ALIMENTAZIONE E SALUTE IN AFRICA: UN BINOMIO NECESSARIO

In differita su Radio Vaticana venerdì 23 agosto alle ore 12:40

In collaborazione con CIHEAM Bari e CUAMM-Medici con l’Africa  e Save The Children
Dante Carraro, direttore ONG Medici con l’Africa CUAMM; Biagio Di Terlizzi, direttore aggiunto CIHEAM BARI; testimonianza dalla Tanzania; Daniela Fatarella, direttrice Generale, Save The Children – Italia. Testimonianza di Bernard Kakala, medico CUAMM presso la clinica per patologie croniche Ospedale di Tosamaganga – Tanzania. Modera Stefano Gatti, direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo

Nel continente africano le malattie non trasmissibili, come diabete, ipertensione e patologie cardiovascolari, sono in aumento a causa di comportamenti alimentari e stili di vita scorretti, compresi gli squilibri alimentari dovuti a cibi di scarso valore nutrizionale ed eccesso di carboidrati (OMS, 2022). Si tratta di una sfida di non poco conto per la crescita sostenibile del continente africano e per la salute della sua popolazione. In questo quadro, la cooperazione internazionale allo sviluppo può giocare un ruolo cruciale, mettendo insieme conoscenze e competenze in campo medico e agricolo. La ri-scoperta di prodotti agricoli tradizionali, ritenuti più nutrienti e resilienti al cambiamento climatico, il maggior valore nutraceutico delle ricette tradizionali, l’adozione di diete più sane e complete, così come la prevenzione e il trattamento delle patologie sono tutti aspetti che – se affrontati in maniera olistica – possono migliorare le condizioni di salute e il benessere delle comunità rurali dell’Africa, con particolare riferimento a quelle fragili e vulnerabili. Allo stesso tempo, il rafforzamento del binomio alimentazione-salute può contribuire a indirizzare le sfide principali per la sicurezza alimentare dei minori e per la loro crescita. Ne discuteranno insieme il CIHEAM Bari, Medici con l’Africa CUAMM e Save the Children Italia.

Con il sostegno di CIHEAM Bari

ALIMENTAZIONE E SALUTE IN AFRICA: UN BINOMIO NECESSARIO

ALIMENTAZIONE E SALUTE IN AFRICA: UN BINOMIO NECESSARIO

In collaborazione con CIHEAM Bari e CUAMM-Medici con l’Africa e Save The Children

Giovedì 22 agosto 2024 ore 12:00

Arena Internazionale C3

Partecipano:

Dante Carraro, direttore ONG Medici con l’Africa CUAMM; Biagio Di Terlizzi, direttore aggiunto CIHEAM BARI; testimonianza dalla Tanzania; Daniela Fatarella, direttrice Generale, Save The Children – Italia. Testimonianza di Bernard Kakala, medico CUAMM presso la clinica per patologie croniche Ospedale di Tosamaganga – Tanzania.

 

Di Terlizzi. Bene, buongiorno. Benvenuti in questa arena, in questo spazio. “Un’Italia che coopera” è la sesta edizione in cui il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale ha pensato di organizzare un momento di confronto. Prima di tutto mi presento, io sono Biagio Di Terlizzi e sono il vicedirettore del CIHEAM di Bari, che è la sede italiana del Centro di Alti Studi Agronomici Mediterranei, un organismo intergovernativo che fa della formazione, quindi dei quadri, il primo mandato al quale poi ha fatto seguito un coinvolgimento degli stessi funzionari in ambito ricerca e cooperazione. Adesso la cooperazione è l’aspetto che la sede di Bari sviluppa in primis, e lo fa non solo nei paesi del Mediterraneo, Medio Oriente e dei Balcani, ma anche in altri paesi in cui il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale chiede di poter intervenire.

Un primo aspetto è certamente quello di guardare al “sistema Italia” e qui, in questo spazio, nell’arena, abbiamo la possibilità di vedere come diverse istituzioni, anche a carattere internazionale, si ritrovano per promuovere un sistema Italia e come promuovere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Era previsto che questo panel fosse moderato dal Direttore Generale Stefano Gatti, ma lo sto facendo io, in quanto è previsto l’arrivo del Ministro degli Esteri, il Ministro Tajani, tra qualche minuto, e quindi gli amici del Ministero degli Esteri sono impegnati con l’arrivo del loro Ministro. Ringrazio anche la Fondazione Meeting di Rimini per questo spirito di dialogo tra le diverse comunità, che è un qualcosa che ci anima. Come dicevo prima, per chi transita attraverso Bari dai paesi terzi, noi abbiamo una vita che per quasi 24 mesi portiamo avanti con ragazzi che provengono da 15-18 diverse nazionalità e che vivono a Bari. Vivono in un campus. Questo campus, anche durante i periodi della guerra dei Balcani, ha visto la presenza di tutti i funzionari provenienti dagli stessi paesi in conflitto. Non c’è mai stato nessun problema nel vivere insieme e in accordo con altre nazionalità. Questo è lo spirito che ci fa piacere riportare anche qui, all’interno del contesto di Rimini. E ancora di più vogliamo affrontarlo oggi su un tema che è quello della “Alimentazione e salute in Africa: binomio necessario” con chi effettivamente si occupa della salute in Africa. Abbiamo sia il CUAMM che anche Save the Children, e per il CUAMM il Direttore, Don Dante Carraro, che è accompagnato dal dott. Kakala, rappresentante del CUAMM in Tanzania, e anche la Direttrice, Daniela Fatarella di Save the Children.

Bene, perché siamo qui? Ci sono tante motivazioni. Una di queste è che si parla di sicurezza alimentare, un obiettivo che la cooperazione italiana ha voluto mettere al centro della sua strategia e in questa direzione ha previsto anche la costituzione di un ufficio sulla sicurezza alimentare all’interno della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo. Questo per dire il peso che il Ministero degli Esteri vuole dare. Ma abbiamo un altro motivo per cui abbiamo pensato di mettere insieme queste tematiche: il piano Mattei. Il “piano Mattei”, lanciato a fine gennaio dalla Premier Meloni all’interno della Conferenza Italia-Africa, ha sei diversi ambiti di competenza: istruzione e formazione professionale, agricoltura, salute, energia, acqua e infrastrutture fisiche e digitali. Sono sei grandi ambiti per l’Africa. Oggi vogliamo mettere insieme agricoltura e salute, che sono due elementi del “piano Mattei”, e vedere come si raccordano tra di loro.

C’è un’altra motivazione: si parla sempre più di sistemi agroalimentari sostenibili, perché si sviluppino sistemi locali che siano anche compatibili con l’ambiente e con la gestione delle risorse naturali. Se questo è un miglioramento della quantità, deve esserci anche un miglioramento della qualità, e in questo contesto l’aspetto nutrizionale è particolarmente strategico. E poi capiremo perché in certi paesi, sfortunatamente, quest’aspetto nutrizionale non viene più preso in considerazione, non per una mancanza di attenzione della comunità locale, ma per contesti che in genere cambiano usi, abitudini e stile di vita.

Una terza motivazione per cui oggi parliamo di questi due aspetti del binomio è che, se prima abbiamo citato un sistema agroalimentare sostenibile, uno strumento sul territorio, possiamo avere anche un secondo strumento che sono i poli ospedalieri. Arriviamo quindi al momento di oggi: come agricoltura, salute e sanità possono dialogare insieme. Un ulteriore motivo, questo per dire quanto sia strategico quello di cui parliamo oggi, sono gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Mai un’iniziativa come quella di cui parliamo oggi intercetta più obiettivi dello sviluppo sostenibile. Attraverso questo binomio intercettiamo l’obiettivo 8 (lavoro dignitoso e crescita economica), che insieme al 13  (lotta al cambiamento climatico) – e questa è una delle motivazioni per cui a volte non c’è attenzione verso gli aspetti nutrizionali – e a quello del miglioramento e supporto alle strutture sanitarie che è l’SDG 3, si raccordano per sostenere l’SDG 2, che promuove la sicurezza alimentare. Quindi, tante iniziative di cooperazione vengono organizzate in virtù di un SDG; in questo caso, quindi un obiettivo sostenibile, sono ben quattro che lavorerebbero insieme.

Ma ancora di più, questo tema è veramente ricchissimo. C’è la strategia One Health, il principio One Health che prende in considerazione la salute dell’uomo, dell’ambiente e anche degli animali. C’è da aggiungere un altro aspetto: non guardiamo solo l’aspetto della salute di questi tre ecosistemi, ma dobbiamo anche guardare alla sicurezza dell’uomo, del lavoratore, all’interno di questi tre ecosistemi, a partire da un “human pole”, un polo che abbia l’attenzione verso l’uomo, il che significa riorientare la One Health, il principio di strategia, verso un aspetto che focalizzi l’attenzione sull’uomo.

Ma ancora, per dire quanto questo tema sia ricco, si parla di agricoltura che guarisce e quindi man mano ci avviciniamo a questo aspetto, la “healing agriculture”. Parliamo di metodi sostenibili di agricoltura, che possano associare un alto valore nutrizionale e nutraceutico perché rafforzi e faccia prevenire eventuali problematiche di natura salutistica. Quindi, per chiudere: alimentazione, agricoltura e salute sono tre ambiti tematici interconnessi. L’alimentazione svolge un ruolo cruciale per prevenire malattie croniche, come quelle cardiovascolari, una delle componenti su cui oggi ci focalizzeremo oltre a quelle metaboliche come diabete e obesità, che costituiscono alti fattori di rischio per l’innesco di malattie cardiovascolari e tumori. Questa mattina ho sentito a Radio24 un podcast che parlava di obesità e sono rimasto incuriosito dal fatto che dormire con la luce accesa predispone a un incremento del peso, e quindi predispone verso l’obesità. Il pensiero è corso subito all’Africa, dove certamente si dorme con la luce. Ma non so in quanti paesi ci sia effettivamente obesità. Un paese che frequento abbastanza è l’Egitto. Vi posso portare un aneddoto: prima delle elezioni dell’attuale Presidente al-Sisi. chi visitava l’Egitto vedeva grandi manifesti del “triple hamburger”, cioè un hamburger fatto da grandi società che poi lo pubblicizzano. Per mesi ci sono stati questi manifesti dappertutto e un giorno sono scomparsi, lasciando il posto alla foto del Presidente al-Sisi candidato al rinnovo in Egitto, cioè alla presidenza. Ecco certe volte gli stili alimentari, in questo caso in Egitto, in effetti ci troviamo in uno dei paesi dove obesità e sovrappeso sono particolarmente alti, meno invece nei paesi del Centro Africa con cui ci confrontiamo.

Mi fermo qui, do subito la parola alla Direttrice di Save the Children Italia. Daniela è Direttrice Generale di Save the Children è nell’organizzazione dal 2004, prima Direttore Marketing e fundraising di Greenpeace, poi Direttore Nazionale di Christian Blind Mission. Esperta in marketing, comunicazione, strategia e pianificazione, 25 all’interno della cooperazione internazionale. In tantissimi paesi dell’Africa voi siete presenti, affrontate i problemi dei livelli di povertà e di malnutrizione particolarmente elevati. In alcuni paesi si raggiunge persino il 45%, e a volte il 38% dei bambini sotto i 5 anni hanno una crescita ridotta. Quindi, cosa percepite voi come Save the Children nei diversi paesi dell’Africa su questo tema e come cercate anche di promuoverlo?

Fatarella. Grazie Biagio, buongiorno a tutti. Sono molto contenta di essere qui oggi. Come diceva Biagio, io sono la Direttrice Generale di Save the Children. Save the Children è un’organizzazione internazionale che lavora in oltre 148 paesi nel mondo. Siamo la più grande organizzazione non governativa in Italia e la più grande organizzazione non governativa internazionale che si occupa dei diritti dell’infanzia e, come giustamente Biagio introduceva, c’è un nesso diretto tra la sicurezza alimentare o comunque i sani stili di vita e quella che è la salute, in particolare nei bambini e nelle bambine. Perché questo nesso è così diretto nell’infanzia? Perché chiaramente influenza quello che è il presente dei bambini e quello che è il loro futuro. Un bambino con una cattiva nutrizione, che sia malnutrito nel senso di avere meno apporto calorico o più apporto calorico del necessario, si trova in una condizione di svantaggio iniziale che può avere delle conseguenze su quello che è il suo sviluppo futuro e quindi andare a condizionare quella che poi è la vita che avrà da giovane e da adulto. Per cui l’infanzia è il momento principale in cui i bambini dovrebbero avere una corretta nutrizione.

Ma come diceva Biagio, noi che operiamo nei paesi in via di sviluppo, in particolare operiamo moltissimo in Africa, ci rendiamo conto che ci sono una serie di condizioni che comunque impediscono a intere comunità, famiglie, paesi interi, di riuscire ad avere un’alimentazione sana. Tutti voi potete immaginare che i conflitti, piuttosto che i cambiamenti climatici, le crisi economiche, l’innalzamento dei prezzi fanno sì che sia spesso impossibile riuscire a mettere insieme una dieta nutriente e raggiungere quello che prima Biagio citava come uno degli obiettivi sostenibili 2030, che è “fame zero”. “Fame zero” cosa significherebbe? Significherebbe che tutti quanti devono e possono avere un’alimentazione corretta. Ora, il programma della malnutrizione do due dati per inquadrarlo, che sono alla fine quasi dicotomici. Il primo è che nel mondo ci sono 37 milioni di bambini sotto i cinque anni che sono sovrappeso. Molti di questi bambini si trovano nei paesi in via di sviluppo o nei paesi a basso e medio reddito. Contestualmente, solo in Africa, ci sono 64 milioni di bambini sotto i cinque anni che invece soffrono di malnutrizione. Sono a rischio fame. Questi due dati ci dicono che comunque esiste un doppio effetto rispetto a quello che si può vivere nell’infanzia come conseguenza di cattiva alimentazione.

Ora Biagio faceva una domanda: cosa osservate voi nei paesi in via di sviluppo? Noi osserviamo tante cose, però voglio condividere un’esperienza personale che ho fatto recentemente in Malawi. Io sono andata in Malawi a luglio di quest’anno, ho visitato molti dei progetti di Save the Children, in particolare ho visitato un progetto nel sud del Paese, nella provincia di Zomba. Il Malawi ha un tasso altissimo di persone che vivono al di sotto della soglia della povertà. Come Save the Children, noi lavoriamo strettamente con le comunità locali per sviluppare progetti che si occupano prevalentemente di resilienza economica. Cosa vuol dire resilienza economica? Vuol dire far sì che intere comunità possano essere economicamente sostenibili, e essere economicamente sostenibili significa poter avere anche un’alimentazione corretta per i bambini e per la comunità tutta.

Quindi, questo progetto, che noi facciamo in collaborazione con l’Università Bocconi perché lo vogliamo monitorare e valutare, perché vogliamo evidenziare delle buone prassi che poi possano essere scalabili, fa due cose in estrema sintesi: si occupa di individuare sistemi… attività economiche – definiamole così -, che possano portare una generazione di entrate all’interno della comunità, di guadagni, e si occupa di far sì che queste comunità siano resilienti agli shock climatici. Cosa vuol dire? Che in caso di alluvioni o di siccità sia possibile per queste comunità essere pronte a non trovarsi in una situazione di perdita totale di potere economico e di assetti che permettano la sopravvivenza. Quello che ho visto io che cos’è? Due cose: da una parte, uno studio approfondito della comunità, quindi quali sono i dati economici di ciascuna famiglia, qual è il fabbisogno, come vive, qual è il fabbisogno alimentare, quindi uno studio per capire dove andiamo ad inserirci e quali sono i bisogni; il secondo è quello di lavorare con le comunità locali. Perché? Perché le comunità locali sono quelle che hanno una conoscenza approfondita non solo del territorio, ma dei sistemi di pastorizia, di agricoltura, di sviluppo economico locale che, unite alle capacità di Save the Children, che sono capacità legate alla nutrizione, alla sicurezza alimentare, alla prevenzione dei rischi, permettono di individuare delle soluzioni che sembrano semplici, ma che in realtà sono life saving o life changing, cioè cambiano il sistema.

Ad esempio, in queste comunità sono introdotti dei sistemi integrati di agricoltura, che vuol dire che all’interno delle famiglie vengono creati degli orti comunitari o degli allevamenti di animali di piccola taglia che permettono non solo di generare delle entrate, ma anche di avere a disposizione cibo nutriente. Contestualmente, vengono coinvolti i gruppi comunitari, in particolare donne, per riuscire a formare e informare su quali sono gli alimenti nutrienti e come cucinarli. Abbiamo assistito anche a tantissime sessioni di cucina, che spesso indicano come una serie di alimenti già presenti in loco e che non vengono utilizzati per cultura o abitudini, possono invece apportare una nutrizione che va a beneficio dei bambini e della comunità intera. Questi sono cambiamenti individuali che poi diventano cambiamenti culturali, che poi diventano cambiamenti sistemici.

La cosa che mi ha colpito di più in questa progettualità è il fatto che non era più una progettualità, ma era un sistema inserito all’interno della comunità stessa. Quando ho chiesto a una signora, che mi ha fatto vedere che tipo di dieta preparava per il proprio figlio, alla domanda – forse anche formulata in modo sbagliato da parte mia – che cosa avesse portato questo progetto, lei mi ha risposto che questo non era un progetto, ma era il modo in cui la comunità aveva cambiato il proprio approccio e la propria modalità di intendere e vedere il sistema agricolo-pastorizio e nutrizionale del luogo. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che nel momento in cui si esce da quell’area, questo sistema rimane all’interno della comunità stessa, e questo è il cambiamento più grosso, che deve essere reso poi scalabile anche attraverso il lavoro che viene fatto con i governi nazionali o, ad esempio, attraverso il sistema della cooperazione italiana per portarlo su scala. Sono cambiamenti piccoli ma replicabili, scalabili e soprattutto sostenibili, perché vengono inseriti sulla base di un’analisi del contesto locale, ed è questo che fa la differenza.

Di Terlizzi. Daniela, questo effettivamente è il vostro impegno in Africa, dove siete presenti su questi temi in modo particolare, che promuovete, ma anche in Italia voi svolgete un’attività simile?

Fatarella. Svolgiamo sicuramente un’attività che è legata ai sani stili di vita. Questo perché, giustamente, Biagio mi dà la possibilità di dire che in Italia noi assistiamo, se vogliamo, al fenomeno inverso, cioè c’è un aumento del sovrappeso e dell’obesità nei minori. Questo perché? Perché, se ci pensate, spesso è molto più economico e sono molto più disponibili a basso prezzo cibi che sono ricchi di grassi, di sale, di zuccheri, fortemente energetici, che si trovano molto più facilmente a un prezzo economicamente più vantaggioso e che sembrano quasi essere più nutrienti. Quindi, nelle famiglie in particolare a basso reddito, spesso è più facile fare questa tipologia di acquisto e quindi andare su una dieta di questo tipo per i bambini e i ragazzi piuttosto che invece avere una dieta sana e uno stile di vita sano, che significa anche movimento. Quindi, due elementi che comunque accomunano purtroppo un trend mondiale perché in Africa, pensate, solamente che dal 2020 al 2022 c’è stato un incremento del 23% di bambini, sempre sotto i 5 anni, che sono diventati obesi. In Italia noi cosa facciamo? Lavoriamo moltissimo all’interno di tutti i nostri contesti, quindi spazi educativi all’interno delle scuole, con programmi che vanno proprio in questa direzione: la direzione degli stili di vita sani, che quindi è educazione, formazione, informazione che viene fatta a bambini e bambine e che viene fatta poi anche alle mamme e ai genitori. Ci sono delle attività, anche qui, molto semplici che spesso riguardano l’accompagnamento alla spesa, quindi accompagnare le madri al supermercato per vedere quali sono anche gli alimenti locali magari a basso costo che possono essere acquistati e come cucinarli. Oltretutto, noi siamo in Italia e posso dire che sappiamo che il cibo unisce. Quindi, tutto quello che riguarda anche la formazione e l’informazione sulla cucina spesso diventa anche un elemento di integrazione, perché significa anche sperimentare. Questo lo facciamo tantissimo nei nostri progetti in Italia, dove accogliamo tantissimi bambini e bambine che hanno background migratorio con le loro famiglie, e quindi si fa il giro del mondo attraverso la cucina, e si impara quali sono tutti quei cibi nutrienti che possono provenire da culture diverse e che diventano anche una modalità di conoscenza, di integrazione e poi di sviluppo. Quindi l’alimentazione, in realtà, accomuna nel senso di stile di vita sano tutto il mondo, con dei trend che spesso sono divergenti, perché si va dalla mancanza alla sovrabbondanza, ma in tutti e due gli elementi manca la comprensione e la capacità di individuare quella che può essere la dieta sana e soprattutto quelli che sono gli alimenti già disponibili in loco e come possono essere preparati, e questo è il supporto che noi diamo, se vogliamo dire, trasversalmente.

Di Terlizzi. Grazie Daniela e certamente congratulazioni e auguri perché questo vostro impegno possa anche diffondersi. Prima accennavi a delle attività che un po’ sono quelle che noi facciamo, occupandoci di agricoltura, lei ci ha anticipato. Cosa facciamo come agricoltura in questi contesti? Ci occupiamo anche di far sì che si ritorni a utilizzare alcune specie, alcune varietà che sono state dimenticate, o perché è cambiato lo stile di vita, o perché tantissimi anni fa, in alcuni di questi paesi, la colonizzazione ha portato ad avere delle produzioni monoculturali, determinando – queste – poi una serie di problematiche da un punto di vista salutistico. Quindi queste colture che sono non utilizzate o sottoutilizzate, chiamate anche orphan crop, perché non c’è nessuno che se ne prenda cura, l’attività nostra è quella di rivitalizzarle, dare quindi una paternità a queste colture che non esistono più. E sono tante, soprattutto nell’ambito del Sahel. Ma in uno dei passaggi che ha detto Daniela è anche importante sapere come un euro possa permettere a una famiglia di poter avere il proprio pasto. Se noi quell’euro riusciamo a farglielo gestire e usare in cibi, alimenti presenti sul posto e che abbiano la possibilità di contribuire a un aspetto salutistico, ci sembra strano, ma un euro veramente può diventare quello stile alimentare all’interno di queste famiglie. E se a quest’euro andiamo ad aggiungere la possibilità che sia utilizzato anche con sistemi energetici che non vadano a creare situazioni di fumo o di quasi intossicazione all’interno delle loro capanne, questo significa veramente fare un’educazione alimentare che va sia nell’ottica di una buona gestione ambientale ma soprattutto della persona. Quindi: la biodiversità, è qualcosa che va salvaguardata, la comunità va tutelata, la fragilità di queste comunità deve cercare di essere sostenuta perché cambi in un’ottica di resilienza locale a cui prima Daniela faceva riferimento. Però adesso passiamo a un’altra organizzazione che in Africa chiaramente ha apportato tanto: il CUAMM. Quindi parola a Don Dante. Don Dante Carraro è un sacerdote medico, specialista in cardiologia, dal 2008 direttore di “Medici con l’Africa” – CUAMM, tra le maggiori organizzazioni non governative sanitarie italiane per la promozione e la tutela della salute nelle popolazioni africane. Fa la spola tra l’Italia e l’Africa, diciamo tra Padova e l’Africa, e tanti sono i progetti a cui i volontari che aderiscono danno un’opportunità. Le malattie non trasmissibili – abbiamo parlato prima di quelle cardiovascolari, abbiamo toccato il problema del diabete – sono cause di comportamenti che si generano, come già abbiamo detto, da stili di vita diversi o perlomeno scorretti. Giusto uno dei passaggi è che in alcune aree durante il periodo delle piogge si può avere mais, ma si possono avere anche altre colture. Il mais viene usato perché è l’elemento ricco di carboidrati per potersi nutrire, sfamare, le altre colture, durante i periodi delle piogge, vengono vendute. Il ricavato di queste colture non arriva in famiglia, ma serve per comprarsi Coca-Cola o altre cose, che non hanno nulla a che vedere con… Se invece andiamo in un periodo di siccità, il mais, conservato come farina, si utilizza per potersi nutrire, ma il mais viene anche fatto fermentare perché si possa produrre alcool per loro, per gli adulti, ma anche per darlo ai bimbi affinché si sentano sazi, dormano e non avvertano la mancanza di cibo. Questo è quello che avviene tra due periodi, quello delle piogge e quello di una carenza idrica. Don Dante, a te la parola: come opera, dove opera il CUAMM? E come avete percepito questo orientamento verso un impegno per prevenire le malattie che abbiamo citato, non trasmissibili? Prego Don Dante.

Carraro. Sì, grazie. Questa è la cartina geografica dell’Africa e vedete anche dove siamo concentrati. Lavoriamo solo in Africa, come CUAMM, Medici con l’Africa. Il Nord Africa non è casa nostra, è un altro mondo rispetto all’Africa nera: livelli di sistema, di struttura, livelli di spesa sanitaria pro capite sono un altro mondo, così come il Sudafrica, la Namibia, eccetera. Il cuore del nostro lavoro lo facciamo nell’Africa subsahariana, dove lì si distinguono due tipologie di paesi: paesi poveri e paesi poveri e fragili. Dal punto di vista della letteratura si parla di fragile state, cioè paesi poveri ma anche fragili. Faccio degli esempi concreti: l’Uganda – ieri avevamo qua la Prima Ministra – ma anche il Kenya, la Tanzania, per certi aspetti anche il Mozambico, sono paesi poveri. Cosa intendo dire con poveri dal punto di vista sanitario? Intendo dire, per esempio, che sono paesi che spendono all’anno 40-50 dollari pro capite per la salute. In Italia, tanto per darvi un termine di paragone, ne spendiamo 3000 dollari pro capite all’anno per la salute. Quindi parliamo di paesi veramente poveri. E poi ci sono dei paesi che sono poveri e fragili, cioè che oltre alla povertà hanno dei sistemi sanitari destrutturati, dove non si capisce che ospedale è, di che livello, perché ci sono ospedali di diversi livelli, quel centro sanitario a che distretto fa riferimento, cioè paesi destrutturati, come invece sono il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana, il Congo, ma anche la Sierra Leone: paesi poveri e destrutturati. Perché vi faccio questa distinzione? Perché non c’è dubbio che il lavoro di prevenzione, che diceva per esempio Daniela prima, ma anche Biagio, per esempio l’investimento nelle comunità, perché quelle famiglie possano accedere a certi tipi di cibo rispetto ad altri, lo puoi fare in paesi poveri e minimamente strutturati. Anche qui degli esempi concreti. Oggi abbiamo il dottor Bernard. Il dottor Bernard viene dalla Tanzania. Le crocette sono gli ospedali. Vedete che ne abbiamo poche di crocette in Tanzania, così come poche in Uganda, ne abbiamo molte di più in Sud Sudan e stiamo aumentando molto in Repubblica Centrafricana. Stiamo lavorando in paesi poveri come la Tanzania e l’Uganda e stiamo investendo di più dove il sistema, oltre che essere povero, è completamente destrutturato: Sud Sudan piuttosto che Repubblica Centrafricana. Allora, dicevo, torno al punto: paesi come la Tanzania sono paesi poveri ma hanno una struttura. Per esempio, il dottor Bernard, dopo ve lo spiegherà lui, viene da questa regione del centro-sud del paese che si chiama Iringa, probabilmente qualcuno di voi la conosce, dove c’è un ospedale e quell’ospedale, come in altri paesi poveri, comunque ha dei centri sanitari e delle comunità di riferimento. L’ospedale di Tosamaganga sa che ha, che ne so, tot, saranno 12-13 centri sanitari, e poi ha le comunità. Il lavoro da fare è a livello delle comunità. Questo lavoro per prevenire le malattie croniche, penso al diabete e all’ipertensione in particolare. Allora, anche con Biagio, ma anche con Daniela, si sta ragionando come è possibile fare in modo che in un ospedale che gestisce l’anno scorso 1500, più o meno, diabetici e ipertesi, come è possibile aiutare le comunità di riferimento ad avere una dieta più sana, a coltivare? Ecco l’importanza del CIHEAM di Bari, che è esperto in conoscenza dei terreni, cosa quel terreno può produrre e cosa non può produrre, in modo da evitare che quelle mamme diano solo la canna da zucchero al bambino. Perché è ovvio che, dopo che il bambino è facilitato a sviluppare il diabete, dopo non lo controlli più, se gli dai solo la canna da zucchero. Invece: cibi di altra natura, un po’ più equilibrati studiando il terreno che possa portare ad avere questi cibi. Allora, avere degli ospedali, lavorare molto su questa catena attorno all’ospedale, l’ospedale e le comunità, lavorare molto e investire molto nelle comunità, questo è il tentativo che stiamo facendo perché quel problema del diabete e dell’ipertensione si risolve nel 90% dei casi lavorando molto nelle comunità. Ecco l’importanza dell’agricoltura, di un’elaborazione di cibi più sani che tentino di prevenire queste patologie. Poi esiste quel 10% anche di sfortuna, perché sapete che il diabete si distingue in due grandi categorie, il diabete 1 e il diabete 2. Il diabete 2 è dell’adulto, che si sviluppa molto col tempo e il trattamento ha bisogno degli antidiabetici orali che costano relativamente poco e si può lavorare molto sulla prevenzione con una dieta che sia meno sbilanciata. Purtroppo qui c’è anche la responsabilità delle grandi multinazionali, perché l’Africa sta sviluppando queste patologie, rispetto alle patologie infettive perché le patatine, le bibite coloratissime, quelle che noi prendevamo 50 anni fa, io ero innamorato delle lemon soda, ma gialle, gialle, gialle, e verdi, e il chinotto doveva essere bello… Da noi oggi non ci sono più queste bibite perché cerchiamo di difenderci. In Africa, purtroppo, ci sono queste multinazionali che spingono molto su questo. Questo ha fatto sviluppare il diabete di tipo 2 che si può prevenire. E poi c’è il diabete di tipo 1. Lì è quella fascia dei bambini, Daniela non ne ha parlato, ma ovviamente li conosce molto bene, a cui manca l’insulina e quella gliela devi dare. E la dieta, purtroppo, lì non basta. Allora, torno al punto: tutto nel contesto africano, queste patologie non comunicabili, che sono il diabete e l’ipertensione, stanno aumentando molto rispetto a qualche anno fa. Si parla di una transizione epidemiologica che l’Africa sta vivendo. Cioè, vent’anni fa, chi come noi lavorava in Africa si preoccupava della tubercolosi (e ancora oggi), dell’HIV, malattie infettive, ma anche del colera, piuttosto che del tifo, che continuano a esistere. Ma vent’anni fa erano questi il grande problema dell’Africa. Oggi, assieme alle malattie infettive, si parla di una transizione dal punto di vista epidemiologico, dove le malattie croniche, che vuol dire il diabete e l’ipertensione in particolare, stanno aumentando di molto. La Tanzania: vi do solo un numero. Tanzania, dal 2,8% di prevalenza che il diabete aveva, oggi è al 12%, dopo 10 anni. 10 punti percentuali rispetto alla popolazione di 50 milioni di abitanti che ha la Tanzania, capite? Sta esplodendo. Il Mozambico, per farvi un altro caso e chiudo su questo aspetto, fino a dieci anni fa non aveva – il Ministero della Salute Mozambicano – non aveva delle linee guida sulla prevenzione, diagnosi e cura delle malattie croniche, cioè diabetica e ipertensiva. Non le aveva. Linea guida, un Ministero della Salute! Oggi, è il nostro contributo, abbiamo elaborato, assieme al Ministero locale, delle linee guida che adesso vengono applicate a tutto il Paese, delle linee guida per la prevenzione. Dentro la prevenzione c’è tutto il lavoro di cui si parlava con Daniela prima e che tenteremo anche di spingere, proprio col CIHEAM, sapendo che quel sistema è fatto da ospedali, centri sanitari e comunità ed è lì che si può lavorare. I paesi fragili, purtroppo, non sono ancora in grado di affrontare questo tipo di problema, perché hanno sistemi talmente destrutturati che è quasi impossibile poter lavorare in questo senso.

Di Terlizzi. Don Dante, grazie. Velocemente, il vostro impegno non è solo verso questa tipologia di malattie non trasmissibili, perché è un’assistenza alla comunità in maniera trasversale. Hai citato che non vi occupate specificamente di singole malattie infettive, ma giusto due parole su come operate e come vi trovate ad affrontare situazioni che sono totalmente diverse.

Carraro. Certo, cerco di essere rapidissimo. Qualcuno mi chiede: “Ma voi che cosa fate in Africa?” La cosa che dico, e che uno capisce subito, è che sosteniamo 21 ospedali distribuiti. “Ah, ok, bello!”. Ma gli dico: guarda che l’ospedale è il perno di un sistema, ecco i centri sanitari e le comunità. A livello di comunità vanno fatte alcune cose, a livello di centro sanitario ne vanno fatte altre, e in ospedale ne fai altre ancora. A livello di comunità, tutto il lavoro che Daniela diceva prima è assolutamente prezioso, compreso quello che il CIHEAM tenta di fare, cioè di studiare i terreni, di capire che colture vanno fatte, evitare le monoculture. In Tanzania è pieno di piantagioni di tè che servono alle multinazionali che hanno comprato il terreno, ovviamente, ma sto facendo solo l’esempio della Tanzania. Invece: la diversificazione del terreno. A livello di comunità si fanno tre cose: le vaccinazioni, il controllo della gravidanza delle mamme, e peso-altezza dei bambini per la malnutrizione. Queste sono tre cose che si fanno a livello di comunità, allargando poi il lavoro che si diceva prima, adesso con i terreni, l’educazione della mamma, l’educazione su cosa dare da mangiare, cosa è pericoloso e cosa no. Questo è a livello di comunità. Al centro sanitario puoi dare una terapia per una polmonite, una dissenteria, un bambino che vedi che è sotto peso, per esempio, controllarlo… coinvolgere la comunità e il centro sanitario. Quando la situazione si aggrava, hai l’ospedale. A livello di comunità è tanto importante fare questo lavoro di controllo delle tre grandi cose: la malnutrizione, le vaccinazioni e la gravidanza, ma assieme a questo anche tutto il lavoro educativo e di formazione, e anche di studio di cosa questi terreni possono dare per prevenire queste patologie. Grazie.

Di Terlizzi. Sembra tutto molto semplice: facciamo gli orti familiari, creiamo dei campi per le scuole e gli ospedali, ma il problema è come dovremmo poi gestirli? Sono capaci queste realtà di portarli avanti? Questo è il maggiore impegno e anche la riflessione che deve essere fatta all’interno di quei contesti che sono fragili, ma non abbastanza, perché altrimenti noi non avremmo modo di poter trasferire le nostre conoscenze. Sei stato citato prima, Bernard Kakala. Dal 2021 sei un medico che opera nell’area di Iringa. Una tua testimonianza. Anche la Tanzania, da quello che mi risulta, ha avuto, attraverso il vostro operato, una sensibilizzazione del Ministero della Salute affinché si possano prevedere dei protocolli per la prevenzione di queste malattie, e quindi incidere a livello istituzionale è anche necessario perché dobbiamo creare una filiera del dialogo tra il sistema centrale e la comunità e far sì che il sistema centrale ascolti la comunità. Questo è quello che in genere facciamo come cooperazione. Prego, a te, Bernard, una tua testimonianza del lavoro quotidiano in questo centro sanitario che è anche un centro che accompagna l’ospedale di Iringa, sì, di Tosamaganga.

Kakala. Grazie a tutti e grazie soprattutto agli organizzatori del Meeting. Vengo dalla Tanzania e lavoriamo nella clinica per le malattie croniche. Questa è la grande sfida, e molte persone non sanno delle malattie croniche. Sono malattie che non possono essere trasferite da una persona all’altra, malattie non trasmissibili, e l’80% di queste malattie può essere prevenuto modificando gli stili di vita. Quindi abbiamo fondamentalmente quattro gruppi di malattie non trasmissibili: malattie cardiovascolari, cancro, diabete e malattie respiratorie croniche. In Tanzania, le malattie non trasmissibili rappresentano il 41% di tutte le morti e le disabilità, quindi la situazione è molto grave e, come il dottore ha detto prima, secondo una ricerca fatta nel 2011, il diabete era al 2,8% della popolazione, mentre dieci anni dopo la percentuale è aumentata al 12,3%. In Tanzania ci sono molte persone affette da diabete. A causa di questo aumento del numero di pazienti in Tanzania, nella regione di Iringa, e soprattutto nel mio ospedale, abbiamo adottato questo approccio per creare una clinica per le malattie non trasmissibili. La clinica è stata creata nell’ottobre del 2016 e fino ad adesso abbiamo avuto 2226 pazienti che sono stati trattati per ipertensione e diabete. La maggioranza di questi pazienti, il 75%, sono donne, e il 70% è affetto da ipertensione, il 50% da diabete e il 50% da altri tipi di malattie. Che cosa facciamo normalmente nella clinica? Normalmente forniamo tutti i servizi clinici: ad esempio, quando un paziente arriva, prendiamo i parametri vitali e i pazienti hanno la possibilità di vedere un medico. Dopo questo, il paziente viene trattato se c’è bisogno di fare degli esami di laboratorio. Il paziente viene poi inviato in laboratorio e, dopo questo, guardiamo le analisi e vengono dati i farmaci, medicine. Tutti questi servizi sono gratuiti per la popolazione. Inoltre, facciamo educazione alla salute. Con l’aiuto di nutrizionisti, facciamo educazione alla salute per la popolazione e abbiamo anche due infermiere che sono esperte in questo. Abbiamo poi esteso i servizi ai centri sanitari. Fino ad adesso abbiamo adottato un sistema di supervisione in 9 centri sanitari della regione di Iringa. Facciamo una formazione al personale sanitario di questi centri sanitari e lavoriamo anche con una rete di peer supporter, cioè di assistenti alla pari. Sono pazienti che sono esperti e che vengono formati sulle malattie non trasmissibili e il loro ruolo è quello di passare le loro conoscenze alla comunità da cui provengono, perché la comunità è molto grande e, di conseguenza, abbiamo persone che possono andare in giro e trasmettere le conoscenze direttamente alle persone. Abbiamo ovviamente alcune sfide a cui dobbiamo far fronte. La principale è la mancanza di informazione e di sensibilizzazione, perché le persone non conoscono i fattori di rischio delle malattie non trasmissibili. Inoltre, la distanza è anche un altro problema. Infatti, ci sono molti pazienti che non ricevono cure continue perché vivono troppo lontano dal centro sanitario. C’è poi anche mancanza di formazione del personale sanitario. Grazie al CUAMM, nel nostro progetto, siamo riusciti un po’ a colmare il divario. Anche per questi pazienti che non possono venire in clinica, diamo comunque dei farmaci. A causa della distanza geografica, abbiamo adottato un nuovo approccio, che è iniziato l’anno scorso, a giugno, e abbiamo allargato i servizi che vengono forniti anche direttamente dai centri sanitari perché molti pazienti non riescono a venire direttamente e regolarmente in ospedale, quindi vanno ai centri sanitari. Normalmente vanno una volta al mese, e forniamo loro educazione alla salute, organizziamo diverse attività e spieghiamo quali sono i fattori di rischio, come è possibile prevenirli, soprattutto spieghiamo qual è la giusta nutrizione, che bisogna essere fisicamente attivi, che bisogna smettere di fumare e di bere. Adesso abbiamo adottato anche un altro approccio basato sulla prevenzione, perché abbiamo visto che le malattie non trasmissibili sono aumentate e quindi abbiamo pensato che fosse meglio concentrarsi sul lato preventivo. Anche per quelle persone che non sono affette da queste malattie, possono comunque acquisire delle conoscenze sulle prevenzioni. Come detto, c’è mancanza di informazione, quindi fondamentalmente facciamo istruzione alla salute e con questa rete di peer supporter siamo in grado di raggiungere i membri della comunità. Inoltre, abbiamo organizzato anche degli eventi pubblici in cui facciamo degli screening di massa sulle malattie non trasmissibili, forniamo trattamenti e offriamo anche counseling, quindi forniamo consulenza. In questo modo, riusciamo a raggiungere molte persone, organizziamo eventi pubblici ad esempio anche nelle chiese e in altri luoghi, organizziamo anche una maratona, normalmente, per incoraggiare le persone a essere fisicamente attive. Quindi queste fondamentalmente sono le attività che portiamo avanti per le malattie non trasmissibili. Sì, per quanto riguarda la maratona, l’abbiamo organizzata per la prima volta l’anno scorso ed è stata un’ottima occasione di incontrare le persone. Le persone che hanno partecipato alla maratona sono state molto collaborative e ne faremo un’altra anche quest’anno.

Di Terlizzi. Ok. Dottor Bernard, potevi finire con un invito, noi saremmo venuti certamente a quella maratona. Grazie al vostro contributo sia a CUAMM che a Save the Children. Dobbiamo anche pensare a tirare delle conclusioni. Quindi c’è una prospettiva di far sì che dei poli sanitari, degli ospedali possano anche essere dei centri di educazione alimentare, possano essere luoghi dove promuovere una diversità dell’alimentazione, finalizzata agli aspetti salutistici. Quindi un campo medico e un campo agricolo, come dicevamo all’inizio, gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile, possono cercare di vivere insieme. Riscopriamo i prodotti tradizionali, analizziamo quei prodotti tradizionali dimenticati in questi contesti, soprattutto analizzandoli da un punto di vista nutraceutico, per gli aspetti nutrizionali e anche per i fattori antinutrizionali. Cerchiamo quindi di sostenere una ricerca; chiaramente ricerca e cooperazione si autoalimentano, non ci può essere una buona cooperazione se non porta a una ricerca che sul campo dia un ritorno. Non ci dimentichiamo che dobbiamo operare per le comunità. Come dicevamo all’inizio, il principio di One Health deve estendersi a quello della centralità della persona, tante persone costituiscono una comunità, e quindi una garanzia, una sicurezza alimentare per i minori. Ci sono anche altri passaggi che dovremmo tenere presenti quando parliamo di Africa e operiamo in Africa. Diamo il giusto valore all’alimento. A volte non consideriamo quanto sia importante anche dare il giusto valore economico. Ieri la Prima Ministra ci parlava della produzione del caffè in Uganda: due dollari per chilo di caffè, il quale poi viene venduto a 30 dollari in Europa. Lei chiedeva: perché questi 28 dollari non restano da noi? Questo è anche vero, però in quei 28 dollari c’è tanto lavoro, selezione e tostatura, c’è un discorso di marketing. Ma quello che va impostato è aiutare con la ricerca questi paesi affinché l’agricoltore non sia soltanto colui che raccoglie, ma che sia anche colui che può cominciare una fase del suo processo produttivo, e quindi dare un migliore valore al prodotto che lui stesso, con il sudore, riesce a ottenere. E diversifichiamo. Abbiamo detto del mais, del problema di come alcuni prodotti vengono usati per accedere al mercato; proviamo a diversificare con leguminose, come fagioli, patate dolci, manioca, verdura, frutta e ortaggi. Tutto questo è cooperazione, tutto questo significa cercare di cambiare uno stile di vita. E un altro aspetto che mi piace sottolineare: cerchiamo di ridurre le perdite, di ridurre quello che da noi è spreco ma che in quei paesi è perdita. Anche lì la ricerca ci deve aiutare perché un alimento prodotto da un agricoltore, con le sue limitazioni, con la sua fragilità in quel sistema, e soprattutto per un cambiamento climatico che rende ancora più difficile la vita, possa evitare di andar perso, dopo che per tanti mesi ha cercato di curarlo. Grazie a voi tutti, se ci sono domande ben lieti di rispondere; altrimenti, vi auguro di poter girare tra questi padiglioni per vedere come un “sistema Italia” opera negli altri continenti e in modo particolare in Africa. Grazie a voi.

Data

22 Agosto 2024

Ora

12:00

Edizione

2024

Luogo

Arena Internazionale C3
Categoria
Arene