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SERVUS INUTILIS. ALCIDE DE GASPERI E LA POLITICA COME SERVIZIO
Paolo Alli, segretario generale Fondazione De Gasperi; Enzo Moavero Milanesi, professore di Diritto dell’Unione Europea Università Luiss Guido Carli; Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera; Paolo Valvo, curatore della mostra; Paolo Vilotta, postulatore della causa di beatificazione di Alcide De Gasperi. Modera Francesco Magni, docente di Pedagogia Generale e Sociale, Università degli Studi di Bergamo
Il 19 agosto 1954 moriva Alcide De Gasperi, uno dei più grandi statisti italiani e Padre fondatore dell’Europa unita. La Fondazione De Gasperi ha organizzato celebrazioni per commemorare la sua figura e il suo operato, rivolgendosi in particolare alle nuove generazioni. De Gasperi, noto per la sua visione profetica e il coraggio nelle riforme, lasciò un’impronta indelebile nella storia italiana e una testimonianza di fede incrollabile. La mostra “Servus Inutilis”, inaugurata al Meeting di Rimini, apre le celebrazioni nel 70º anniversario della sua morte, riflettendo sul suo impegno e sulle sue sfide personali.
SERVUS INUTILIS. ALCIDE DE GASPERI E LA POLITICA COME SERVIZIO
SERVUS INUTILIS. ALCIDE DE GASPERI E LA POLITICA COME SERVIZIO
Martedì 20 Agosto 2024 ore 18:00
Arena Internazionale C3
Partecipano:
Paolo Alli, segretario generale Fondazione De Gasperi; Enzo Moavero Milanesi, professore di Diritto dell’Unione Europea Università Luiss Guido Carli; Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera; Paolo Valvo, curatore della mostra; Paolo Vilotta, postulatore della causa di beatificazione di Alcide De Gasperi.
Modera:
Francesco Magni, docente di Pedagogia Generale e Sociale, Università degli Studi di Bergamo
Magni. Bene, buonasera. Benvenuti e benvenute a tutti. È con grande piacere che diamo il via a questo incontro che si svolge proprio in un anniversario importante. Sono passati 70 anni dalla morte di Alcide De Gasperi, avvenuta il 19 agosto 1954. In questi giorni molti di noi hanno letto sui giornali e visto in televisione alcune personalità che ne hanno ricordato la statura umana e politica. L’occasione di questa sera è quella di ritornare a guardare la figura di Alcide De Gasperi, grazie ai nostri illustri ospiti che ringrazio e che andrò a presentare. In occasione della mostra “Servus Inutilis. Alcide De Gasperi e la politica come servizio”, che è presente per la prima volta qui al Meeting di Rimini, ringrazio quindi gli ospiti: Paolo Alli, segretario generale della Fondazione De Gasperi; Enzo Moavero Milanesi, professore di Diritto dell’Unione Europea all’Università LUISS Guido Carli, già Ministro degli Esteri e degli Affari Europei; Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, nonché autore del recente volume “Il costruttore” su cui poi torneremo, un volume edito da Mondadori che ripercorre le vicende di De Gasperi; Paolo Valvo, curatore della mostra e docente di Storia Contemporanea all’Università Cattolica di Milano; e infine Paolo Villotta, postulatore della causa di beatificazione di Alcide De Gasperi. Io inizierei subito con una prima domanda per Paolo Alli. In questo anniversario, Alcide De Gasperi è un uomo al quale il nostro Paese deve molto, in particolare, ma non solo, per il suo ruolo di guida nell’ultima parte della sua vita, nei delicatissimi anni del dopoguerra, dal 1945 al 1953. La Fondazione De Gasperi ha deciso, tra le varie iniziative di questo anniversario, di promuovere questa mostra al Meeting. Allora, che cosa significa, nell’Italia del 2024, presentare a un pubblico ampio, anche di giovani, la figura di De Gasperi oggi?
Alli. Grazie. Anzitutto credo che la figura di De Gasperi abbia un’attualità straordinaria e chi la studia, più la studia, più si rende conto di questo. Per cui noi della Fondazione De Gasperi, che è stata voluta nel 1982 da Maria Romana De Gasperi, figlia del grande Alcide, suo segretario personale, che è morta due anni fa ed è stata fino alla sua scomparsa la Presidente onoraria della Fondazione, la Fondazione che attualmente è presieduta da Angelino Alfano, di cui vi porto i saluti, ha inteso proporre un programma molto ambizioso di iniziative e manifestazioni per celebrare questo anno che noi chiamiamo “anno degasperiano”, con un road show attraverso le principali città italiane, una serie di città straniere, programmi per i giovani. C’è, tra l’altro, presso lo stand della mostra, anche un elenco di queste iniziative. La mostra al Meeting dà poi il via a tutte queste iniziative. Noi crediamo che l’attualità della figura di De Gasperi vada trasmessa a tutti, ma soprattutto alle giovani generazioni. Purtroppo, ci siamo resi conto, da alcune indagini che abbiamo fatto tra giovani studenti, che la figura di De Gasperi è poco conosciuta tra i giovani, segno che anche nelle scuole i programmi didattici non se ne occupano più di tanto. Quindi c’è un lavoro da fare, ma non perché dobbiamo resuscitare uno scheletro da un armadio, ma perché realmente De Gasperi è una persona viva, una persona che ha da dire tante cose al mondo contemporaneo. Lo diranno meglio di me le persone, gli autorevoli ospiti che interverranno, ma alcune sue profezie sono talmente vere e valide tutt’oggi che non possiamo non pensare che lui sia stato davvero la persona che ci ha indicato la strada e che continua a indicarcela ancora oggi, la strada del bene comune, la strada del servizio. Il titolo della mostra lo spiegherà poi il professor Paolo Valvo, ma abbiamo scelto questo titolo “Servus Inutilis”, che sembra un concetto negativo, ma il concetto evangelico del “servo inutile” è colui che serve sapendo che l’esito finale del suo servizio non dipende da lui. È un concetto molto nobile che De Gasperi visse consapevolmente, ma anche soffrendolo, perché lui era un uomo d’azione e voleva vedere l’esito, i risultati delle sue opere. Ma, soprattutto verso la fine della vita, con una lettera bellissima che è riportata proprio alla fine della mostra, si rende conto che a un certo punto uno è chiamato a lasciare ciò che ha fatto. Però, io credo che lui non abbia lasciato incompiuto il suo lavoro; ci ha lasciato una dote di pensiero, di riflessione, di testimonianza di vita e di fede personale che sta a noi rendere attuale. Quindi sta a noi far continuare la presenza di Alcide De Gasperi nel nostro Paese, nella nostra società, nel nostro continente europeo. Io, tra l’altro, girando per l’Europa, ho trovato forse più sensibilità rispetto alla figura di De Gasperi, dei padri fondatori, fuori dall’Italia che non in Italia, perché purtroppo questo va anche detto. Quindi, la mostra è l’inizio di una serie di attività, ma è il momento più importante, il momento dal quale noi vogliamo anche capire, attraverso le vostre reazioni e le reazioni delle persone che la visiteranno, quanto valga realmente la pena questo sforzo. Secondo noi, vale la pena. Aiutateci anche voi a confermarci in questo compito che non è facile, né dal punto di vista organizzativo, né dal punto di vista finanziario, da nessun punto di vista come potete immaginare, però è un compito che noi sentiamo come una responsabilità: far vivere la testimonianza di Alcide De Gasperi non come un reperto del passato, ma come una presenza viva oggi che ha ancora tante cose da dirci.
Magni. Grazie e proseguendo nel dialogo, passerei ora al professor Valvo, che come dicevo all’inizio ha curato dal punto di vista scientifico la mostra, studiando all’Università Cattolica nell’ambito della Storia Contemporanea. Vorrei chiedere al professor Valvo se può dirci qualcosa rispetto alla chiave di lettura che avete scelto, visto che evidentemente sono state fatte delle scelte su cosa esporre, su cosa, per ragioni di tempo e di spazio, non era possibile inserire. Insomma, se ci può offrire una chiave di lettura sintetica del percorso che tutti noi potremmo poi, per chi non l’avesse ancora fatto, andare a vedere e a scoprire nella mostra. Grazie, professor Valvo.
Valvo. Grazie. Giustamente il professor Magni citava la difficoltà, la fatica, io dico anche la sofferenza, perché si è trattato veramente di decisioni spesso molto sofferte legate al fatto che non si poteva inserire tutto. Questa mostra è una sintesi, è un tentativo di sintesi necessariamente, direi, almeno a due livelli. Il primo livello è quello della vita di Alcide De Gasperi, una vita, un pensiero, un’opera documentata non solo dai fatti ma anche dagli scritti. De Gasperi è un uomo politico che ha scritto tantissimo e il primo modo per riappropriarci dell’eredità degasperiana è proprio partire da ciò che De Gasperi ci ha lasciato: un corpus di lettere, un epistolario, una serie di discorsi e di scritti che è veramente una miniera inesauribile alla quale noi abbiamo copiosamente attinto per realizzare questa mostra. Se visitate la mostra, non dovete aspettarvi una trattazione biografica esaustiva, perché non è una mostra il contesto ideale per ospitare un tentativo del genere. Il nostro tentativo è stato piuttosto quello di presentare alcuni tratti dell’esperienza umana, politica e, direi, anche cristiana di Alcide De Gasperi. È stato detto poco fa, ma emergeva anche da alcuni dialoghi di oggi, il paradosso di una figura come quella di Alcide De Gasperi che in fondo tutti citano, tutti i politici dei più diversi schieramenti la citano, in qualche modo se ne appropriano, vi si ispirano. Eppure, è una figura sulla quale ancora rimane moltissimo da dire. Anche questo anniversario da certi punti di vista, quello che si è celebrato ieri, 19 agosto, è l’anniversario proprio della morte, il settantesimo anniversario della morte di De Gasperi. Qualcuno ha denunciato il rischio che potesse in qualche modo passare inosservato. Allora io credo che questo dipenda anche dal fatto che la figura di De Gasperi è una figura direi poco addomesticabile. Non direi scomoda, ma certamente poco addomesticabile, perché ha una complessità di pensiero e di azione che bisogna cercare di abbracciare nella sua interezza per provare a capirci qualcosa. Questo è il tentativo che abbiamo fatto noi: non una biografia dettagliata, della quale forse non c’era neanche bisogno, ma piuttosto il tentativo di misurarci con la complessità di questa vita e di questo pensiero. Il secondo livello per cui possiamo dire che questa mostra è una sintesi è il fatto che ci hanno lavorato tante persone. La mostra nasce dalla confluenza, e mi piace ricordarlo perché è importante, di più percorsi di approfondimento: un percorso partito dall’iniziativa della Fondazione De Gasperi, che ha voluto questa mostra proprio per celebrare l’anno degasperiano e il 70° anniversario, e un percorso che si è incontrato e che ha poi unito le proprie forze con quello di un gruppo di giovani studenti universitari, soprattutto dell’Università Statale di Milano, a cui poi si sono aggiunti i ragazzi della Scuola di Formazione Politica della Fondazione De Gasperi, che sono rimasti affascinati, sono entrati in contatto con la figura di De Gasperi e ne hanno subito il fascino, e quindi si sono mossi per realizzare questa mostra. La mostra nasce anche dalla sintesi, dall’incontro tra sensibilità diverse, tutte però accomunate dal fatto di essere colpite da questa figura. Mi è stata chiesta una chiave di lettura di questa mostra, ed è un po’ complicato rispondere in maniera unitaria, perché di chiavi di lettura ce ne sono tante. Ognuno poi potrà farsi la propria, leggendo i contenuti e ascoltando le spiegazioni. Credo che il cuore della mostra sia l’ultima sezione, che abbiamo deciso di chiamare “Un uomo unito”. Tengo a sottolineare che questa è una proposta che è arrivata dai ragazzi che ho citato prima, che fin dall’inizio hanno in qualche modo identificato in questa espressione così icastica, “un uomo unito”, un tratto fondamentale della personalità di De Gasperi: un uomo che è stato un grandissimo statista, un grande uomo di fede, io dico anche un grande marito e un grande padre di famiglia, ma che ha saputo vivere e incarnare tutte queste dimensioni non sforzandosi di tenerle in qualche modo insieme, ma vivendo una profonda unità. Ecco, l’unità della figura di De Gasperi emerge credo da tutte le sezioni della mostra. Un tratto che mi piace sottolineare, ad esempio, è la sua capacità di tenere insieme, lo ribadisco, in modo naturale, senza che questo gli costi uno sforzo, in qualche modo una mediazione artificiosa, il rispetto e la tutela dell’identità propria e altrui, e al tempo stesso la capacità di entrare in dialogo, la capacità di stringere rapporti di amicizia e di collaborazione sincera con tutti. Questa è una cosa che tante testimonianze che troverete soprattutto nella parte conclusiva della mostra dicono, e sulla quale concordano: De Gasperi era un uomo che non ha mai fatto mistero delle proprie convinzioni profonde, che le ha sempre affermate, le ha sempre vissute con integralità, ma al tempo stesso è sempre stato desideroso di camminare insieme a tutti gli uomini, indipendentemente dal loro credo religioso, dalle loro convinzioni politiche, ma a tutti gli uomini che fossero animati da un sincero desiderio di cooperare per il bene comune. La sua amicizia, De Gasperi l’ha offerta a tutti. Allora, io vorrei chiudere queste rapide considerazioni, per non togliere tempo agli altri relatori, proponendo qui una delle tante citazioni che abbiamo voluto inserire nella mostra, una di quelle che siamo riusciti a salvare, perché tante altre purtroppo con dolore abbiamo dovuto tagliarle, abbiamo dovuto rinunciarvi perché veramente non ci stava tutto. È una citazione tratta da uno scritto di Robert Schuman, uno dei grandi amici di Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio e soprattutto in seguito Ministro degli Esteri francese, che è stato uno dei padri fondatori dell’Europa Unita, proprio insieme a De Gasperi e a Konrad Adenauer. Nel dicembre del 1954, intervenendo in un discorso di commemorazione della figura di De Gasperi da poco scomparso, afferma: “Tutta l’azione di De Gasperi discendeva dai principi che aveva accettato una volta per tutte. La vita religiosa, la democrazia, l’Italia e l’Europa erano per De Gasperi i postulati di una fede profonda e indefettibile. Egli aveva l’anima di un apostolo, ma non di un settario. Questo è meraviglioso. “La sua amicizia e la sua collaborazione erano alla portata di tutti coloro che erano degni della sua fiducia.” Soffermarsi un attimo sulla distinzione tra l’essere apostolo e l’essere settari offre certamente una chiave di lettura molto interessante, in qualche modo un trait d’union tra tutte le sezioni della mostra, oltre a quello rappresentato dal titolo “Servus Inutilis”, che per chi vedrà la mostra o per chi l’ha già vista è veramente un tema unificante, un filo rosso che unisce tutte le varie sezioni dall’inizio della mostra fino alla sua fine, con le parole che sono state prima citate da Paolo Alli. Che cosa vuol dire essere apostolo? Essere un apostolo vuol dire innanzitutto incarnare, fare di ciò che si afferma, di ciò che si dice, di ciò in cui si crede un programma di vita e viverlo in prima persona e, a partire da questo, comunicarlo a tutti. De Gasperi è stato un apostolo della fede cristiana, certamente sì. È stato un apostolo della fede nella democrazia, assolutamente sì, anche in tempi e momenti in cui, per un cattolico, dirsi a favore della democrazia non era un tema scontato. È un uomo che per questa fede nella democrazia ha pagato, e ha pagato anche con il carcere al tempo della dittatura fascista. Ma essere apostolo non vuol dire essere settario. Dove sta la differenza, a mio avviso? Sta nel fatto che l’apostolo innanzitutto vive lui ciò che proclama a parole, lo vive nei fatti e lo comunica a tutti, lo offre a tutti come un’opportunità di cambiamento, come un’opportunità di conversione. Il settario non è animato da questo interesse, soprattutto non ha rispetto per la libertà e per la dignità della coscienza altrui. Un rispetto che invece De Gasperi ha sempre incarnato, ha sempre vissuto sia nei confronti delle persone che gli erano più vicine, sia nei confronti degli amici, sia soprattutto, e anche questo la mostra credo che lo faccia vedere, e su questo chiudo veramente, nei confronti dei nemici o comunque degli avversari, sia politici, sia di altri partiti, sia anche all’interno del suo stesso partito, all’interno della Democrazia Cristiana. Grazie per la vostra attenzione.
Magni. Grazie al professor Valvo, questo mi dà l’occasione per passare a una terza provocazione che vorrei rivolgere ad Antonio Polito. De Gasperi è un uomo che nasce nell’Ottocento, e potremmo dire, come stile, come modo di vivere, come atteggiamenti, in tanti aspetti e declinazioni, ci appare come un uomo lontano, come un uomo di un’altra epoca, e in parte lo è, perché ha vissuto una parte di storia a noi lontana in quanto tale. Ma allo stesso tempo è una figura che oggi sembra ricoprire un’impressionante attualità, nel suo essere moderato nello stile, paziente ma allo stesso tempo perdurante nei tentativi che porta avanti. Il fatto che questa pazienza, questa moderazione, non coincida affatto con un essere tiepidi o arrendevoli nei confronti dei propri avversari o delle proprie idee, dei propri ideali. Oppure anche nel fatto di saper difendere e amare la propria patria, un tema di grande attualità anche oggi. Oppure pensiamo alla sezione della mostra dedicata a tutti i suoi tentativi riformisti e quindi alla capacità di affrontare con coraggio nodi politici, sociali, economici che nel dopoguerra sicuramente non mancavano e non erano affatto semplici da affrontare e da risolvere, come in tanti casi avvenne. Allora, lei nel suo bel libro, “Il costruttore. Le cinque lezioni di De Gasperi e i politici di oggi”, mi sembra che in qualche modo prefiguri De Gasperi come un possibile punto di riferimento, da cui imparare, in particolare per coloro che, giovani o meno giovani, vogliano mettersi al servizio del proprio Paese, del proprio comune, della propria regione. La mia domanda sintetica è: che cosa possiamo ancora imparare da De Gasperi? Quali sono, secondo lei, i punti che oggi, nell’Italia del 2024, sono particolarmente importanti da recuperare e da riscoprire? Grazie.
Polito. La risposta più semplice a questa tua domanda sta nelle due grandi operazioni politiche lasciate incompiute da De Gasperi, che sono la sistemazione dell’assetto politico istituzionale dell’Italia – cioè la debolezza del governo, che lui tentò di risolvere con la riforma della legge elettorale in senso maggioritario, e che non gli riuscì, nel senso che riuscì a far passare la legge, ma poi alle elezioni quella maggioranza del 50% più uno non scattò per pochi voti, per pochi 27 mila voti, una cosa veramente irrisoria, e quindi di quel progetto non se ne fece più nulla, e stiamo ancora lì, perché nel frattempo abbiamo cambiato le leggi elettorali e abbiamo fatto riforme istituzionali, costituzionali, e ne è in corso un tentativo adesso col governo attuale di risolvere quel problema – e l’altra grande attualità e l’altra grande incompiuta di De Gasperi è la difesa europea, il progetto di difesa europea di cui lui è padre, nel senso che l’ha veramente concepito lui come sistema per accelerare bruscamente anche l’integrazione politica europea, che si fermò allora nei giorni della sua morte, nel 1954, e che ancora oggi è tornato di estrema attualità per via della vicenda internazionale che viviamo. Abbiamo bisogno della difesa europea: De Gasperi l’aveva capito. Però, visto che mi hai chiesto di dire quali lezioni possiamo trarre, nel libro ne elenco molte di politiche, vorrei partire da qualche aspetto anche della inattualità di De Gasperi, nel senso che De Gasperi è un uomo dell’Ottocento molto attuale, però è anche un uomo molto originale nel panorama politico e della vita pubblica odierna, perché era una persona forgiata dal suo ideale. Cioè, la persona di De Gasperi, nella vita di relazioni, nella vita familiare, nel rapporto con gli amici e dunque anche nella DC e nella politica, era spinta da un riferimento ideale. Questo lo rendeva estremamente inattuale, e vi voglio raccontare un piccolo episodio. Quando Paolo Alli mi ha chiesto di partecipare, di collaborare con la Fondazione De Gasperi a cercare dei modi per parlare di De Gasperi oggi nell’Italia del 2024, abbiamo cercato uno slogan, un modo chiaro e in poche parole di definire la persona, e lui ha proposto “Servus Inutilis”, che adesso ha avuto la sua rivincita perché la mostra del Meeting è stata così titolata. Io invece ero contrario a questa soluzione perché dicevo: “Servus Inutilis” è un’espressione evangelica dove “inutile” sta per “senza ricompensa”, è basato sulla logica del dono. Noi viviamo in un’epoca basata sulla logica della ricompensa. Se noi definiamo De Gasperi “servo inutile”, ho paura che la gente non ci capisca. Questo è uno dei suoi aspetti di inattualità, perché la sua personalità, i suoi ideali, confliggono, stridono con alcuni aspetti della contemporaneità dell’Italia di oggi, e quindi ci devono servire da sprone per riscoprire quei valori e quegli ideali che nel caso suo sono il cristianesimo, la fede. Vi faccio due piccoli esempi, sono due lettere alla moglie, anzi alla futura moglie, scritte poco prima di sposarsi. Il primo è relativo all’idea di sobrietà e di onestà personale che animava quest’uomo politico. Lui scrive alla futura moglie: “Guarda”, la mette sull’avviso, “con le mie attitudini io potrei, se volessi, guadagnare di più. L’avrei potuto anche fin d’ora, ma mi sono tracciato norme di severo disinte,resse perché mi preme soprattutto la valutazione morale. Io sono tranquillo che tu condividerai con me le larghezze e le strettezze della vita e che in te troverò un sostegno per addolcire quella preoccupazione che venisse, non un aculeo verso guadagni, che potessero turbare la limpidezza della mia vita politica.” Una volta, in una trasmissione, mi hanno chiesto: “Ma se avessero intercettato De Gasperi che cosa avrebbero trovato?” Avrebbero trovato questa lettera personale alla moglie in cui dice: “Guarda, ti avviso, io guadagnerò poco, anche se ovviamente potrei, però me lo sono dato come regola.” L’altro aspetto di inattualità è un’altra lettera alla futura moglie, in cui lui fissa lo standard dei rapporti uomo-donna, delle relazioni familiari a cui si ispira. E le scrive: “Io a te come tu a me. È la formula per le nostre relazioni, le quali mal sopporterebbero subordinazione e atteggiamento passivo da parte dell’uno o dell’altra. Io ti voglio libera compagna, amica di pari iniziativa e indipendenza, e nulla mi ripugna di più che il farti da maestro e di frugare nella tua coscienza.” Questo è un uomo dell’Ottocento, di una modernità spaventosa, inattuale perché oggi purtroppo stiamo assistendo a uno sconvolgimento dei rapporti tra i sessi, delle relazioni tra uomo-donna. E questo uomo ci dà un’idea di che cosa vuol dire una vita ispirata a un grande ideale, a una grande idea del modo di vivere, all’essenziale, diciamo così, per richiamare il titolo del Meeting di quest’anno. Poi c’è l’ispirazione che questa fede, questo modo di pensare, ha prodotto in politica, nella vita pubblica, e qui voglio fare tre brevissimi riferimenti – poi magari di cose più specifiche, soprattutto del rapporto con l’Europa, credo che parlerà Moavero. La questione della nazione. Tu hai detto prima: patriottico ma non nazionalista. È patriottico. De Gasperi, mentre era cittadino, anzi suddito austriaco, si batteva – è stato anche arrestato a Innsbruck durante una manifestazione studentesca a cui partecipava anche Cesare Battisti – si batteva per la patria italiana, per la nazionalità italiana. Lui era italiano, si sentiva italiano, e si batteva per avere università in lingua italiana, rispetto per la cultura italiana, e così via. Però non ha mai concepito la nazione come nazionalismo, come confine. Ha sempre creduto che la nazione fosse qualcosa di un po’ più ricco e vasto di un confine: cultura, lingua, modi di pensare, tradizioni locali e così via. Tanto è vero che l’accordo sull’Alto Adige, raggiunto da lui con Gruber dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è un modello ancora oggi di soluzione dei conflitti tra gruppi etnici diversi di confine. Qualcuno ha detto: “Se l’avessero fatto in Ucraina, forse si sarebbe evitata la guerra.” Ed era un accordo di grande riconoscimento di autonomia anche alla minoranza tedesca che viveva e vive tuttora in Alto Adige. Questa cosa gli veniva, secondo me, proprio dall’essere nato nell’Impero Asburgico, in un impero multinazionale in cui si era dimostrata nei secoli, non purtroppo nel Novecento, la possibilità di far convivere nazionalità diverse. E se ci pensate, l’idea di Europa un poco gli può nascere anche da questa sua estrazione, che mette davanti più l’universalismo cristiano, l’idea dell’Europa cristiana, rispetto alla divisione dell’Europa in Stati-nazione. Non è un caso che gli altri due grandi concepitori del progetto di Europa Unita siano altri due cristiani, due cattolici, cioè Adenauer e Schuman, e manco a farlo apposta, due cattolici nati su una frontiera, come era nato lui su una frontiera, uno in Renania e uno in Alsazia, proprio sulla frontiera franco-tedesca. E parlavano in tedesco fra di loro, tutti e tre parlavano in tedesco. Quindi questo è un primo punto, secondo me, molto importante per cercare l’attualità di quella ispirazione ideale e di fede che lo animava. Il secondo punto, lo hai accennato bene tu, è il concetto di libertà. La democrazia – oggi “democratico” è diventato un aggettivo, anche un partito si fregia di questo aggettivo – ma democrazia è una cosa specifica che, quando finisce il fascismo, non è una cosa così scontata, perché quasi tutti gli antifascisti avevano qualche problema con la democrazia, perché c’era una corrente dell’antifascismo, quella comunista, socialista allora, che si ispirava a un progetto non democratico, cioè all’Unione Sovietica, e c’era un’altra componente, quella liberale, che aveva ben altro rapporto con il concetto di libertà, ma che comunque voleva tornare a un’esperienza pre-fascista di un Paese che non aveva consegnato il potere al popolo, come dice la parola “democrazia”, e da cui le masse popolari erano escluse. Quindi lui, in questo senso, introduce questa formula della democrazia politica e della libertà sopra ogni cosa, anche nel mondo cattolico, e lo fa anche in contrasto, in polemica all’interno del mondo cattolico, dove in certi ambienti, soprattutto dopo il Concordato del 1929, vigeva quella che Pombeni chiama una specie di “a-fascismo”, più che antifascismo. Lui invece è un antifascista conseguente, protagonista dell’Aventino dopo il delitto Matteotti, ma con questa specificità, che poi lo porterà a fondare l’unico partito che al tempo usava la parola “democrazia”. Non è un caso che non si ri-chiamino Partito Popolare, ma decidano di chiamarsi Democrazia Cristiana. Infine, l’ultima attualità che gli deriva dalla sua fede, senza alcun dubbio, cioè il concetto di giustizia sociale. C’è stata tutta una polemica sul fatto che De Gasperi avrebbe detto – anche se poi non risulta scritto da nessuna parte- che la DC era un partito di centro che marciava verso sinistra. Perché? Perché lui si rifiutò, nel 1952, di fare per le amministrative di Roma un’alleanza con i post-fascisti, cioè con il Movimento Sociale e con i Monarchici, alleanza che invece una parte della Chiesa voleva, una parte importante della Chiesa voleva, il partito, diciamo così, romano voleva fare questo accordo. Allora, nel libro della figlia, a un certo punto, la figlia, che parla con lui nel corso delle loro conversazioni di questo aspetto della “marcia verso sinistra”, dice che quella frase rimasta celebre non va letta come una dichiarazione di sinistrismo, bensì come una rivendicazione dell’attenzione cristiana verso la giustizia sociale. “Cerchiamo di intenderci” – chiarì De Gasperi – “Se sinistra vuol dire, e io contesto che tale parola abbia sempre questo significato, apertura verso il progresso sociale, verso la giustizia per i lavoratori, allora non è vero che noi non andiamo o non vogliamo andare verso sinistra. Siamo per principio a sinistra in questo senso.” E nella mostra vedrete una sala dove sono elencate le riforme sociali della prima legislatura della Repubblica Italiana. Non c’è niente di paragonabile nella storia italiana successiva, in quanto a riformismo, in quanto a ricerca della giustizia sociale. La riforma fondiaria: furono dati ai contadini circa un milione di ettari di terre espropriate ai proprietari assenteisti, cioè tolte ai proprietari privati, tant’è vero che poi nel 1952 la DC prese una bella batosta elettorale a Bari e Napoli, nel Mezzogiorno, proprio perché questi ceti si ribellarono. Il piano casa di Fanfani, che diede la casa praticamente pagata dallo Stato a centinaia di migliaia di persone che non ce l’avevano. La scena incredibile di Matera, quando lui visita questa vergogna nazionale che erano i Sassi: 20.000 persone che vivevano nelle grotte come nel Medioevo, con gli animali in casa, con le pecore, con le mucche, con le capre. C’è anche qui nella mostra la foto della consegna, nel giro di due anni, degli alloggi a queste persone e si mise fine a quella vergogna nazionale. Ma anche l’ENI, l’istituzione dell’Ente Nazionale Idrocarburi, l’ENI di Mattei, oggi tanto citato, che significava dare allo Stato il monopolio pubblico dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio e di gas. E anche qui i proprietari si arrabbiarono non poco, la Confindustria non la prese mica bene. Insomma, una serie di riforme sociali che hanno cambiato nel profondo l’Italia come non è mai più successo, né in governi di centrosinistra, né in governi tecnici, né in governi anche guidati dalla sinistra. Quindi queste, secondo me, il fatto che lui agisse in politica con una missione, con un ideale, sono le lezioni che continuano ad essere un modello per politici che… vogliamo dirlo che di qualche modello forse avrebbero bisogno?
Magni. Grazie ad Antonio Polito. Questi ideali che guidavano De Gasperi gli consentono di perseguire anche degli obiettivi ambiziosi. Di volare alto, si potrebbe dire. Lo dico con il titolo che è stato dato alla terza e alla quarta sezione della mostra: da un lato “costruire la pace”, dall’altro “la nostra patria Europa”. Quindi la possibilità di perseguire degli obiettivi ambiziosi, e non tutti, e non sempre, come si vede nella storia, riesce poi a portarli a termine, a raggiungerli. L’esempio della Comunità Europea nel campo della difesa è uno, forse, dei suoi più grandi crucci, delle sue più grandi preoccupazioni negli ultimi anni. Volevo chiedere al professor Moavero Milanesi se, da un lato, questa costruzione dell’Europa Unita nell’ottica di De Gasperi, era fondamentale, era garanzia e tutela per preservare quella pace così difficilmente raggiunta e, dall’altro, questa sua attenzione nel far sì che questa Europa non perdesse il soffio vitale sempre necessario per perseguire quegli ideali che lo guidavano. Allora, pace ed Europa: che cosa possiamo riscoprire oggi dalla lezione degasperiana su questi due aspetti? Grazie.
Milanesi. L’Europa di cui tutti parliamo spesso e che sentiamo nominare di continuo non è una realizzazione di quest’ultimo periodo del secondo dopoguerra, di questi settant’anni. In realtà, di Europa Unita si era parlato molto anche prima; si era cercato anche di fare un’Europa Unita con le baionette, con le armi, nel corso della storia che conosciamo. E l’idea anche di un’Europa costruita in maniera più pacifica era rimasta nel novero degli ideali, e qui c’è un elemento fondamentale, secondo me, nella figura di Alcide De Gasperi: lui è una persona concreta, è un realizzatore, è un costruttore. Esce dal discorso ideale, futuribile, un po’ utopico di una costruzione europea di cui si era parlato, per esempio, moltissimo nel periodo tra le due guerre mondiali, negli anni ’20 e ’30, e va nella concretezza. Ci va attraverso diversi canali: uno lo abbiamo già sentito sottolineare, uomo di frontiera che incontra altri uomini di frontiera, uomo della cosiddetta *Mitteleuropa*, di questa visione centro-continentale che trovava una sua parziale realizzazione proprio in quell’impero austro-ungarico in cui lui era nato, ma ci va anche col coraggio della visione di lungo periodo. Riflettiamo sulle condizioni dell’Italia in quei fine anni ’40, primissimi anni ’50: paese sconfitto, devastato dalla guerra. Qual è la prima comunità europea che viene realizzata su impulso soprattutto di Robert Schuman, ma con il forte sostegno di Konrad Adenauer e di Alcide De Gasperi? È la Comunità del Carbone e dell’Acciaio. Detto così, lo sappiamo tutti, ci sembra ovvio: è la prima comunità. Ma cosa aveva a che fare l’Italia di allora col carbone e con l’acciaio? Quanto carbone c’era in Italia? Quanta produzione di ferro c’era? Quanta siderurgia esisteva in quell’Italia? Laddove era ovvia una comunità del carbone e dell’acciaio tra Francia, Germania e Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, che avevano queste risorse in abbondanza, la presenza dell’Italia è veramente una presenza di visione politica di lungo periodo. L’Italia guidata da Alcide De Gasperi non può non aderire per motivi ideali e per motivi di proiezione a una comunità economica che pure riguarda due risorse, e quindi una messa in comune di risorse, di cui l’Italia era piuttosto povera. La visione di Alcide De Gasperi sulla Comunità Europea di Difesa, a parte l’evidente, credo a noi tutti, attualità già sottolineata da chi mi ha preceduto, della necessità di una difesa comune europea, per quanto io ho potuto capire leggendo i suoi discorsi e guardando, o cercando di entrare un po’ nell’atmosfera del periodo e della sua visione, la Comunità Europea di Difesa era la via all’accelerazione di un’Europa politica che doveva affiancarsi a quell’Europa economica che era cominciata con la Comunità del Carbone e dell’Acciaio e che sarebbe poi proseguita, più in grande, con la Comunità Economica Europea e poi con l’odierna Unione Europea.
Il mancato imbocco di quella strada politica che faceva perno sull’idea della difesa finisce col far mancare all’Europa un propellente essenziale che oggi non possiamo che rimpiangere, non tanto e non solo perché l’Europa non si è dotata di una propria capacità di difesa, ma soprattutto perché l’Europa di oggi rimane ancora una capillare presenza in tutta la nostra dimensione economica, merceologica: i vestiti che portiamo sono regolati da norme europee, i veicoli su cui viaggiamo sono regolati da norme europee, i soldi che abbiamo in tasca sono regolati da norme europee, ma poi quando andiamo a vedere la dimensione politica ci rendiamo conto che noi votiamo alle elezioni per il Parlamento Europeo più o meno con lo stesso approccio con cui votiamo alle elezioni nazionali, ma poi, mentre con le elezioni nazionali esprimiamo un governo, con le elezioni europee no, perché il governo dell’Europa non è interamente nelle mani né del Parlamento, né della Commissione che è espressione del Parlamento Europeo, ma ancora in gran parte dei governi, che per esempio sono monopolisti della gestione della politica di difesa e di sicurezza. Quindi questa Europa incompiuta, asimmetrica, difficile da capire, è anche il derivato del mancato imbocco di quella strada verso l’Unione politica che avrebbe avuto un acceleratore nella Comunità di Difesa e che non a caso, nel disegno dell’epoca, propugnato fortemente da De Gasperi, doveva accompagnarsi alla cosiddetta Comunità Politica Europea, che poi rimase esclusivamente nell’ambito delle idee, degli obiettivi. Questo De Gasperi concreto, dalla visione lungimirante, trova dei compagni di strada naturali in persone, come già diceva Antonio Polito, che vivevano e venivano da esperienze analoghe: partiti di ispirazioni cristiane, regioni frontaliere, regioni passate da uno Stato all’altro nel corso del fine Ottocento e primi anni del Novecento. E loro sono realmente i padri dell’Europa di oggi, che però, se avesse seguito la loro prospettiva, quella Federazione Europea di cui Schuman parla nella sua dichiarazione del 9 maggio 1950, quella patria europea dei discorsi di De Gasperi, quegli Stati Uniti d’Europa di cui parla perfino Winston Churchill, che poi però li vedeva con una Gran Bretagna che se ne teneva fuori, col suo Commonwealth, eccetera… ecco, se si fosse intrapresa seriamente quella strada, oggi probabilmente noi vivremmo in una realtà sovranazionale diversa, e quelle barriere nazionali, nazionaliste, che poi cerchiamo di edulcorare col termine “sovranista”, sarebbero state ampiamente superate già da allora. Questo è il De Gasperi europeo. Una battuta sul De Gasperi internazionale: tutti conosciamo le parole con cui lui si presenta e rappresenta tutti noi, la nostra Italia, alla conferenza di pace. Tutti sappiamo quanto è riuscito a realizzare per preservare l’Alto Adige in Italia, la Valle d’Aosta, e tutto sommato il ritorno di Trieste in Italia. Ecco, questa dimensione, questa capacità concreta… noi eravamo un Paese sconfitto, eravamo un Paese aggressore, insomma, la Grecia e non solo… Eravamo un Paese che, anche se un po’ sepolto fra le pagine dell’ “italiani brava gente”, ha commesso anche crimini di guerra; poi, purtroppo, le guerre si accompagnano a crimini di vario genere, essendo un crimine esse stesse. Ecco, questa capacità però di perseguire la pace nell’interesse dell’Italia, di perseguire una pace in un interesse più vasto, europeo, la ritroviamo anche in quell’adesione, tutt’altro che scontata, al Patto Atlantico. Perché il Patto Atlantico, pur essendo materialmente un’alleanza militare, diventa anche, e lo abbiamo visto nel corso di 70 anni, e lo pensiamo e lo guardiamo tutt’oggi con qualche apprensione in più, quella garanzia di pace continentale. Mai l’Europa come continente, come area geografica del pianeta, aveva avuto 70 anni di sostanziale pace continuativa, soprattutto di pace assoluta fra gli Stati che hanno via via aderito al processo di unificazione. Ecco, io credo che questo contributo concreto e reale, veramente di costruzione, che De Gasperi ci ha lasciato in eredità, rappresenti un esempio per tutti noi e rappresenta anche, dico a titolo personale, ma forse qualcuno condividerà, un grosso rimpianto quando guardiamo il panorama della realtà politica di oggi, di chi la anima nelle posizioni di vertice e le enormi difficoltà di intraprendere strade analoghe con analoghe prospettive di lungimiranza.
Magni. Grazie, professor Moavero. Siamo al Meeting che mette a tema l’essenziale, e finora ci siamo concentrati sul De Gasperi uomo di governo. Noi sappiamo che, se guardiamo l’intera parabola esistenziale di De Gasperi, troviamo anche delle esperienze di precarietà, anche economica, dei fallimenti, delle solitudini, delle incomprensioni, talvolta anche da parte di chi gli era più vicino. In tutte queste circostanze, mi sembra di poter intravedere quello che accennava prima Antonio Polito: questo ideale, questa fede che, come un filo, tiene insieme le varie vicende della sua vita. Come un destino buono che regge le sorti del mondo. Mi sono appuntato questa frase, nel 1948, a Bruxelles dice: “Non abbiamo il diritto di disperare della storia, poiché Dio lavora non solo nelle coscienze individuali, ma anche nella vita dei popoli.” Questa consapevolezza di una fede che guida la sua vita, la sua esistenza personale, ma anche l’esistenza del mondo, la grande storia in cui lui si trova coinvolto fino agli ultimi attimi della sua vita, a quel “Gesù” sospirato, o a quella frase che troverete nella mostra che dice, della statura umana che scaturisce dalla fede: “Adesso ho fatto tutto ciò che era in mio potere. La mia coscienza è in pace. Vedi, il Signore ti fa lavorare, ti permette di fare progetti, ti dà energia e vita. Poi, quando credi di essere necessario e indispensabile, ti toglie tutto improvvisamente. Ti fa capire che sei soltanto utile. Ti dice: ‘Ora basta, puoi andare.’ E tu non vuoi, vorresti presentarti al di là col tuo compito ben finito e preciso. La nostra piccola mente umana non si rassegna a lasciare ad altri l’oggetto della propria passione incompiuto.”; ecco, questa fede che lo accompagna in tutta la sua esistenza come possibile chiave di lettura di tutti gli aspetti che abbiamo visto fino ad ora. Volevo chiedere a Paolo Villotta, che è postulatore della causa di beatificazione di De Gasperi, che cosa può dirci su questo aspetto della figura di De Gasperi e, per quanto possibile, se può aiutarci a capire di più del lavoro che sta facendo come postulatore.
Villotta. Grazie. L’aspetto della fede è proprio l’essenziale, l’essenziale per De Gasperi, come dice il tema del Meeting, ed è l’essenziale nella figura della santità, per come è presentata dalla Chiesa; e la carità. Al centro vi è la speranza. Speranza che anche, secondo me, è l’essenziale nella nostra vita. Spesso la speranza è vista anche come un inganno, in un certo momento, però è il tentativo di un cammino, almeno tendere verso il bene. Non entro nel merito, anzi ringrazio di poter partecipare e soprattutto parlare dopo la lezione dei precedenti relatori, perché mi aiuta anche a spiegare la questione di ciò che stiamo facendo, non solo io come postulatore. Il postulatore è colui che rappresenta gli attori, coloro che promuovono la causa, e come ognuno di voi, a partire anche dal professor Valvo per la mostra, da Antonio Polito e tutti gli altri relatori, hanno un’idea su De Gasperi. Ciò che è importante nella causa è ciò che la Chiesa, in piena riservatezza – mi piace sottolineare la parola “riservatezza”, perché ho sempre visto e anche ho letto su De Gasperi: il “segreto”, si nasconde qualcosa… No, quando si lavora con una certa serietà, c’è bisogno di una riservatezza. Quindi questo, prima di tutto, è l’approccio di quando iniziamo o viene iniziata una causa di beatificazione. Naturalmente vi sono documenti che gli storici da una parte devono raccogliere e poi analizzare, dall’altra parte scritti, come l’ultimo citato, che è il coronamento, alla fine, e da devoto, da postulatore posso dire: magari bisogna mantenere una sorta anche di freddezza, come è giusto che sia. Però la Chiesa proprio questo ricerca, e ogni vostro discorso che cosa aiuta a capire? Il tempo, anche per lo svolgimento di un iter canonico di beatificazione e canonizzazione, perché raccoglie tutto della vita di un uomo battezzato, questo anche per rispondere a quello che spesso erroneamente viene detto comunemente: “la Chiesa lo ha dichiarato Servo di Dio”. No: la prima dichiarazione durante un iter di beatificazione e canonizzazione è la venerabilità. Che significa? È proprio quello per cui stiamo lavorando. Chiamare Alcide De Gasperi “Servo di Dio” è la dicitura canonica che viene utilizzata per ogni battezzato. Anche la nomina di un vescovo è “il servo dei servi”. Ogni battezzato, quando riceve la comunione, è chiamato il Servo di Dio: Paolo riceve il corpo, il sangue di Gesù Cristo. Quindi questo un po’, nella forma, è bene anche per chiarezza definirlo. Ma cosa succede? Mi riferisco anche a ciò che ha sottolineato il professor Valvo sul fatto che noi conosciamo gli ultimi periodi o, come dice la figlia di De Gasperi, delle tre vite la terza soprattutto emerge, anche il padre di famiglia. E anche nella dicitura di questo “nulla osta” che il Dicastero delle Cause dei Santi concede, si inizia a chiamare Alcide De Gasperi Servo di Dio e sottolinea due cose importanti: laico e, sempre, padre di famiglia, perché è imprescindibile tutto questo. Come anche nelle lettere della moglie. Lui vive veramente, completamente, quasi in un trattato di amore continuo. Ecco, se posso dire anche la mia sulla questione della figura… che è un tema che forse si può collegare alla figura generale della paternità, i padri dell’Europa, ma una paternità che è un tema – so che anche Antonio Polito è molto interessato a questo aspetto della paternità alta, la paternità verticale, la figura del padre… De Gasperi aveva la coscienza del padre. E noi come l’abbiamo questa coscienza dell’eredità del padre? Il mio vuole essere solo uno stimolo. In quanto postulatore spesso mi trovo a stimolare l’attore – l’ “attore” è colui che promuove la causa – a stimolare chi vuole seguire. Perché fai una causa di beatificazione? Perché avviene questo? È semplice: perché si creano un insieme di opportunità incredibili, storiche, universitarie, scolastiche, pedagogiche. La Chiesa cosa fa però in tutto questo? Si assicura che tutti questi lavori e la vita, il vissuto che nasce dai genitori, dalla famiglia del Servo di Dio, quindi come ha avuto anche lui l’educazione, dove ha vissuto, i contatti… È bellissimo nei lavori storici vedere come si dà risalto alle persone intorno alla figura. Perché è importante, questo. Durante la causa di beatificazione, che si sta svolgendo, che non è nata oggi ma in continuità al grande lavoro della fondazione, per una richiesta – posso assicurarvi, dai documenti che emergono, non solo dagli anni ’90, ma già dagli anni ’60 – assolutamente non di élite, ma popolare, una richiesta, si può dire, istintiva, una richiesta istintiva che ancora oggi si chiama devozione popolare, si chiama fama di santità. Proprio ieri il parroco attuale di San Lorenzo fuori le mura, frate, delicatamente, perché magari non conosce le procedure, mi diceva: “Guarda, sai, io vengo la mattina e dal giorno prima trovo dei bigliettini piccolini che inseriscono, mettono sotto la tomba del Servo di Dio.” Spesso siamo abituati ai santi per i fenomeni soprannaturali, grandi miracoli… Io ho studiato alla Sapienza, so benissimo di tanti ragazzi che, anche prima di fare un esame, magari si affacciano a pregare sulla tomba del Servo di Dio. La santità deve essere nella semplicità, non voglio “ridurre” De Gasperi, però lo voglio collocare alla portata di tutti. Saperlo proporre, anche con il titolo “Il costruttore”, a me è piaciuta tantissimo la questione del ponte, in questo periodo; i temi sono tantissimi, enormi, anche solo le lettere d’amore… A me ha sempre emozionato, non solo colpito, ma proprio emozionato, pensare a questa figura, a questo padre, che sta in carcere, si fa consegnare quelle letture che tutti sappiamo, spirituali, e si preoccupa, non a livello accademico, di spiegare alla figlia com’è un presepe nei giorni di Natale, si inventa anche qualcosa. Ha una capacità che qualcuno potrebbe anche chiamare dono della grazia, ma ha una grande capacità proprio di seguire un’idea, di seguire un cammino che è dettato da questa fede. Dal mio punto di vista, è proprio la fermezza, il punto di arrivo, è sempre quello sguardo di Alcide De Gasperi. Non si smuove per niente e nessuno al mondo, anche quando autorità importanti potrebbero farlo un po’ dubitare, o la propria terra e quant’altro, perché manteneva un punto, con tutto il rispetto. E ciò che la causa fa, è quello che dicevo: arrivare alla prima dichiarazione della Chiesa, in questo caso è la Venerabilità. Cos’è? Prima di tutto è un riconoscimento che il Servo di Dio, la persona “candidata” a una beatificazione, vive la vita e le virtù in grado eroico. Se noi andiamo a osservare anche tutti i discorsi a livello europeo, nazionali, lui aveva quella grande capacità, che nella mostra è anche molto ben visibile, di utilizzare termini universali. “Democrazia Cristiana” è geniale in questo, venendo poi dal Partito Popolare, utilizza i valori cristiani. Noi siamo abituati a dire i valori cristiani. La Chiesa ne riconosce le virtù che ogni battezzato dovrebbe vivere perlomeno in grado ordinario; lui, in grado superiore. Questo è ciò che noi stiamo facendo. Chiaramente tutti speriamo in una beatificazione. Canonicamente cosa succede? Il riconoscimento, secondo le norme attuali, di un miracolo, ma il miracolo, secondo le norme attuali, può avvenire dopo la morte del Servo di Dio, quindi anche in quel caso vi è un’inchiesta per verificare l’inspiegabilità dell’evento, che può essere clinico, tecnico o di altra natura. Per un’eventuale canonizzazione, attualmente le norme prevedono il riconoscimento di un fatto miracoloso che avviene dopo la beatificazione. Questo, per chiarirne un po’ gli aspetti. E poi vorrei concludere sull’aspetto provocatorio, ma questa è assolutamente un’idea di Paolo, senza postulatore… ecco questa idea di paternità che mi ricorda un po’ il richiamo “alla Lazzaro”. Io dico sempre, come iniziavo: De Gasperi, la causa di beatificazione è un’opportunità, ma Paolo si permette di dire: forse è una necessità. Grazie.
Magni. Grazie a Paolo Villotta per averci guidato anche in questi aspetti così delicati e importanti relativi alla causa che è in corso. Prima di concludere, lascerei la parola a Paolo Alli per un breve intervento conclusivo. Grazie.
Alli. Sì, io volevo soltanto rubarvi un minuto per alcuni ringraziamenti, a parte agli ospiti che ci hanno così accompagnato in questa discussione e a Francesco Magni che l’ha guidata così bene. Personalmente mi permetto di segnalarvi, tra le tante cose che vedrete alla mostra, la lettera di Angelo Roncalli, allora nunzio apostolico a Parigi, che commenta il discorso alla conferenza di pace di Parigi, perché è una lettera straordinaria. Detto questo, soltanto per fare alcuni ringraziamenti, perché tutto l’anno degasperiano, e in particolare questa mostra, sono stati riconosciuti come anniversario nazionale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ovviamente devo ringraziare il Meeting di Rimini, soprattutto l’amico Forlani, con cui parlai già un anno fa dell’idea di questa mostra, e anche il comitato per l’ottantesimo anniversario della Democrazia Cristiana, presieduto dal professor Ortensio Zecchino, che ha partecipato in partnership con noi alla realizzazione della mostra. Una versione di questa mostra verrà trasportata a Roma e sarà esposta per un paio di mesi a Roma in autunno, poi faremo sapere il posto esatto dove la metteremo nell’ambito dell’attività che questo comitato, che celebra l’ottantesimo di fondazione della Democrazia Cristiana, sta portando avanti. Poi, la mostra è stata resa possibile da un contributo straordinario della Fondazione Cariplo, e devo anche ringraziare due sponsor importanti dell’intero anno degasperiano, che sono Intesa San Paolo e l’ENEL. Ma soprattutto vorrei ringraziare gli studenti, i ragazzi che hanno collaborato alla realizzazione di questa mostra, di cui ha parlato già il professor Valvo, e lo stesso professor Valvo per averli guidati, tenuti insieme, impresa non sempre facile, ma comunque riuscita alla fine – perché è giusto che i giovani abbiano le loro idee, poi ci vuole qualcuno che li guidi – tutto lo staff della Fondazione De Gasperi: la dottoressa Martina Bacigalupi, che è la nostra direttrice, ideatrice tra l’altro dei podcast “Le figlie della Repubblica”, che stanno sul sito del Corriere della Sera; vi raccomando di andarli ad ascoltare, sono una cosa straordinaria, in particolare il primo che è il racconto che Maria Romana De Gasperi fece della sua esperienza con suo padre – lo trovate sul sito del Corriere della Sera; Fabrizio Bosio, che è stato il responsabile organizzativo della mostra insieme al professor Valvo. Poi devo ringraziare Manuel Exitu, che ha realizzato il cortometraggio che è visibile alla fine della mostra, purtroppo l’audio lì non è molto buono, per cui io adesso ho chiesto ai tecnici se lo possiamo proiettare: chi vuole lo può gustare da qui, anche con l’audio corretto. È un cortometraggio di meno di 10 minuti, geniale secondo me, che racconta in modo molto efficace la vita di De Gasperi. E poi un ultimo personale ringraziamento a Antonio Polito, perché il fatto che lui abbia accettato di darci una mano in questa redazione, diciamo, di questo anno degasperiano ci ha fatto fare veramente un salto di qualità. Del resto, al di là del fatto che lui viene da un’altra esperienza politica, però è uomo di tale onestà intellettuale… poi, quando mi ha detto la prima volta che ci siamo visti: “Del resto, De Gasperi ha fatto per il mio Sud più di tutto quello che hanno fatto tutti gli altri dopo di lui”, non poteva essere diverso. Per cui grazie Antonio per aver accettato questo nostro invito. Bene, grazie. Ora possiamo proiettare il filmato, magari ci spostiamo per renderlo visibile. Grazie.
Magni. Intanto grazie a tutti, grazie ai nostri ospiti, grazie a voi per essere rimasti ad ascoltarci. Ricordo che è possibile sostenere il luogo del Meeting nei punti “Dona ora” che trovate disseminati lungo la fiera. Adesso, se i tecnici ci assistono, noi ci spostiamo e chi vuole può fermarsi per vedere il filmato. Grazie ancora, buon Meeting a tutti.