato – non può essere che la verità dell’uomo. Un criterio che rifiuta la convinzione secondo cui il bene venga sempre e solo dal futuro”. Nessuno schema ideologico, quindi, ma attenzione alla realtà, “perché essa lascia trasparire la luce del bene come suo destino. Il Signore Gesù è la pienezza di questa luce divina che riscatta il mondo dalle ombre: grazie a Cristo crocifisso anche il dolore innocente trova un senso”. Questo è ciò che ad ogni uomo è dato di incontrare nella fede all’interno della Chiesa. La fede quindi “non è una sorta di gnosi, di conoscenza misterica per pochi iniziati, ma il frutto di un’amicizia personale con Cristo, che si rinnova ogni giorno”. Un’amicizia all’interno della quale i credenti “fanno storia sia come singoli che come gruppo, come popolo”.
A questo punto, il presidente della Cei si è posto il problema dell’identità del cristiano, che deve essere dentro al mondo ma senza assimilarsi ad esso. La vera identità del cristiano, “il vero sale della storia, è Cristo che non dice ai suoi discepoli quel che ha fatto per loro ma ciò che ha fatto di loro”. Ma non si può parlare di ‘sale’, della condivisione, cioè, della vita della gente, senza parlare insieme di ‘luce’, di quello che “dona alle cose il loro volto”. “Oggi – ha ammonito Bagnasco – si vuole che la Chiesa rimanga in chiesa”. Il culto e la carità, in fondo, sono apprezzati anche dalla mentalità laicista che, però, “vorrebbe negare la dimensione pubblica della fede. A tutti si riconosce come sacra la libertà di coscienza, ma dai cattolici a volte si pretende che essi prescindano dalla fede che forma la loro coscienza”.
Il cardinale, quindi, ha affrontato il tema della ragione, sostenendo che “fede e ragione si richiamano a vicenda, sono implicate reciprocamente nell’unità della persona e, come dice il Papa, hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura”. Non si può, secondo Bagnasco, ridurre ogni posizione dei credenti a scelta confessionale. I valori della famiglia, della vita umana, della persona, sono anzitutto un bagaglio della buona ragione.
Che la Chiesa faccia storia, secondo il cardinale significa che “custodisce la memoria della storia dell’uomo, della sua creazione, della sua dignità, della sua caduta e della sua redenzione in Cristo”. “Per questo a scrivere la storia – ha aggiunto il cardinale – non sono soltanto gli uomini. Con loro scrive anche Dio, che da nessun luogo è ormai assente e la Tradizione è l’impegno della Chiesa di tramandare intatto il mistero di Cristo e il suo pensiero”.
Inevitabile, poste queste premesse, un appello all’Europa perché non dimentichi le sue radici e il grande debito che ha nei confronti dell’umanesimo cristiano. “Il passato non si può negare, pena lo smarrimento personale e collettivo di un popolo”. “Attenzione – ha ammonito il presidente della Cei – il resto del mondo guarda all’Europa e alla sua pretesa di costruire la storia senza Dio perché vuol dire costruirla contro l’uomo. Il resto del mondo guarda con sospetto questa pretesa, la sente come una presunzione pericolosa, intuisce che racchiude in sé il germe del disfacimento spirituale e morale, dell’individuo e dei popoli, la loro stessa possibilità di esistere”. Un giudizio severo, che il cardinal Bagnasco ha corroborato richiamando Eliot, autore ricorrente in questo Meeting, (‘se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura’) e l’ebreo neo hegeliano Karl Loewith, secondo cui il fatto che con l’affievolirsi del cristianesimo è divenuta problematica anche l’umanità. “La vera rivoluzione – ha concluso il presidente dei vescovi italiani – è Cristo in noi: da qui nasce e si alimenta l’autentica riforma”.
(D.B.)
Rimini, 24 agosto 2008