UNA SPERANZA PER TUTTI (SALA NERI) – in collegamento

INCONTRO IN PRESENZA CON COLLEGAMENTO DIRETTO DALL’AUDITORIUM

In diretta su Icaro Tv, IlSussidiario.net, Radio Vaticana, Vatican News (ita/eng/esp)

Colum McCann, scrittore, autore del romanzo “Apeirogon” (Feltrinelli) in dialogo con Rami Elhanan, israeliano, padre di Smadar, The Parents Circle e Bassam Aramin, palestinese, padre di Abir, The Parents Circle. Letture a cura dell’attore Giampiero Bartolini. Introduce Alessandro Banfi, giornalista

I grandi libri ti fanno vivere le vite degli altri. Il romanzo Apeirogon di Colum McCann, scrittore irlandese naturalizzato statunitense, vincitore del National Book Award nel 2009, parla della storia vera di due padri, Rami Elhanan, israeliano e Bassam Aramin, palestinese, che hanno entrambi perso le loro figlie uccise dal terrorismo e dall’occupazione militare. È la storia di due uomini che hanno trasformato quel grande dolore in azioni concrete per la pace e la convivenza. Una storia epica e vera, raccontata da un grande scrittore, che indica un’inaspettata e oggi apparentemente impossibile pace in Terra Santa.

Con il sostegno di Tracce

UNA SPERANZA PER TUTTI

UNA SPERANZA PER TUTTI

Venerdì 23 agosto 2024 ore 15:00

Auditorium Isybank D3

Partecipano:

Colum McCann, scrittore, autore del romanzo “Apeirogon” (Feltrinelli) in dialogo con Rami Elhanan, israeliano, padre di Smadar, The Parents Circle e Bassam Aramin, palestinese, padre di Abir, The Parents Circle. Letture a cura dell’attore Giampiero Bartolini.

Introduce:

Alessandro Banfi, giornalista

 

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Banfi. 0:13:51

Buonasera, buonasera a tutti, io sono Alessandro Banfi, giornalista. Ho l’onore di presentarvi Colum McCann, scrittore irlandese-americano, autore del romanzo “Apeirogon”, un bestseller che ha fatto conoscere a tutto il mondo questa eccezionale storia, la storia di Rami Elhanan, israeliano, padre di Smadar, uccisa in un agguato di Hamas, e di Bassam Haramin, palestinese, padre di Abir, uccisa da un soldato israeliano. Sono entrambi attivisti di un’organizzazione non governativa che si chiama “Parents Circle”, cioè Circolo dei Genitori. Io voglio dire oggi poche parole, perché sono poche le parole che ci possiamo dire. La guerra sempre ci chiude nel proprio dolore, chiude ognuno nel suo singolo dolore. E questa è l’immagine di queste due ragazze, di queste due bambine, che sono state le vittime delle due parti. Smadar oggi avrebbe 42 anni, Abir oggi avrebbe 32 anni. E allora partiamo dal testo del libro che ha portato in giro questa storia nel mondo e ringrazio Giampiero Bartolini e lo chiamo qua a leggere con noi il primo brano che abbiamo scelto di questo libro che ci introduce a questa storia vera, perché a volte i libri raccontano delle storie che non sono vere, sono fiction; questa volta, questo libro è una storia vera e sono qui i protagonisti. I grandi libri ci fanno vivere le vite degli altri. A te, Giampiero.

Bartolini. 0:16:12

«Il tempo non ti aspetta. Tu vorresti che lo facesse, che si congelasse, si paralizzasse, che scorresse all’indietro, ma non lo fa. Ti devi svegliare, ti devi alzare, devi fare i conti con te stesso. Lei non c’è più. La sua sedia a tavola è vuota, la sua cameretta è vuota. Il suo cappotto è ancora sul pomello della porta. Devi prendere una decisione. Cosa ne farai adesso di questo nuovo, insostenibile fardello che hai sulle spalle? Cosa ne farai di questa incredibile rabbia che ti mangia vivo? Cosa ne farai di questa tua nuova persona? Di questo padre senza una figlia? Di questo uomo che non avevi mai pensato che potesse esistere? La prima scelta è ovvia. Vendetta. Quando qualcuno uccide tua figlia, vuoi mettere le cose in pari. Vuoi uscire e uccidere un arabo, qualsiasi arabo, tutti gli arabi. E poi vuoi tentare di uccidere la sua famiglia e chiunque gli stia intorno. È quello che ci si aspetta da te, che si esige da te. Ogni arabo che vedi lo vuoi vedere morto. Certo, non sempre lo fai nel vero senso della parola, ma lo fai chiedendo ad altri di uccidere un arabo per te, ai tuoi politici, ai tuoi cosiddetti leader. Gli chiedi di lanciargli un missile sulla casa, di avvelenarlo, di prendere la sua terra, di rubare la sua acqua, di arrestare suo figlio, di picchiarlo ai posti di blocco. Se uccidi uno dei miei, io uccido dieci dei tuoi. E il morto naturalmente ha uno zio, un fratello, un cugino o una moglie che a sua volta vuole uccidere te. E tu poi vuoi ucciderli di nuovo per altri dieci volte. Vendetta, la strada più semplice. E poi ottieni monumenti a quella vendetta con tendoni, funerali, canti, cartelli sui muri, un altro tumulto, un altro checkpoint, un altro pezzo di terra sottratta. Una pietra conduce a una pallottola e un altro attentatore suicida conduce a un’altra incursione aerea. E continua, e continua così, senza sosta. Sentite, io ho un caratteraccio, lo so. Tendo a perdere le staffe. Molto tempo fa ho ucciso della gente in guerra, freddamente, come in un videogioco. Imbracciavo un fucile, guidavo carri armati. Ho combattuto in tre guerre. Sono sopravvissuto. E la verità, l’orribile verità è che gli arabi per me erano una cosa, una cosa lontana, astratta, insignificante. Per me non erano nulla di reale o di tangibile. Non erano nemmeno visibili. Non pensavo a loro, non facevano parte della mia vita, né nel bene né nel male. I palestinesi a Gerusalemme, beh, loro falciavano il prato, raccoglievano l’immondizia, costruivano le case, sparecchiavano la tavola. Come ogni israeliano, sapevo che erano lì e fingevo di conoscerli. Fingevo perfino che alcuni di loro mi piacessero, quelli innocui. Parlavamo così di loro, quelli innocui e quelli pericolosi. E non lo avrei mai ammesso, neppure con me stesso, ma per me avrebbero anche potuto essere dei tosaerba, delle lavastoviglie, dei taxi, dei camion. Erano lì per riparare i nostri frigoriferi di sabato. Era questa la battuta che girava. In ogni città c’era bisogno di almeno un arabo per bene, se no chi te lo veniva a riparare il frigorifero di sabato? E, semmai erano qualcosa di più che semplici oggetti, allora erano oggetti da temere. Perché se non li temevi, sarebbero diventati persone reali. E noi non volevamo che fossero persone reali. Era una cosa che non avremmo saputo gestire. Un palestinese reale era un uomo. Circa un anno fa, dopo l’uccisione di Smadar, incontrai un uomo che cambiò completamente la mia vita. Si chiamava Ytzhak Frankenthal, un ebreo religioso, un ortodosso, uno con la kippah sulla testa».

Banfi. 0:21:11

Rami, abbiamo scelto questo brano perché molto sinteticamente dice il fondo della questione. Come è accaduto che per te i palestinesi diventassero esseri umani?

Elhanan.  0:21:43

Ero una vittima, ero una vittima del metodo di educazione israeliano, mi è stato fatto il lavaggio del cervello, sono nato con una spada, capendo e sapendo che se avessi lasciato andare la spada sarei stato destinato. E questa è la vittima della mentalità. Vittima della mentalità: noi abbiamo questa mentalità di vittimismo da 3000 anni. Solamente noi siamo le vittime. E noi mandiamo i nostri figli a imparare questo vittimismo quando hanno 16 anni, li mandiamo nell’esercito e poi tornano con la bandiera e con lo slogan in testa e poi vanno nei checkpoint e ogni diciottenne deve decidere se questa persona che viene da lui è un attentatore suicida oppure una persona normale. È una cosa folle. Quindi sono entrato a fare parte del Parents Circle, Ytzhak Frankenthal, questo uomo con la kippah. Noi cerchiamo di stigmatizzare le persone, questo lo sapete, in base a come si abbigliano, in base a quello che hanno, in base a come si comportano, noi li giudichiamo. Pensavo che fosse un fascista e che mangiasse gli arabi per colazione ed ero pronto a combattere contro di lui. E lui mi ha invitato a guardare un incontro di questo gruppo di folli che si incontravano nel Parents Circle e questo è stato molti anni fa. Ero molto cinico, ero riluttante, non volevo farlo però ero un po’ curioso, ho detto “ok” e questo incontro mi ha cambiato la vita. Per la prima volta nella mia vita, avevo 47 anni all’epoca, per la prima volta nella mia vita ho incontrato i palestinesi che erano esseri umani. Non erano semplicemente persone che lavoravano in strada, non erano terroristi. Erano semplicemente esseri umani che facevano esattamente le stesse cose che facevo io, che soffrivano esattamente come soffrivo io. Ed ero molto scioccato, sono stato scioccato, sono stato commosso e poi ho visto questa donna palestinese che è scesa, che è venuta verso di me con il suo vestito tradizionale palestinese e aveva una foto sul suo petto del suo bambino, del suo figlio di 6 anni, proprio come mia moglie porta la foto sul petto di nostra figlia Smadar. Beh, questo incontro ha cambiato la mia vita. Da quel momento in poi, la mia vita è stata dedicata a viaggiare ovunque possibile, per parlare a chiunque possibile, perché le persone devono ascoltare, quelle che vogliono ascoltare e quelle che non vogliono ascoltare, per far passare un messaggio semplice, che non siamo predestinati, non è un nostro destino continuare a ucciderci gli uni gli altri, possiamo cambiare il nostro destino e per una volta per tutte, possiamo smettere, interrompere questo ciclo di violenza infinita. E possiamo farlo semplicemente parlandoci, insieme, gli uni agli altri. E poi nel 2005 ho incontrato questo nobile uomo del Movimento Combattenti per la Pace. Mio figlio, Elick, è stato uno dei fondatori insieme al figlio di Bassam. Ci siamo piaciuti, la sua nobiltà, la sua saggezza, la sua umanità mi ha conquistato e ha conquistato anche mia moglie. Siamo diventati molto amici, siamo andati a casa loro, loro sono venuti a casa nostra, ci siamo avvicinati molto. E poi, due anni dopo, il 16 gennaio 2007, stavo guidando la macchina insieme a mia moglie e ho ricevuto una telefonata che mi ha detto che Abir era stata colpita da un proiettile palestinese dietro la nuca. Siamo rimasti alcuni giorni in ospedale a Gerusalemme e per me è stato come perdere la figlia la seconda volta. Ero completamente distrutto. “Che cosa facciamo adesso?” – ci siamo chiesti. “Dio ci sta mettendo alla prova”. Poi ho guardato questo uomo e da allora in poi l’ho seguito, ho seguito il suo esempio, ho seguito la sua nobiltà, ho seguito la sua capacità di far credere alle persone che è possibile per le persone vivere insieme, dimenticando il passato, guardando al futuro e capire che noi, come persone che abbiamo pagato il prezzo più alto possibile, noi, arabi, israeliani, ebrei, musulmani, noi abbiamo l’autorità morale di dire al mondo intero, senza eccezione alcuna, ovunque, che tutti hanno il diritto di essere liberi, tutti hanno il diritto di essere normali, tutti hanno il diritto di essere rispettati come esseri umani. Questa è la storia.

Banfi. 0:27:50

Allora invito Giampiero a leggerci il secondo brano che ci introduce Bassam Haramin. Avete già sentito, ha già raccontato molto Rami della loro amicizia, del loro frequentarsi. Qui mi colpisce il punto di contatto che c’è nel loro racconto. Prego.

Bartolini. 0:28:12

«È una tragedia dover continuamente provare che siamo degli esseri umani. Non solo con gli israeliani, ma anche con altri arabi, nostri fratelli e sorelle, con gli americani, con i cinesi, con gli europei. E come mai? Non ho l’aspetto di un essere umano? Non sanguino come un essere umano? Non siamo speciali, siamo persone proprio come le altre. È stato solo nel 2005 che alcuni di noi hanno cominciato a incontrarsi segretamente con dei soldati israeliani. Io ero fra i primi quattro palestinesi. Non potete immaginare quel primo incontro, su all’Everest Hotel. Per noi, quelli erano criminali, killer, nemici, assassini. E per loro, noi eravamo la stessa cosa. Uno era Elick, il figlio di Rami. È così che le nostre due famiglie si sono conosciute. Ci stavamo incontrando come nemici che adesso volevano parlare. Quei giovani israeliani si rifiutavano di combattere in Cisgiordania e a Gaza, non per il bene della popolazione palestinese, ma per quello della loro stessa gente. E nemmeno noi stavamo agendo per salvare vite israeliane, ma per impedire ai palestinesi di soffrire. Eravamo egoisti da entrambe le parti. Ed è naturale. Perché non dovresti esserlo? All’inizio non importava niente di loro. D’accordo, erano diversi. E con questo? Fu solo in seguito che cominciammo a sentirci responsabili l’uno verso il popolo dell’altro. Ci era voluto più di un anno. E fondammo Combattenti per la Pace lì, all’Everest Hotel, in cima alla strada, vicino all’insediamento, accanto al muro, a due minuti da qui. Rumi, il poeta Sufi, ha detto qualcosa che non dimenticherò mai. “Ben oltre il giusto e lo sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò là”. Avevamo ragione e avevamo torto. E ci incontrammo in un campo. Ci eravamo resi conto che volevamo ucciderci l’un l’altro per raggiungere lo stesso obiettivo, la pace e la sicurezza. Pensate un po’. L’ironia. Roba da matti».

Banfi. 0:31:09

Bassam, io devo rivelare anche a Colum che ho scelto questo brano perché, appena l’ho letto, mi ha ricordato Shakespeare, Il mercante di Venezia, quando Shylock dice: “Non sanguino io anche se sono ebreo, non sono forse un essere umano come voi?” e mi è sembrato riecheggiare con le stesse parole, non so se era nelle tue intenzioni, ma poi alla fine l’esperienza umana è sempre quella, al fondo alla verità di ogni esperienza umana viene fuori la stessa cosa. E allora, qui c’è il tuo racconto, il racconto del tuo itinerario che, per chi leggerà il libro è tutto da scoprire, un itinerario per te anche molto lungo perché è un itinerario in cui vuoi conoscere quel fantasma nemico che è l’israeliano, vuoi capire l’olocausto, impari la lingua ebraica e, alla fine, c’è questo incontro straordinario con Rami. A te il seguito della storia.

Aramin. 0:32:26

All’inizio ho pensato che eravamo persone del tutto normali, non speciali. Poi ho scoperto invece che siamo molto speciali perché non è facile scoprirci e conoscerci. E mio fratello Rami l’ha scoperto e ha scoperto che siamo esseri umani. Cioè, qualche volta ci si nasconde agli altri ed è difficile vedere gli altri e si vede negli altri qualcosa di molto diverso. Sì, ho iniziato a conoscere l’altra parte quando ho guardato un film sull’olocausto, ero in prigione all’epoca e volevo divertirmi guardando questo film perché per me era una sorta di vendetta, perché volevo vedere gli altri torturati, uccisi, e poi ho cominciato a piangere. Perché era l’uccisione di persone innocenti ed era troppo per me, era una cosa troppo forte per me. Non mi aspettavo di vedere questa atrocità. È una lunga storia, però questo film, poi, dopo più di 25 anni, mi ha spinto a conseguire una laurea sull’olocausto. Questo proprio per capire qual è la paura presente nella mentalità ebraica. Perché in prigione ho imparato che se conosci il tuo nemico lo puoi sconfiggere oppure lo puoi uccidere, ma se invece odi solamente il tuo nemico non fai altro che uccidere te stesso. Quindi, quando lo scopri, il tuo nemico diventa come te ed è il primo passo per cercare di capire chi è il tuo nemico. E cerchi sempre un modo nuovo, più efficace, per conoscerlo. Quando capisci e credi che alla fine devi sederti e parlare insieme, mi sono detto: ma perché devo aspettare fino alla fine per farlo? Sediamoci adesso insieme, parliamo adesso insieme, prima di continuare ad ucciderci. Non è facile. Non è una cosa facile, non è facile essere palestinese, in generale. Qualcuno ha detto che se nasci palestinese hai già sconfitto molto e hai già vinto nella vita. Devi provare di essere un buon essere umano e devi meritare di vivere, devi meritare di esistere sotto l’occupazione israeliana. Questo è il nostro nemico comune, israeliani e palestinesi. Se non ci fosse occupazione non avremmo bisogno di ucciderci. Quindi questa è la nostra missione: porre termine a questa occupazione in maniera tale che possiamo coesistere tutti insieme, vicini; altrimenti, purtroppo, continueremo a sacrificare le vite dei nostri bambini, da entrambe le parti, per proteggere le pietre sacre di Gerusalemme. Dipende da noi, siamo noi che dobbiamo decidere cosa è più importante: le nostre vite o le pietre sacre? Questa è la domanda.

Banfi. 0:36:05

Credo che Giampiero stia salendo di nuovo sul palco perché, per introdurre Colum McCann, ho scelto un brano che riguarda un altro scrittore che è citato nel libro. A volte i libri si fanno anche così; c’è un libro nel libro, ci sono tanti libri in questo libro, tante storie, tanti inserti in questa piccola storia di un’amicizia personale fra due persone che diventa così universale. Prego.

Bartolini. 0:36:42

«Nell’ottobre del 1972, Wael Zuaiter, poeta e traduttore, fu ucciso a colpi di pistola da agenti del Mossad israeliano. Stava rientrando nel suo appartamento di Piazza Annibaliano, nel nord di Roma, portando con sé una copia in arabo de “Le Mille e una notte”. Zuaiter aveva amato quel libro fin da bambino e, da quando era arrivato a Roma, da Nablus, nel 1962, aveva cominciato a tradurlo dalla sua lingua natia in italiano. Più di ogni altra cosa, voleva catturarne la poesia originale. Pensava che pochi in Italia conoscessero la vera bellezza di quelle storie. Le loro versioni erano derivate tutte dall’inglese o dal francese, mai direttamente dall’arabo. Le traduzioni correnti erano una diluizione borghese. Avevano sciacquato via i colori, lo spirito e il fascino dei testi e rivestito di decenza e significati, i miti. L’autentica consistenza e coloritura del linguaggio e dell’umorismo si stava perdendo. E questo, a suo parere, era dovuto a una forma di infantilizzazione del pensiero arabo, che rendeva più facile disumanizzare e occupare il suo popolo. Zuaiter aveva 38 anni, veniva da una famiglia benestante, ma da tempo tirava a campare come poeta, giornalista, cantante, attore e pittore. Riusciva malapena a citare interi brani a memoria di Voltaire, Montesquieu, Rousseau, e mostrava un accanito interesse per l’opera di Calvino e di Borges. Era un abituale frequentatore del bar arabo di via del Vantaggio, dove spesso intratteneva la gente leggendo poesie ad alta voce. Amava organizzare salotti letterari in giro per la città. Lo si vedeva spesso passeggiare per le strade, canticchiando “Bella Ciao”. All’inizio degli anni ’70 si unì a Fatah e avviò una piccola libreria, i cui scaffali erano colmi di testi rivoluzionari. La sera dell’assassinio, Zuaiter prese due autobus dalla casa della sua ragazza, un’artista australiana di nome Janet Venn-Brown, per attraversare la città e tornare al suo appartamento. Quando superò l’androne diretto alle scale, dal buio emerse una figura con in pugno una calibro 22 munita di silenziatore. Zuaiter alzò le mani e gli furono sparati tredici colpi. Dodici pallottole lo colpirono alla testa e al petto. La tredicesima perforò il libro che aveva ancora in tasca. Trapassò i racconti e si fermò quando raggiunse il dorso. La pallottola trafisse la storia del piccolo gobbo, proprio la preferita di Smadar. Zuaiter fu il primo di una serie di omicidi commessi dal Mossad per vendicare l’uccisione di 11 atleti israeliani avvenuta un mese prima, durante le Olimpiadi di Monaco. Dissero che era un membro di “Settembre Nero”, il gruppo che aveva compiuto il massacro, ma secondo la testimonianza degli amici di Zuaiter, durante una conferenza stampa a Beirut, lui era un pacifista, con una capacità di uccidere quasi pari a zero. Non era interessato alla vendetta e probabilmente conosceva più del flauto magico di quanto avesse mai saputo della carta, dell’OLP.»

Banfi. 0:40:27

Grazie. Grazie, Giampiero Bartolini, per queste letture. Ho scelto questo brano perché è uno scrittore che parla di uno scrittore. Anche se è una storia molto controversa quella di Zuaiter. Ed è vero che manca ancora una traduzione italiana davvero poetica delle Mille e una notte. Ancora l’aspettiamo. Come è nato questo libro per te, Colum?

Mccann. 0:41:10

Questo libro è nato dal coraggio di questi due uomini e il giorno che li ho incontrati non ho vergogna di dire che sono letteralmente scoppiato in lacrime dopo aver ascoltato la storia di come avevano perso le figlie e di come vedevano questo mondo spezzato e cercavano di riparare questo mondo spezzato raccontando la loro storia. E poi sono tornato, vengo dall’Irlanda ma vivo a New York. Quindi sono tornato e ho cercato di mettere insieme questa storia e mi sono reso conto, due anni dopo che avevo iniziato a scrivere la storia, che Rami e Bassam stavano raccontando la storia delle loro figlie proprio per tenerle in vita. Ho riconosciuto questa cosa, me ne sono reso conto, e poi ho pensato, ah, ma questo è Mille e una notte, e quindi cercherò di raccontare la storia in mille uno parti, mille uno capitoli. E poi, vedo, guardo voi, questa sera ci sono, diciamo qui, 3000 e 3 persone, e ci sono così tante storie da ascoltare. E sono molto impressionato che siete venuti tutti ad ascoltare la testimonianza di questi due grandissimi uomini coraggiosi. E voi potete portare la loro storia in tutto il mondo, perché sono fortemente convinto che le storie e il fatto di narrare le storie siano le cose che possano riparare e far funzionare il mondo per come è adesso. Loro cercano di trovare l’umanità nell’altro in maniera profonda. Questo può sembrare semplice per alcune persone, questo forse può sembrare romantico, può sembrare anche sentimentale. Per me è una cosa profonda, per me va al cuore degli scritti: amare il tuo vicino e addirittura amare il tuo nemico. Qualche volta le cose più profonde possono essere riassunte in una semplice frase. Ma niente è semplice. Soprattutto la semplicità non è semplice. Loro, fondamentalmente, hanno lavorato per creare un messaggio che secondo me veramente può cambiare la vita delle persone. Non abbiamo bisogno di amarci null’altro, dicono. Non dobbiamo nemmeno piacerci null’altro, dicono. Anche se vorremmo poterlo fare, ma quello che dobbiamo fare è capirci l’un l’altro. Se non ci capiamo l’un l’altro, allora siamo predestinati. E come ci capiamo l’un l’altro? Ci capiamo l’un l’altro non attraverso la politica, non attraverso delle dichiarazioni, la didattica, non attraverso i sentimenti del cuore, non attraverso qualcosa di pomposo, ma attraverso qualcosa di personale, di storia personale. Quindi viaggiano in tutto il mondo per raccontare la storia delle loro figlie, in questo modo le tengono in vita. Il mio lavoro quindi, il mio compito quindi è semplicemente stato quello di catturare le loro voci, sono diventato una sorta di ventriloquo e ho catturato l’onestà con cui stavano raccontando questa storia. Per cinque anni, mentre ho scritto il libro, piano piano li ho conosciuti, sono passato attraverso dei check point con Bassam, sono andato in motocicletta con Amir. Penso che oggi Smadar e Abir siano qui sulla mia spalla e qualche volta mi sussurrano qualcosa e sono grati perché i loro padri adesso stanno andando in giro in tutto il mondo e hanno avuto il coraggio di raccontare la loro storia in maniera tale che possiamo conoscere non solo loro ma conoscere qual è la loro importanza in tutto il mondo.

Banfi. 0:45:22

Resto con te, Colum, per farti una seconda domanda. Quello che mi colpisce nel tuo atteggiamento verso il dolore, la sofferenza, la morte, verso l’incredibile dolore di questi due padri, è la pietas, come direbbero gli antichi, un atteggiamento di compassione verso l’umano. Ovviamente la domanda che ti faccio è: viene forse dalla tua tradizione cattolica irlandese?

Mccann. 0:46:04

Credo che la migliore risposta che posso dare oggi a qualsiasi domanda così è: non lo so. E lo dico perché viviamo in un’epoca contrassegnata da certezze. Tutti sembrano avere solo certezze di fronte a qualsiasi domanda, ma voglio essere onesto e sincero: io non so da dove è venuta questa spinta, ma viene sicuramente da una cultura di fede, una cultura di raccontare storie, da un rispetto per le storie e anche per la letteratura in generale. Ma non riesco a localizzare tutto questo, non dico che venga dalla Palestina o dall’Irlanda o da Israele o dall’Italia, credo che sia qualcosa che appartiene al territorio del cuore umano. E c’è una frase araba bellissima del VI secolo, da una serie di poeti che si chiama Mu’allaqat, e si chiamano anche i poemi pendenti, le poesie pendenti, che venivano messe alla mattina nei mercati in varie città, anche qui in Baghdad, e in una di queste poesie c’è qualcosa di straordinario. È stato detto anche nella storia di Rami e Bassam: c’è qualche speranza che questa desolazione possa portarci sollievo? Beh, è difficile. La desolazione può portare sollievo? Inizialmente si può pensare di no, perché qualcuno che perde la figlia come può trovare sollievo? Ma con il giusto tempo, spazio e distanza ebbene può venire. Queste persone ce ne danno l’esempio, e bisogna andare a esplorare il territorio del cuore umano perché sta lì la risposta. E quindi credo che tutto questo si ricolleghi col tema della fede e anche con alcune idee spirituali profonde su chi siamo. È triste pensare che tutto questo sia nato da qualcosa di tragico, ma trovare il sollievo nella poesia però è possibile. Non voglio interrompere però troppo lo scorrere del nostro incontro, ma quest’uomo ha una poesia di Darwish che appunto parla di questi temi. Puoi citare questa poesia?

Aramin.

Sì, puoi chiedermelo di citarla.

“Mentre preparate la colazione pensate agli altri. Non dimenticate anche di dare da mangiare alle colombe. Pensate agli altri, a quelli che cercano la pace. E anche quando andate a pagare la bolletta dell’acqua, pensate agli altri. E non dimenticate coloro che hanno solo le nuvole da cui bere. E pensate agli altri anche quando parlate usando liberamente metafore, a coloro che hanno perso il diritto di parlare. Quando tornate a casa pensate agli altri, a coloro che non hanno un luogo dove dormire. E quando pensate agli altri pensate anche a coloro che sono lontani, ma pensate anche a voi stessi e auguratevi di essere una candela nel buio.”

Mccann. 0:50:08

La loro storia è stata una candela, è stata una luce nel buio.

Banfi. 0:50:35

Tu hai detto, in un’intervista che abbiamo fatto per il mensile Tracce, che il grande dolore per la scomparsa di Smadar ti ha reso fratello con Bassam. Davvero pensi che questa fratellanza, che è un po’ la domanda che abbiamo nel cuore tutti noi qua, tutti noi che guardiamo fra virgolette da lontano la Terra Santa, la Palestina e l’Israele, tu pensi che questa fratellanza possa essere allargata?

Elhanan. 0:51:12

Si tratta di una domanda difficilissima. È importante per esprimere l’amore, non è necessario essere in lutto per esprimere l’amore o vivere con lutto, ma soprattutto non è necessario per capire e vivere il rispetto. E non c’è bisogno di essere al nostro posto per poter apprezzare queste cose. Molte persone, invece, che hanno vissuto quello che abbiamo vissuto noi, cercano vendetta, altre si sentono come destinate. Ci sono appunto persone arrabbiate che vogliono fare i conti, pareggiare i conti, vendicarsi, altri che portano avanti questo circolo di violenza, altri invece finiscono per morire soli, chiusi in sé stessi. Ma pochissimi, come i membri di Combattenti per la Pace, il Parents Circle e altri che lottano per la pace, sono pochi ma sono estremamente potenti, possono trasmettere questo messaggio, mostrare agli altri un esempio concreto che si può fare, non è un’utopia, è possibile, è qualcosa di reale. Ebbene, potete venire qui e toccarmi, toccare me, Bassam e noi siamo reali, non siamo un’invenzione di Colum.

Banfi. 0:52:58

A volte sembra che la logica dei due campi, Hamas in quello palestinese e il governo Netanyahu in quello israeliano, sia segnata dallo stesso atteggiamento: la distruzione e la negazione dell’altro. Però mi ha colpito che nell’intervista che citavo prima voi avete detto una frase che mi sono riletto e riletto. Tra l’odio e il perdono c’è qualcosa nel mezzo che si chiama riconciliazione. Questa è la via di mezzo per cui io e Rami combattiamo.

Bassam. 0:53:58

Lei ha parlato delle due parti, quindi Hamas da un lato e il governo Netanyahu dall’altro. Ma c’è anche il popolo palestinese. Hamas non rappresenta i palestinesi ma fa parte dei palestinesi. L’occupazione israeliana ha creato Fatah, Hamas e la resistenza palestinese. Per porre fine a Hamas bisogna porre fine all’occupazione israeliana. Jabotinsky dice che l’oppressione crea resistenza. Quindi non si può esistere sotto un’occupazione senza resistenza. Noi abbiamo visto che c’è stata una lotta che oramai va avanti da 100 anni. Ma fino a questo momento però non è successo nulla di risolutivo e conclusivo. I palestinesi non sono ancora liberi e c’è ancora l’occupazione, ma c’è solo più sofferenza, più vittime, più atrocità. Quindi è giunto il momento di capire che il popolo israeliano, il governo israeliano, devono riconoscere il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione per creare uno Stato palestinese. Il resto del mondo deve riconoscere lo Stato palestinese.

Banfi. 0:56:15

Tornando al tuo interesse particolare per questa storia, mi ha colpito quello che mi hai raccontato, che ti ricordi da ragazzo di aver vissuto in Irlanda la presenza di bandiere palestinesi e bandiere israeliane. I cattolici, nell’Irlanda divisa, nell’Irlanda della guerra civile, i cattolici portavano i vessilli palestinesi e i lealisti brandivano le bandiere di Israele. Nel tuo Paese a un certo punto è arrivata la pace, anche inaspettatamente da un certo punto di vista, dopo tantissimo dolore, dopo tantissimo terrorismo, dopo tantissime divisioni. Ecco, come questa tua storia è stata un background per l’interesse verso la possibile riconciliazione in Palestina.

Mccann. 0:57:20

È bellissimo questo termine di una possibilità, poiché se si parla di impossibile c’è anche il possibile. Il senatore George Mitchell, che ha avviato il processo di pace in Irlanda del Nord, ha detto che là dove c’è l’impossibile c’è anche il possibile. Quando ero bambino, ricordo che passavo anche io dai checkpoint con mia madre e andavamo magari in una fattoria nell’Irlanda del Nord e ci sentivamo circondati da cose terribili. Pensavamo che la pace non ci sarebbe mai stata e oggi sono qui e abbiamo pace da 27 anni in Irlanda del Nord e sembra quasi impossibile, sembra quasi impossibile pensandoci. Quindi, se osserviamo situazioni come questa in tutto il mondo, è bene. Rami e Bassam dicono: chi avrebbe mai potuto pensare che così tanti anni dopo l’Olocausto ci sarebbe stata un’ambasciata israeliana a Berlino, ci sarebbe stata un’ambasciata tedesca? Quattro anni, ma sì, ok. Chi avrebbe potuto immaginarlo che ci sarebbe stata un’ambasciata reciproca nei due paesi? Ebbene, il fatto è che le guerre finiscono, devono finire, ma come finiscono? Chi desidera che finiscano? E quanto ci vuole per farle finire? Io credo che ci sia, diciamo, un flusso di persone, però nascoste, silenziose, ma se riusciamo a farle ascoltare possiamo innescare un cambiamento perché il cambiamento è davvero possibile quando le persone possono far sentire la loro voce. Qualcuno può pensare che questi due uomini siano improbabili, ma penso che nel pubblico qui ci siano tante persone improbabili, persone coraggiose, persone che potrebbero dimostrare questo coraggio, ma ci vuole anche una fede e qui ce ne sono sicuramente tante di persone che hanno fede, persone che sono in grado di alzarsi e dire: io credo che quello che si pensa impossibile sia possibile.

Banfi. 1:00:05

Rami, la tua storia è una storia che coinvolge anche tua moglie, Nurit, che è una persona che ancora porta molto i segni del dolore dopo 27 anni. È una persona eccezionale, molto conosciuta in Israele, molto famosa. E quello che ti volevo chiedere è che cosa ha significato per te uscire dall’idea di conservare il proprio dolore per te stesso? Quanto ti ha fatto bene parlarne? Mi colpisce che quando abbiamo fatto lo zoom la prima volta tu hai chiuso la porta e mi hai detto: preferisco che mia moglie non senta perché in questo momento non ce la fa a sentire che di nuovo parliamo della morte di Smadar. E allora vorrei chiederti invece: cosa spinge te a rendere questo dolore, a far emergere questa enorme sofferenza?

Rami. 1:01:24

Wow! Questa è una domanda che colpisce basso.

Banfi. 1:01:31

Sotto la cintura.

Rami. 1:01:34

Sotto la cintura.

Rami. 1:01:43

Mia Moglie è una persona davvero eccezionale, molto nobile e con una grande potenza. Credo che la tragedia di una madre non possa essere comparata a qualsiasi altra tragedia sulla terra, mai. La tragedia di una madre che perde la figlia, che in un certo senso è l’estensione della sua femminilità, va oltre anche la mia capacità di comprensione. Mia moglie è un’attivista per la pace. Lo è stata da quando abbiamo perso nostra figlia, quindi negli ultimi 27 anni. Ha vinto anche il premio Sakharov, attribuito dal Parlamento Europeo. È conosciuta in tutto il mondo come attivista per la pace e anche come ricercatrice di libri scolastici, cercando di capire come evitare che una certa violenza continui. È molto conosciuta, i suoi libri non sono tradotti in ebraico, la TV non l’ha intervistata e gli israeliani fanno fatica ad ascoltare le sue parole, che sono parole dolorose. Ma mia moglie è sicuramente un esempio: non vuole che nessuno tocchi il suo dolore. Lei è conosciuta per il suo attivismo, le sue attività, la sua capacità di ricerca accademica e la sua capacità di parlare della verità della pace. Mia moglie è diversa da me. So che quando parlo ai bambini, o magari vado in classi israeliane o palestinesi, e l’ho fatto negli ultimi 25 anni, parlo a quei bambini che mi guardano con i loro occhioni sgranati. Puoi quasi sentire come se la terra in quel momento vibrasse, tremasse. È come entrare nella bocca di un vulcano attivo, la terra trema e tra queste due nazioni scorre un fiume di sangue. Quando vedono me e Bassam insieme, è qualcosa che non hanno mai visto: non hanno mai visto un palestinese e un israeliano che si chiamano fratelli, che sono insieme e che non cercano di confrontare chi soffre di più, chi ha iniziato cosa, chi ha colpa. Questo crea stupore. E poi, quando comincio a parlare e dico qualche parola in arabo, e Bassam si rivolge a loro in ebraico, che è fra l’altro migliore del mio, potete quasi vedere le crepe in questo muro di stupore. Vedete la luce che si fa strada in queste fessure del muro di oscurità. Questa è l’essenza delle attività del Parents Circle. Per quanto mi riguarda, se nella classe c’è anche solo un bambino, israeliano o palestinese, che annuisce accettando il messaggio che portiamo, è un miracolo. Una goccia di sangue. L’ebraismo dice che in una sola goccia di sangue c’è tutto il mondo racchiuso, e penso che così possiamo fare la differenza.

Banfi. 1:06:02

Grazie, Rami. Spero di non essere stato troppo personale.

Rami. 1:06:08

Grazie per la domanda su mia moglie, perché mia moglie è il vero eroe, la moglie di Bassam, tutte le mogli.

Banfi. 1:06:22

Volevo farlo alla fine, chiedere a voi di unirvi a me in questo ricordo. Per piacere, rimettete le foto delle due bambine. Dicevamo insieme, preparando questo incontro con voi, no? Le due vittime sono due bambine, due donne, e ci sono due persone fondamentali in questa vicenda, molto ben raccontata nel libro “Apeirogon”, che sono appunto Nurit, la moglie di Rami, e Salwa, la moglie di Bassam. Per me e per tutti noi sono un esempio, perché spesso, se non sempre, sono le donne, le bambine, a pagare il prezzo della guerra, che loro non farebbero mai. Chiedo a voi di unirvi a me in un applauso per ricordare loro, e attraverso loro, tutte le bambine e tutte le donne vittime delle guerre in questo momento in tutto il mondo. Grazie, grazie per questa solidarietà che sentiamo tutti. Bassam, c’è un momento nel libro scritto da Colum veramente angosciante, descritto senza molti aggettivi, in modo asciutto. Colum racconta di un’ambulanza che non si muove, che porta una bambina di nome Abir, colpita da una pallottola di gomma di un soldato israeliano alla nuca. Potrebbe, forse, ricevere cure, ma è bloccata nei territori. È una pagina angosciante. A me ha fatto venire in mente un film molto semplice che trovate sulle piattaforme. Non ricordo più se su Prime o su Netflix, si chiama “The Present”. È un documentario che ha vinto, mi sembra, a Cannes o a Venezia, e che racconta una cosa molto semplice, non un episodio di guerra, non un episodio di violenza, ma un episodio di vita: un marito che vuole fare un regalo a sua moglie. Racconta molto bene come si vive lì, cosa che spesso noi ignoriamo. Ecco, quello che ti voglio chiedere: leggendo quelle pagine, uno si rende conto che la difficoltà di vivere a Gerico, come tu stai facendo in Cisgiordania, è una cosa che, dopo la tragedia di Gaza, magari ci ricordiamo di meno, ma è sempre presente. Hai già detto che siete contrari all’occupazione dei territori da parte dell’esercito israeliano, ma vuoi spiegare, far capire a noi, che siamo lontani, qual è la situazione lì?

Bassam. 1:10:27

Per noi è lo stesso governo da 75 anni. Ogni nuovo governo continua la politica di occupazione con ancora più insediamenti, più coloni, e al momento c’è un vero disastro in corso, ma nessuno ne parla. Più di 600 persone dal 7 ottobre sono state uccise, più di 10.000 prigionieri sono stati fatti ostaggi o sono stati rapiti, inclusi bambini e donne. Il modo in cui i prigionieri vengono trattati è incredibile, non si sono mai visti tali trattamenti nella storia, neppure davanti alle telecamere. Non è qualcosa di segreto. Come dicevo, ogni giorno speriamo che sia un giorno in meno di occupazione, speriamo che possa arrivare a una fine. Ricordo, più di venti anni fa, un ufficiale della CIA disse che la resistenza fino ad ora non è mai stata sconfitta, e che la resistenza palestinese continuerà fino a che ci sarà occupazione. Credo che palestinesi e israeliani, solo insieme, possano sconfiggere anche l’occupazione.

Column.

Vorrei poter prendere per mano ogni persona nel pubblico e portarla in una piccola città come Beit Sahour, fermarci in un caffè, percorrere le strade di ciottoli, vedere i giovani che ci sono, che guardano i loro computer, vestiti bene, che fanno sogni. C’è davvero la più alta percentuale di dottorati in Cisgiordania, a Gaza, c’è un’energia creativa pazzesca. Nei media occidentali si pensa che siano persone monolitiche, che lanciano pietre, sassi, ma no, hanno idee, sono pieni di bellezza, di voglia di vivere, e dobbiamo capire anche le sfumature di ciò che sta accadendo, perché tutto viene ridotto a qualcosa di monolitico, come se la Palestina fosse un’unica cosa, e come se anche Israele fosse un’unica cosa. Invece ci sono tante sfaccettature in più, e chi racconta storie, chi ascolta storie, ha la responsabilità di raccogliere insieme queste contraddizioni e accettare che le contraddizioni fanno parte della bellezza del mondo. Il mondo è complicato, ci sono anche tanti israeliani che, con iniziative come il Parents Circle, cercano di fare qualcosa, così come i palestinesi sul campo. Noi dobbiamo andare a osservare tutta questa natura caleidoscopica. Se lo faremo, potremo anche capire e accettare le contraddizioni, e attraverso le contraddizioni la luce si fa strada, la luce può sconfiggere il buio e l’oscurità, come ha detto anche Rami. Fa parte di una realtà che vogliamo negare sia in Palestina sia in Israele in questo periodo.

Banfi. 1:14:41

Andiamo verso la fine. Voglio tornare al punto iniziale della nostra storia, e cioè voglio chiedere a Rami prima e a Bassam poi l’impressione che vi ha fatto incontrare Papa Francesco.

Rami. 1:15:14

Beh, rivelerò un segreto: non sono un uomo religioso e non sono il più grande credente che ci sia sulla terra. Francamente, non sapevo cosa aspettarmi nell’incontrare questa persona, ma devo confessare che mi sono emozionato tantissimo. Sono stato profondamente commosso, ho incontrato una figura paterna, un grandissimo uomo. È davvero una persona che ti dà conforto, e quando ci ha incontrato è scoppiato in lacrime. Ha visto la foto delle nostre figlie e ho visto le lacrime scendere sul suo viso. Eravamo molto vicini. C’erano 10.000 persone fuori che parlavano di noi, e mi ricordo di aver camminato tra queste folle, e non mi sono mai sentito così imbarazzato in tutta la mia vita. Poi, quando sono tornato in Israele, tutti ne parlavano. Tutti parlavano di noi, di questo incontro storico. Ci è stato anche chiesto di partecipare a un programma sulla televisione israeliana. In realtà, era un collegamento Zoom, e ci hanno chiesto di parlare della nostra udienza con il Papa, del nostro incontro. Ho detto esattamente le cose che sto dicendo adesso. Poi mi hanno chiesto di Gaza, e abbiamo detto poche frasi: che tutto non è cominciato il 7 ottobre e che non finirà domani. Abbiamo detto che il prezzo è troppo alto e, improvvisamente, c’è stato un problema tecnico. Niente, hanno tagliato il collegamento. Gli israeliani non sono in grado di ascoltare.

Bassam.

È stato un incontro davvero positivo, come dicono i politici. Vorrei dire solo due parole: vorrei che lui fosse il Presidente degli Stati Uniti.

Banfi. 1:18:09

Non dell’Argentina, degli Stati Uniti.

Mccann. 1:18:25

Volevo dire qualcosa sul Papa e anche di come ha riconosciuto la profondità di quello che qualcuno potrebbe chiamare un mondo ordinario, comune. Ha riconosciuto l’umanità profonda e l’impegno che anche le persone di fede richiedono, e soprattutto ci ha dato l’esempio di una grande ispirazione, l’ispirazione ad agire con le piccole cose, piccoli atti di riconoscimento, di gentilezza. Lui capisce il potere della letteratura, il potere di raccontare storie, sia attraverso poesie o parabole, sia attraverso appunto l’impegno diretto, come nel caso di Bassam e Rami. Anch’io vorrei che lui fosse Presidente degli Stati Uniti d’America, dell’Irlanda, di tanti altri Stati. Trovo che il suo atteggiamento sia davvero fonte di ispirazione e, soprattutto, ha una grandissima umiltà a cui dobbiamo tutti aspirare, perché lui davvero si preoccupa di tutto quello che succede intorno a lui. Non voglio santificare troppo questi due uomini accanto a me, ma in molti modi davvero loro mi danno l’esempio. Dal primo momento in cui li ho conosciuti e incontrati ho capito che forse non avverrà subito, ma la storia riconoscerà il loro ruolo. Qualcuno magari li potrà accusare di essere sentimentali, ma a volte criticano anche me. Però ho capito che loro stanno dalla parte giusta della storia, e quando poi questa storia sarà tramandata alla prossima generazione, a quella successiva, probabilmente persone come Rami e Bassam e altre persone, quelli che hanno il coraggio di parlare, di farsi ascoltare, verranno riconosciuti e ringraziati per aver consentito di trasmettere questa storia. Perché se si rimane in silenzio, i problemi aumenteranno. C’è un poeta algerino, Tahir Dajud, che dice: “Se si parla si muore. Se si rimane in silenzio si muore. Allora? Parla e muori.”

Banfi. 1:21:09

Allora, voglio ringraziare Marco A. Luigi del Meeting di Rimini e Lorenzo Fazzine delle Biblioteche di Trice Vaticana che hanno permesso questo miracolo. Io lo ritengo un miracolo che voi siate qua in presenza, con la vostra fisicità, a testimoniare una speranza possibile, come è stato intitolato questo incontro. Grazie. Rami vuole aggiungere qualcosa.

Rami. 1:22:14

Non ho nessun motivo per amare Hamas. Hamas è responsabile della morte di mia figlia. E, come ha detto Bassam, qui non stiamo parlando di due parti. Stiamo parlando di una che domina l’altra. C’è una nazione che domina un’altra nazione e abbiamo bisogno disperatamente di qualcosa per, diciamo, smuovere questa situazione. Io, anche solo per salvare una goccia di sangue, mi rivolgerei al diavolo in persona. Quello che Hamas ha fatto il 7 ottobre è stato porre il problema palestinese al centro della tensione ed è una cosa che era da tempo che doveva succedere. Questo conflitto, si capisce, non può essere gestito. Questo conflitto non può essere nascosto sotto il tappeto; è un conflitto che è vivo, è un conflitto che è in corso, che richiede attenzione. Non so quale possa essere la risposta: uno Stato, due Stati, diecimila Stati, una federazione, una confederazione, però so una cosa. Il nostro futuro insieme dipende solo e soltanto da un’unica parola. La parola è rispetto. Bisogna essere capaci di rispettare la persona accanto a te, così come tu vuoi essere rispettato, né più né meno. Una volta che si raggiunge questo, tutto il resto sono tecnicismi su cui ci si può mettere d’accordo. Una cosa è molto chiara: il conflitto adesso è diventato uno show, un reality show, come quelli della TV. Ebbene, ciascuno sostiene il suo gruppo, la sua squadra. È quasi come una partita di calcio. E c’è anche una concorrenza tra le vittime. Ognuno mostra le proprie ferite e più le ferite sono orribili, meglio è. E non c’è capacità di ascolto reciproco. Si continua a scavare nelle piaghe, nelle ferite, senza capacità di guardare avanti tenendo conto di quest’unica parola: rispetto. E credo che sia giunto il momento che l’intero mondo riconosca uno Stato palestinese libero e indipendente, che venga posta fine all’occupazione e al dominio di un popolo su un altro e che si volti pagina nella nostra storia. Grazie.

Bassam.

Sono d’accordo con lui. Vorrei dire quello che ha detto Martin Luther King: “Alla fine non ricorderemo le parole dei nemici, ma il silenzio degli amici.” Quindi non rimanete mai in silenzio. Cercate di essere sempre in favore della pace, della giustizia e dell’umanità per tutti.

Banfi. 1:26:39

Sì, abbiamo finito. Un nostro grande maestro diceva: “Non siate mai tranquilli”, e quindi accogliamo questo invito di Bassam e concludo dandovi due avvisi importanti. Il primo riguarda le donazioni al Meeting. Se siete contenti di quello che avete visto e se siete entusiasti di questo incontro, come spero lo siate, potete sostenere il Meeting. Fra l’altro, quest’anno è successo una cosa particolare. Non invento niente. Vi leggo tra virgolette quello che viene dato a tutti i moderatori dall’organizzazione del Meeting: “In questo particolare momento storico, dove sempre più incognite ci fanno chiedere come sia possibile costruire dialogo e pace, non potevamo non sentirci provocati e riaccesi da quanto ha detto il Cardinale Pizzaballa all’incontro inaugurale.” Quindi il Meeting dice: “Per questa ragione, il Meeting devolverà parte delle donazioni che raccogliamo qui per l’emergenza in Terra Santa.” Quindi donate anche con questo fine.

 

 

 

Data

23 Agosto 2024

Ora

15:00

Edizione

2024

Luogo

Sala Neri Generali-Cattolica
Categoria
Incontri