Cardinale Zuppi: ecco il relativismo che ci serve
Domenica 21 agosto ĆØ uscita su IlSussidiario.net unāintervista a Matteo Maria Zuppi, cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, eccola qui di seguito.
IlSussidiario.net, domenica 21 agosto, intervista al cardinale M.M. ZuppiĀ PACE, ELEZIONI, GIUSSANI/ Card. Zuppi: ecco il relativismo che ci serveĀ (Federico FerraĆ¹)
āNonostante tutto, il nostro Dio resta un inguaribile appassionato dellāumano. Ci vuole con Luiā dice al Sussidiario il card. Matteo Zuppi, neopresidente della Cei. Oggi ādon Matteoā ā ci tiene a farsi chiamare cosƬ, non ĆØ understatement, ma spirito di servizio, quello che papa Francesco apprezza ā sarĆ al Meeting di Rimini, ospite dellāappuntamento che dĆ il titolo alla kermesse di Cl: āUna passione per lāuomoā.
Quando lo abbiamo chiamato, don Matteo era appena tornato dal Mozambico. Un viaggio attuale, e si capisce perchĆ©. Poi il discorso va sullāItalia, le elezioni, le sfide della Chiesa e don Giussani. Il suo carisma āĆØ una grande avventuraā, spiega lāarcivescovo di Bologna, ānon un cammino che definisco, ma lāessere condotto dallāamore di Dio dove vuole Lui. E lāamore di Dio non si ripete, si rinnovaā.
Abbiamo una guerra alle porte, e forse anche noi siamo belligeranti. La pace ĆØ ancora possibile?
La pace ĆØ sempre possibile, bisogna perĆ² volerla e andarla a cercare ad ogni costo, nei modi giusti e con forte determinazione. Anche nel caso dellāUcraina. Se ĆØ stato trovato un accordo sul grano, lo stesso si puĆ² fare per mettere fine alle ostilitĆ . Non possiamo mai abituarci alla guerra.
Come bisogna fare?
Ci vuole la capacitĆ di mettere insieme i vari attori, coinvolgendo tutti.
Lei ĆØ appena stato in Mozambico, unāesperienza cui tiene molto. PerchĆ©?
Non solo per le vicende che ci hanno visto coinvolti (come comunitĆ di SantāEgidio, ndr) e che ormai fanno parte della mia vita. Nel Mozambico della guerra civile la situazione sembrava in-componibile, i guerriglieri erano ritenuti un interlocutore inaffidabile, gli interessi anche esterni nella regione erano tanti.
Lei ha detto che quegli accordi di pace, nel ā92, dopo 17 anni di guerra civile, sono stati anche una grande lezione di metodo. PerchĆ©?
In Mozambico siamo arrivati alla pace con una formula non āchimicaā, non riproducibile. Fu lāunico caso che vide lavorare assieme per una mediazione realtĆ governative e non governative. Sa cosa disse Boutros-Ghali?
No, ci dica.
La chiamĆ² āformula italianaā: difficile da spiegare, come la nostra grammatica, ma consistente nel realismo e nella flessibilitĆ che servono per riunire gli attori in grado di aiutare la pace non secondo una regola formale, ma di efficacia. Se oggi questo metodo diventasse quello europeo, sarebbe un grande bene per tutti. Non dobbiamo coinvolgere tutti gli attori?
Torniamo allāItalia. La precarietĆ economica e lavorativa sono in aumento, andiamo verso un autunno pieno di gravi incognite. Il Paese va alle urne. Ć un bene o un male?
Ritengo che sarebbe stato buon senso evitarle, non ĆØ andata cosƬ, e adesso le elezioni ci sono. Le si affronti, con senso di responsabilitĆ , per dare stabilitĆ al Paese. Ć vero, siamo in un momento complicatissimo, fatti di vecchi conguagli e nuove crisi. Abbiamo 6 milioni di poveri che con lāinflazione potrebbero aumentare. Proprio per questo occorre che la politica faccia la politica.
Cosa significa?
Non viva di visioni condominiali, provi ad avere una visione generale complessiva alta, di grande idealitĆ e rivolta al futuro, consapevole dellāinteresse nazionale. Oggi serve molta competenza, determinazione, visione. E umiltĆ .
PerchĆ© oggiĀ un cattolico dovrebbe andare a votare?
PerchĆ© a maggior ragione un cristiano che ha a cuore la vita delle persone, cioĆØ il suo prossimo, deve impegnarsi in tutto ciĆ² che puĆ² favorire la difesa della persona. Il voto ĆØ questo. CāĆØ libertĆ di coscienza, ma non libertĆ di disinteresse. Anzi, proprio perchĆ© la situazione ĆØ grave serve un impegno ancor piĆ¹ grande.
Il bene comune ĆØ nemico delle visioni e delle soluzioni di parte?
Bene comune ĆØ una parola che va usata con castitĆ , altrimenti diventa un imbroglio. Se non persegue il bene comune, la politica diventa gestione clientelare, personalistica, soggettivistica, corrotta. Fare il proprio interesseĀ ĆØ giĆ una corruzione della politica, invece orientarsi al bene comune ĆØ liberante. Permette di trovare soluzioni politiche diverse, nuove.
Che cosa la sta colpendo della Chiesa italiana in questo inizio di mandato alla Cei?
Vedo tanto desiderio di essere vicino alle persone che soffrono, tanta prassi che spesso non corrisponde ad immagini precostituite.
Che cosa intende?
La Chiesa ĆØ vista molte volte come matrigna e non come madre, invece sto sperimentando tanta maternitĆ . Certo, anche tanta fatica di fronte alle domande, alle sfide che interrogano tutti, e dunque anche la Chiesa.
Il modello tradizionale, tridentino, parroco-chiesa-territorio risponde ai problemi con cui oggi la Chiesa deve fare i conti?
Bisogna aggiungere un ingrediente fondamentale, che ĆØ quello della comunione. Senza questa il rapporto parroco-parrocchia non funziona piĆ¹. Il Concilio ha regalato alla Chiesa una responsabilitĆ che coinvolge tutta la comunitĆ . Servire la comunione oggi ĆØ la vera sfida.
Come si fa ad averla?
La comunione non ĆØ un nostro prodotto, ĆØ un dono che lo Spirito ci affida. Se noi ne facciamo oggetto di possesso, se la deleghiamo, la roviniamo. Possesso e individualismo sono il contrario della comunione. Solo in comunione possiamo ritrovare noi stessi, capire chi siamo.
PuĆ² spiegarci meglio?
Quante volte diciamo di essere alla ricerca dellāio? Ma se siamo cosƬ fragili, ĆØ perchĆ© non sappiamo piĆ¹ cosāĆØ il noi, anzi lo pieghiamo sfrontatamente allāio. Vale per tutti, anche nella Chiesa. Questo ĆØ frutto del relativismo, quel relativismo nemico della persona che diceva papa Benedetto XVI. Ma cāĆØ anche un relativismo buono, cristiano.
E in cosa consiste?
Nel relativizzare lāio a Dio e al noi. Solo cosƬ lāio ritrova se stesso. A noi ā a me ā interessa ritrovarmi, dare valore e senso al mio io, perchĆ© mi voglio bene, perchĆ© tengo a me stesso. Per questo ho bisogno del ārelativismoā cristiano. Esso mi fa dipendere da Colui che ĆØ il mio primo prossimo, e che mi insegna ad esserlo per gli altri.
Una commissione di inchiesta sta affrontando il problema degli abusi. Ma lāindagine conoscitiva ĆØ rivolta al passato. Cosa bisogna fare per risolvere il problema in futuro? Va cambiataĀ mentalitĆ nei preti?
Va cambiata la mentalitĆ di tutti. Qualcuno fa dipendere gli abusi dal celibato, ma non ĆØ lƬ il problema, perchĆ© la maggior parte degli abusi avvengono in famiglia, nello sport, realtĆ che non mi sembrano fatte di celibi. Che cosa dobbiamo fare? Certamente migliorare la formazione dei preti, ma soprattutto fare una grande opera di prevenzione, coinvolgendo tutta la Chiesa, associazioni e movimenti. Senza caccia alle streghe, senza puritanesimi farisaici, ma con rigore e molto realismo.
Ć il centenario della nascita di don Giussani. Il fondatore di Cl ĆØ ancoraĀ un dono vivoĀ per la Chiesa?
SƬ, tantissimo. Ce lo ricordano le tante,Ā incalcolabili realtĆ Ā che Cl ha generato e genera. Peraltro ĆØ un dono riconosciuto dalla Chiesa nella sua maternitĆ . Il dono di don Giussani ĆØ una grande avventura.
PerchĆ© unāavventura?
Avventura perchĆ© ogni dono dello Spirito non ĆØ un programma che realizzo, ma una passione che vivo, non un cammino che definisco, ma lāessere condotto dallāamore di Dio dove vuole Lui. E lāamore di Dio non si ripete, si rinnova. Oggi invece abbiamo la tentazione di essere ācompilativiā piuttosto che creativi e generativi; e abbiamo paura, perchĆ© crediamo piĆ¹ ai programmi che allāamore di Dio. Proprio per questo lāincontro con lāuomo cosƬ comāĆØ, che ha tanto appassionato Giussani, ĆØ ancor piĆ¹ necessario a tutti noi e alla Chiesa. Ne hanno bisogno tanti giovani, tante persone che hanno desiderio di bello, di vero, di buono, cercano chi li realizzi ma non sanno dargli un Volto.
Il movimento di Cl ha attraversato una fase convulsa, avente al centro, per diversi aspetti,Ā la parola ācarismaā. Che cosa si sente di dire in proposito?
Il centenario ĆØ unāottima occasione per riflettere sulla storia e sul dono del carisma di Giussani, che ĆØ poi il carisma di tutto il movimento. Tutti i doni ci sono affidati per farli fruttificare. Occorre mettersi in gioco per far sƬ che il carisma produca frutti, e mettere da parte le difficoltĆ e la soggettivitĆ che non aiutano. Il carisma non ĆØ mai una ripetizione, ĆØ sempre generativo, come tutte le cose dello Spirito. E unisce: ĆØ un fatto di comunione, lo avete nel nome.
Quale azione discende da questa consapevolezza?
Testimoniare ciĆ² che il carisma significa per la vita. Quanti desideri, i piĆ¹ veri, quelli che definiscono la vita, restano nel cuore perchĆ© non incontrano qualcuno e questo incontro diventa un avvenimento? Ecco la passione per lāumano. In questo scopriamo Dio e Dio ci fa scoprire lāumano. Nonostante tutto, il nostro Dio resta un inguaribile appassionato dellāumano. Ci vuole con Lui.
(Federico FerraĆ¹)